Inauguriamo Sottocoperta, una rubrica pensata come un “rifugio” per gli artisti e i lavoratori dello Spettacolo, duramente provati dal Covid 19 e dalle sue ripercussioni.
Iniziamo con una bella chiacchierata con una protagonista d’eccezione della scena culturale lombarda, Rossella Spinosa. Compositrice, pianista, docente di composizione nel corso di laurea in Musicologia al Conservatorio di Mantova, Rossella ha negli anni sonorizzato oltre 100 film muti.
Rossella, quale è stato il tuo rapporto con la musica in questo surreale 2020?
“Non possiamo dire di aver vissuto veramente quest’anno e io stessa, durante la prima ondata e il consecutivo lockdown, oltre ad aver vista interrotta la mia attività di musicista (che di solito si caratterizza per i suoi ritmi frenetici con 2 o 3 concerti a settimana), ho anche rallentato la mia attività di compositrice. Solitamente le due cose non sono legate, posso continuare a comporre musica indipendentemente dall’impegno con i concerti. Questo perché avevo la sensazione che la vita ci stesse sfuggendo di mano, che si stesse verificando qualcosa di più grande di noi e che non ci fosse spazio per altro e per questo motivo sono stata tra i miei colleghi, una di quelli che meno hanno criticato la chiusura. Oltre a questo devo dire che, essendo una persona ottimista, ho creduto che le persone potessero migliorare con questa drammatica esperienza, e che questa battuta d’arresto potesse essere utile in tal senso. Dopodiché c’è stata questa lunga e stranissima estate durante la quale le persone hanno ripreso le loro attività forse con troppa leggerezza, per quanto le Istituzioni raccomandassero prudenza.
Durante questa seconda ondata, che mi ha visto molto meno accondiscendente, la mia reazione è stata diversa. Infatti ho ripreso a comporre, anche se forse con una percezione diversa. La mia prima composizione si intitola, non a caso, Sette Miniature, e nasce dalla consapevolezza che bisogna ricominciare a vivere a piccoli passi”
Ricominciare a vivere e ricominciare a suonare dal vivo, perché assistere ad un esecuzione in streaming o anche ascoltare un cd non ci dà le stesse vibrazioni e le stesse emozioni di un’esibizione live in un teatro, in una sala da concerto o in un palasport.
Essendo tu Rossella anche docente, per quanto riguarda la didattica a distanza, come vi siete regolati? Sentite di aver perso qualcosa? Com’è stato per gli studenti?
Insegnando al conservatorio, c’è un forte dibattito sulla fattibilità della didattica a distanza per ciò che concerne le materie musicali. Tutto passa attraverso vibrazioni, eomozioni, ascolto diretto, trasporto ed emozione. Musica da camera, studio strumentale, esercitazioni orchestrali e corali, sono completamente impossibili. Non si può suonare insieme, cantare insieme, col delay. Con le materie teoriche, il problema è stato differente: per me è stato salvifico, psicologicamente, e comemio sentore di utilità umana, poter continuare la mia attività. Ho pensato ai miei studenti, che si sarebbero sentiti abbandonati, senza possibilità di un confronto, ed ho spinto fortemente alla didattica a distanza. Durtante l’ultima lezione online dell’anno 2019-2020, sono scoppiata in lacrime – non lo nascondo. Questo senso di chiusura è innaturale nel mondo dell’arte: noi comunichiamo. Se suoniamo, cantiamo, dipingiamo…comunichiamo. Ne sentiamo l’impellente esigenza. Trasmettere un messaggio che non passa per forza per le parole. L’isolamento è stato dunque corrosivo e logorante per tutti noi. Abbiamo così creato un rapporto didattico profondissimo, con risultati eccellenti. Siamo stati però molto poco contenti di ripartire non dal vivo con la seconda ondata. Speriamo che col vaccino, finalmente, si riparta.
Qualcosa di buono.
Sì, anche se noi artisti siamo sostanzialmente in silenzio. Non stiamo facendo dimostrazioni di riottosità, nonostante sia un massacro economico, come sistema di mercato, di ruolo, di lavoro. Viviamo nella speranza che la cultura possa ripartire. Ciò che mi auguro è che questa fase di totale assenza faccia meditare il fruitore sulla sua importanza, durante l’assenza. In teatro, noi, abbiamo rispettato tutte le norme, pedissequamente: è apparsa come un’ingiustizia, un sopruso, la nuova chiusura dei teatri. La scrittura musicale, però, ha avuto una funzione catartica e psicanalitica: ho superato dunque la fase della rabbia, e ora c’è la speranza. Perchè la società senza cultura non funziona.
Dobbiamo lavorare sulla primarietà dell’arte, insomma. Su quanto essa sia fortemente necessaria.
Certo. Va rivoluzionata la gerarchia. L’arte non è e non deve essere un bene superfluo. E’ un bene primario. Se si determina una situazione di elaborazione, di civiltà, di miglioramento, ciò non è prescindibile dall’arte. Essa deve far parte di una riforma di sistema, non in risposta ad una sola emergenza. Il dramma è, fondamentalmente, questo.
Ti vedo però fortemente speranzosa per il futuro nell’arte nel nostro paese, hai indubbiamente un approccio positivo. Penso ci sarà un ritorno principalmente da parte degli storici o che vengano guadagnati anche nuovi utenti? Cioè che coloro che magari prima non ne fruivano, ora potranno esserne avvicinati dalla sua totale assenza?
Si, di carattere sono indubbiamente speranzosa… Sono una musicista! Non nascondo però l’enorme paura che una ripresa poss non esserci mai, celere o realmente grande. Cerco di zittirla, abbiamo imparato a vivere facendo finta di nulla. In realtà, la preoccupazione c’è e persiste. Mi auspico che la gente possa aver avvertito l’esigenza di qualcosa di diverso dalla quotidianeità. Credo ci sarà necessità di vivere al 100%, una vera e propria fibrillazione – voglia di convivialità, ma anche spazio per ricordare le sensazioni profonde causate da questo periodo, e, dunque, condividere il silenzio di un museo, ascoltare musica live, accanto ad uno sconosciuto senza temere, e condividere quella sensaizone di vibrazione congiunta – spero che non sia mai dimenticata, questa mancanza. Vorrei chiedere al pubblico di continuare ad esserci, di non abbandonarci. Ad ogni modo, come sistema cultura, non dobbiamo avere una piattaforma Netflix, ma una vitalità tale che sia fruibile nel migliore dei modi e più dilatata possibile.
Ad esempio?
Per noi c’è il miraggio della Francia. Tutto funziona ed è codificato per ciò che concerne i teatri, che effettivamente sono aperti. Perchè da noi non succede? Vorrei che il sistema Italia potesse aprire gli occhi, perchè abbiamo storia, bagaglio, studenti stanieri che ci ammirano, e se riuscissimo a portare il nostro paese, veramente, in primo piano, il valore della cultura, acquisteremo una primarietà enorme! L’indotto generato dalla cultura è gigantesco e viene sottostimato da una classe dirigente non consapevole. Ed ho paura che ciò non possa più avvenire. Potrebbe passare la solidarietà: sia l’interesse per la salute dell’altro, sia per ciò che concerne il benessere psicologico (leggi qui: Il prendersi cura della salute mentale deve cominciare dalla musica).
Decisamente tralasciato.
Sì. E l’umano è una creatura poliedrica, che reagisce in modo non prevedibile, e mi rendo conto della difficoltà di dover gestire integralmente un problema così grande. E’ un momento difficile per il nostro Stato. Ieri ho visto un documentario su ciò che è successo dal ’60 al 2020, con i carri armati con le bare a Bergamo. Ed ho pensato: Chissà come verrà guardato, in futuro, questo anno di non vita. Un passo nella storia che viviamo tuttora e che, in ogni caso, ha segnato e segnerà tutto il sistema. Dobbiamo imparare, da questa pandemia, la solidarietà, comprendere maggiormente il senso di collettività. La musica, in questo senso, aiuta: essa è pensiero. Puro pensiero. Non solo sensazione.
E’ ragionamento e riflessione.
Se imparassimo ad ascoltarla, essa dice tantissimo. A lezione, ho detti ai miei studenti: pensate alla terza sinfonia di Brahms. Quante idee, che capacità ha avuto, di metterle insieme a creare qualcosa di superiore. Una piccola idea, ben declinata, può diventare qualcosa di incredibilmente vasto, e difficile da tenere insieme, ma in grado di cambiare la modalità di ascolto. E’ questo che dobbiamo fare: ogni piccolo passo va trasformato in una nuova idea, che porti novità creative e positive. Il miglior augurio che possiamo farci.
Giulia Della Pelle e Maria Ascolese
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