In Your Honor è esattamente quello che ci si aspetta da un gruppo come i Foo Fighters, spazio a rabbia e disperazione, rimarcate da chitarre stridenti e batterie decise in questo primo vinile. Ci sarà posto anche per testi intimistici e versioni acustiche, una versione quasi solista di Grohl nei vinili successivi
Eccoci, è una delle ultime sere che conservano strascichi di vacanze natalizie, tolti i tacchi e struccato il volto, tolgo via anche il peso dell’ipocrisia di queste giornate; il giro degli auguri, i sorrisi ammiccanti ai parenti e conoscenti. I pranzi infiniti e le chiacchiere vuote, tavole imbandite di pasti e commensali, orde di discorsi atti a passare il tempo insieme per protocollo, senza un vero interesse verso le vite degli altri partecipanti. Ma io sono un Grinch, è risaputo, e una volta indossata la felpa degli All Blacks (autoregalo di compleanno), posso togliermi la maschera e indossare con disinvoltura i miei veri panni, quelli dell’anima disordinata ed inquieta. Tiro fuori un vinile, Dave Grohl e i suoi Foo Fighters, “In Your Honor”, il primo dei quattro LP. Ho bisogno di una dedica da me stessa “Best Of You”, ho bisogno che qualcuno me lo dica, e quel qualcuno è necessario che sia io.
Insomma, archiviata questa prima tranche di festività, sono pronta a ripetere il solito rito settimanale, lo facciamo insieme? Allora su la testina del giradischi e via con l’ascolto di “In Your Honor”.
Via col primo brano del Lato A di “In Your Honor”, si tratta della title track dell’album, un brano manifesto di intenti verso i propri fan, ma un testo che ognuno di noi riesce a declinare perfettamente a suo piacimento.
“questo cuore agitato come una bomba che esplode risuonando per migliaia di miglia, il mio é tuo e il tuo é mio, non c’è divisione. In tuo onore io morirei stasera”
Un urlato caratteristico in perfetto stile punk che riesce a non sovrastare mai la melodia a cui Grohl ci ha abituati anche negli album precedenti. Una opener che mette subito le cose in chiaro: i Foo Fighter sono vivi e brillano di luce propria, nessun rimpasto dei vecchi Nirvana di cui Dave era membro fondatore, solo punk uptempo e melodie in una mixture perfetta.
Mentre “No Way Back”, secondo brano di “In Your Honor” è già alle note di avvio, medito su quale possa essere il miglior alleato alcolico in questa serata post- abbuffate e mi viene in mente una intervista in cui Grohl confidò il suo rito prima di salire sul palco.
“Un’ora e mezza prima del concerto prendo tre Advil (ibuprofene). Un’ora prima, bevo una Coors Light. Circa 50 minuti prima dello show bevo il mio primo Jag (Jägermeister), finisco la Coors Light, e ne bevo un’altra. 20 minuti prima [dello show] ho bevuto tre o quattro Jäger e tre Coors Lights ”. Sostituisco lo shot di Jag con quello di Aguardiente bevuto a fine pasto e controllo nella mia dispensa di birre dal mondo se posso trovare una Coors Light. Eccola qui, la famosa birra che mi ha sempre affascinata per una variazione cromatica: quando l’interno della bottiglia raggiunge la giusta temperatura, le montagne raffigurate sull’etichetta diventano blu. Stasera questa variazione non la vedrò, ma è un pensiero che mi affascina sempre molto.
Mi concentro su una frase di questo brano di In Your Honor:
“Svegliami, sono pronto. Qualcosa non sembra chiaro. Stavo dormendo. Stavo parlando con te”
Probabilmente Grohl avrà dato tutt’altro significato a ciò, ma io lo associo al bisogno di verità, al coraggio di cacciar fuori le proprie emozioni. Al riuscire a dire “Tu hai un peso nei miei pensieri!”. Il coraggio pare essere una dote rara, abbiamo più timore di scegliere che desiderio di vivere certe volte, ipotizzato che le due cose siano per davvero alternative. E a tenersi i pensieri in testa, provando da soli a dargli forma senza fare domande, poi si finisce per ingrossare fiumi e correnti fino a che non si rompono gli argini o si increspano maree. Mi è capitata proprio in questi giorni l’urgenza di verità, anche solo per il gusto di darle sfogo. Ma – come spesso accade – non ero preparata alle conseguenze. Spesso in questi mesi mi è stata messa la palla sul dischetto dei venti metri, ma io ho sempre fatto il giro largo, preso tempo, chiesto cambi, tutto pur di non tirare quel rigore. Era paura della traversa, di colpire il portiere e rompergli il naso, credevo. In realtà la paura reale era di fare centro, ho scoperto.
Tiro una boccata di birra, rinfresco l’ugola e mi preparo al mio brano, “Best of you”; terzo di In Your Honor, che stasera diventa In My Honor.
“Il mio cuore è stato di nuovo arrestato, ma evaderó.
La mia testa mi sta dicendo di decidere per la vita o per la morte, ma non so scegliere. Prometto che non mi arrenderò. No, mi rifiuto!”
La più inflazionata delle hit dei Foo Fighters, un classico intramontabile coverizzata addirittura da Anastasia. Un altro invito a calciare quel rigore.
I pensieri pesano davvero quando siamo forti abbastanza dà dargli un impulso reale, altrimenti galleggiano comodi tra altre serie, importanti, vitali, preoccupazioni: “devo caricare la lavastoviglie” – “pagare le bollette” – “consegnare il progetto entro la data di scadenza”. I pensieri pesano davvero quando siamo audaci abbastanza da fare cose tutto sommato normali come bussare ad una porta, fare una telefonata, lanciare almeno un amo con una fantasiosa e golosissima esca.
Controllo il cellulare, magari la controparte ha avvicinato il pallone dieci metri in avanti, ma mi rendo conto che anche lui sta giocando in difesa.
Intanto il Lato A di In Your Honor è terminato, scrollo di dosso il peso dei pensieri, poso la birra accanto alla mia adorata orchidea e cambio lato del vinile.
Pronta all’ascolto di “DOA”, primo brano del Lato B di In Your Honor, acronimo di “dead on arrival”, cioè deceduto all’arrivo. Probabilmente la fine che avrà fatto il suo messaggio stasera. Sono molto affezionata a questo brano in realtà, per motivi tutt’altro che ovvi. L’ho conosciuto giocando a Rock Band su Xbox Live, e il videoclip diretto da Michael Palmieri, mostra i Foo Fighters mentre suonano il brano in una stanza luminosa che gira su se stessa e gli stessi membri del gruppo su un treno dove gli oggetti si comportano come se il treno medesimo stesse ruotando su se stesso, contiene anche scene tratte dal videogioco Star Wars: Battlefront II, uno dei miei preferiti.
È il momento di “Hell”, penultimo brano di questo primo vinile di In Your Honor, il brano che sembra essere la perfetta quadratura del cerchio:
“Vieni a spaccare questa pelle, ti permetterò di affondarci dentro. E ti mostrerò tutto. Ci vediamo all’inferno. […] Io sarò proprio lì. Il ronzio dentro la tua testa!”
Il peso del mio “pensiero” appunto, è proprio lì, come un ronzio nella mia testa.
Eccola, “The Last Song”, a chiudere In Your Honor.
“Mi sono costruito la mia quiete e ora ho chiuso. (Questa è l’ultima canzone) che ti dedicherò. E il tuo è un nome che non nominerò mai più.
Facciamo finta. Non importa. Facciamo finta che sia così, facciamo finta che sia così. Ma non serve a niente!”
Quest’anno, per la prima volta in questi 30 anni, ho vissuto per me. Sempre alla ricerca. Per dimostrare a me stessa il valore di tutto quello che ho e di quello che sono, prima e dopo quello che ho. Se non ci si conosce, si rischia di lasciarsi raccogliere come naufraghi dalla vita.
Ho vissuto nell’ultimo anno, quindi, per capire chi sono: senza che questo potesse in alcun modo dipendere da un altro, accanto, fuori o dentro me. Ma adesso è il momento di rimettersi in gioco, scarpette da calcio fuori dalla scarpiera e sguardo di sfida nei confronti del portiere. Sono pronta a segnare il goal della vita. Il punto a segno nella via per la felicità.
(Questo articolo è apparso precedentemente, a firma della sottoscritta, su Inside Music Italia)
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