E’ clamorosamente sbagliato pensare che la radio abbia perso quello smalto e quell’appeal di un tempo. Gli anni Duemila non hanno segnato la sua fine, ma l’hanno fatta rinascere a nuova vita dandole un impulso nuovo e innovativo
Era il 1885 quando un ragazzo dell’alta società britannica di nome Guglielmo Marconi diede al mondo il primo strumento di comunicazione di massa. Un apparecchio che non richiedeva alcun tipo di supporto materiale, ma si fondava esclusivamente su una trasmissione di natura immateriale. Tuttavia, la radio di Marconi, o meglio, il “telegrafo senza fili” non ha nulla a che vedere con il mezzo di comunicazione che conosciamo oggi. Mentre il telegrafo era uno strumento che funzionava da un mittente ad un destinatario – come gli smartphone odierni, la radio moderna è una forma di comunicazione di massa, fruibile da una stazione emittente a un pubblico ampio che ascolta.
A differenza del modello americano, quello europeo si consolidò fin dal principio come “servizio pubblico”, come monopolio diretto o indiretto dello Stato che si sovvenzionava attraverso una tassa o un canone di abbonamento ed escludeva, o lasciava ai margini, la pubblicità. Il carattere pubblico della radio – e poi della televisione – europea favorirono la costituzione di grandi apparati culturali legati alla politica. I Paesi autoritari non si lasciarono ovviamente sfuggire le opportunità propagandistiche proprie del nuovo mezzo. In Italia ad esempio, il governo fascista esercitava un controllo di fatto dell’Eiar – Ente Italiano Audizioni Radiofoniche.
Nel dopoguerra, con l’arrivo del boom economico le cose cambiarono rapidamente. La televisione tolse alla radio il ruolo di medium mainstream.
Tuttavia, l’apparecchio seppe trovare un nuovo ruolo e ridefinire i suoi linguaggi e le sue modalità di rapporto con il pubblico. Anche grazie all’arrivo dei primi Walkman, la radio divenne un personal medium e mezzo mobile per eccellenza, una specie di antenato del telefono cellulare, un precursore delle gioie dell’indipendenza, capace di dare manforte – particolarmente con l’arrivo delle prime radio libere – agli atteggiamenti di ribellione dei ragazzi e alla fruibilità del rock ‘n’ roll tra i più giovani.
Oggi, rispetto allo scenario degli anni ’70 e ’80 il ruolo della radio ha subito un’ulteriore metamorfosi.
Mentre la televisione ha perso quell’appeal di cui godeva almeno fino alla fine degli anni ’90, la radio è come se stesse vivendo il suo “secondo tempo” di splendore, anche se in realtà essa è forse l’unico, tra i media, che non ha mai dato grandi segni di decadenza. Infatti, secondo le ultime statistiche, il mezzo radiofonico – dopo Internet – è uno degli strumenti di comunicazione che ha visto aumentare il suo pubblico gradimento (di circa il 15%) negli ultimi 10 anni.
Un italiano su tre ascolta la radio quotidianamente. Questi dati non mi stupiscono affatto, non bisogna mai dimenticare che alla fin fine la radio è realmente fatta da chi la ascolta, ogni programma è costruito a immagine e somiglianza dell’ascoltatore e soprattutto, grazie all’apporto di sms e telefonate, non esistono barriere tra chi fa radio e chi la ascolta.
“Con la radio si può scrivere, leggere o cucinare. Non c’è da stare immobili seduti lì a guardare. E’ forse proprio quello che la fa preferire: è che con la radio non si smette di pensare”.
Eugenio Finardi
Ed è proprio qui che sta la centralità radiofonica, nel suo potere di possedere quell’alchimia e quell’atmosfera ammaliante che né internet e né la televisione possono dare. Si, perché tutto è affidato all’immaginazione, alla fantasia, alle emozioni: possiamo così trovarci a “viaggiare” idealmente verso mete sconosciute, sentire le parole di una persona che è dall’altra parte del mondo, sognare ad occhi aperti ascoltando una canzone.
L’onorato e libero servizio pubblico di Radio Radicale
Quando parliamo di radio, non possiamo non parlare una delle più belle realtà italiane che oggi si trova davanti al rischio di chiusura dei battenti. Radio Radicale nata, tra la fine del 1975 e l’inizio del 1976 per iniziativa di un gruppo di militanti radicali, è stata la prima in Italia ad occuparsi esclusivamente di politica in un periodo storico particolarmente concitato.
L’emittente ebbe il merito di introdurre un modello di informazione totalmente innovativo, garantendo l’integralità degli eventi istituzionali e politici trasmessi: nessun taglio, nessuna mediazione giornalistica e nessuna selezione, al fine di permettere agli ascoltatori di “conoscere per deliberare”.
Si deve a Radio Radicale anche l’introduzione – prima della televisione – della rassegna stampa dei giornali, dei “filidiretti” con gli ospiti politici, dei programmi di interviste per strada e delle trasmissioni per le comunità immigrate in Italia. Per prima, infine, ha dato vita ad un sito internet di informazione basato esclusivamente su contenuti audiovisivi, ampliando non solo la fruibilità delle trasmissioni fino a quel momento solo radiofoniche ma aprendo a tutti gli utenti della rete il più grande archivio della democrazia italiana.
Non è la prima volta che Radio Radicale subisce la “minaccia” di chiusura. Già nell’estate del 1986 e nel 1993 la Radio rischiò la chiusura definitiva per mancanza di finanziamenti. Allora i suoi centralini registrarono le migliaia di telefonate che, mandate in onda senza filtri, diedero origine all’irripetibile caso di “Radio Parolaccia” mostrando un volto dell’Italia che fino a quel momento era rimasto sconosciuto a tutti i mezzi di informazione.
“Il successo di Radio Radicale è che è radio di partito, di un partito laico e libertario, di una laicità e un laicismo vissuti in accordo con la democrazia, mentre in Italia tutta la comunicazione è al di fuori della regola democratica”.
Marco Pannella
Chiudere un’emittente come Radio Radicale sarebbe infliggere una coltellata alla democrazia politica. La scelta del Governo di tagliare il fondo per l’editoria – qualsiasi essa sia – è sciagurata, oltre che profondamente becera perché colpisce le voci delle differenze, delle diversità e, in questo caso, delle minoranze.
Questi sarebbero tagli destinati a diventare dei veri bavagli: quando si chiude anche una piccola testata giornalistica, oltre che a mettere a rischio numerosi posti di lavoro, si oscura una comunità, provocando un grave precedente storico tanto da mettere in pericolo l’intero sistema dell’informazione del nostro Paese.
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