La quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma omaggia Massimo Troisi con la proiezione de Il Postino, l’ultima commovente interpretazione dell’attore partenopeo, scomparso appena 12 ore dopo la fine delle riprese. Il film è un affresco genuino dell’Italia post-bellica, è un omaggio alla poesia e al valore dell’amicizia
Per conoscere, apprezzare ed amare il cinema italiano c’è bisogno di fare un percorso strutturato e ben preciso, partendo dalle fondamenta. E tra film basilari e indispensabili da vedere almeno una volta nella vita c’è Il Postino. La pellicola – ispirata a Il postino di Neruda di Antonio Skármeta, diretta da Michael Radford, co-scritta da Massimo Troisi e vincitrice del premio Oscar alla colonna sonora di Luis Bacalov – è considerata l’ultimo testamento artistico del comico napoletano, è una punta di diamante della settima arte, una meditazione silenziosa sul destino, sul tatto e sulla poesia.
Uno sguardo ben attento non può non notare che in circa due ore di film viene rappresentato un po’ tutto: poesia, politica, umorismo, speranza, amore. Questi elementi, con un gioco di maestria non indifferente, fluiscono insieme in modo naturale e continuo in una produzione caratterizzata da recitazione solida, ritmata, equilibrata e cinematograficamente accattivante.
Ne Il Postino, girato sia nell’isola di Procida che in quella di Salina nel 1994, ci troviamo davanti ad un prodotto che unisce alla fantasia dei fatti realmente accaduti.
Siamo nel 1952 e la prima volta che vediamo conversare Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) con il padre pensiamo che abbia un ritardo, prima di renderci conto nella sequenza successiva che invece Mario è di normale intelligenza, ma che semplicemente è stato cresciuto in un posto che non gli ha fornito quasi nulla di cui parlare, un’isola tranquilla dove i piccoli cambiamenti e le nuove idee arrivano lentamente. Ma per Mario le cose stanno per cambiare.
Nel villaggio di pescatori arriva il famoso poeta cileno Pablo Neruda (Philippe Noiret) esiliato dal suo Paese natale per aver sposato la dottrina comunista. Mario è curioso di questo nuovo residente che, nonostante la sua età avanzata, ha un potere apparentemente magico sulle donne.
Dopo aver consegnato per un po’ la posta a Neruda, Mario trova il coraggio di coinvolgere il poeta in una conversazione sulla scrittura. Inizia così una collaborazione insolita: Mario fornisce una cassa di risonanza per le idee di Neruda e Neruda insegna a Mario la poesia e il suo rapporto con la vita. Nonostante la differenza culturale e la diversa esperienza, tra i due c’è tanta stima e si genera un reale legame d’amicizia. Dall’incontro con il famoso poeta, Mario vive contemporaneamente la sua vicenda amorosa per Beatrice (Maria Grazie Cucinotta), nipote della proprietaria dell’osteria del paese, la scoperta della poesia e della metafora e l’acquisizione di una coscienza politico-sociale.
E’ proprio Neruda che lo aiuta ad uscire fuori dal guscio e a conquistare Beatrice. Mario vorrà proprio l’amico al suo fianco come testimone di nozze prima che il poeta, revocato il suo esilio, possa finalmente far ritorno in patria. Dopo cinque anni Neruda torna sull’isola, convinto di riabbracciare quell’amico fedele, ma nel piccolo borgo ritrova solamente Beatrice e conosce il piccolo Pablito, il figlio che Mario non ha mai conosciuto perché assassinato dalla polizia durante una manifestazione comunista.
Il finale inaspettato
Sebbene Il Postino sia meravigliosamente coinvolgente, l’ultimo commovente atto presta ulteriore risonanza a tutto ciò che è venuto nelle sequenze precedenti, cambiando drasticamente e inaspettatamente anche il finale del libro.
Negli ultimi trenta minuti siamo testimoni di una sterzata, anzi, di un colpo di genio che trasforma la pellicola da un buon film a un grande film. Radford e Troisi dimostrano di avere un tocco abile e sottile che trae il meglio dai personaggi e dalle situazioni, capace di rappresentare con efficacia le immagini poetiche e narrare garbatamente un’amicizia virile che supera gli ostacoli della distanza e della formazione intellettuale, ma soprattutto in grado di avvicinare due mondi lontani, che somigliano tanto a due rette parallele, ma che in realtà sono simili: un umile postino semianalfabeta, in un borgo di pescatori e un grande poeta dagli alti ideali, ma slegato dalla realtà.
Dal loro incontro i due mondi si intersecano e si sovrappongono: mentre Neruda si apre al popolo ed ai suoi sentimenti più autentici, Mario trova, attraverso la poesia, la forza per elevarsi dalla triste banalità dell’esistenza e gustarsi le gioie della vita e dell’impegno sociale.
Nella performance che conclude una carriera costellata da interpretazioni memorabili, Massimo Troisi ci regala un personaggio indimenticabile.
Esitante, timido e incolto, il suo Mario è un uomo affascinante dal cuore poetico seppur con poco talento con le parole. Massimo è Mario e Mario è Massimo, i due si fondono perfettamente. Il volto smagrito, sofferente e malinconico del protagonista è un manifesto di quello che era Massimo: un professionista serio dal sorriso triste, un attore carismatico ligio al dovere, un lavoratore instancabile, un uomo appassionato e sentimentale, un interprete dall’intelligenza sapiente.
Peccato che per ragioni esclusivamente politiche, e non facciamo finta che non sia così, Il Postino non abbia avuto i riconoscimenti che meritava e che merita – il film ha ottenuto 5 candidature agli Oscar 1996: miglior film, miglior attore protagonista, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora drammatica – ma solo la colonna sonora nella sua dolcezza struggente ha ottenuto l’Academy Awards.
Sia chiaro, Il Postino non è un film perfetto, tuttavia la sua bellezza sta proprio nelle sue imperfezioni: negli eventi storici non raccontati fedelmente, nella fretta di un artista consapevole che quello sarebbe stato probabilmente il suo ultimo lavoro e per questo desideroso di mettere tutto se stesso, di donare il suo cuore senza risparmiarsi.
Dunque, Il Postino non è altro che un film d’autore sulla poesia e le immagini, una rappresentazione teatrale di un viaggio riflessivo sull’importanza delle parole e sulla semplicità quotidiana, e per questo non può piacere a chiunque, perché i capolavori non sono per chiunque!
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