Il 10 gennaio 2016 se ne andava il Duca Bianco. David Bowie è stato uno degli artisti più eclettici, celebri e talentuosi di tutti i tempi, dal personaggio di Ziggy Stardust alla trilogia di album di Berlino al fasto di Labyrinth della metà degli anni Ottanta.
Sono già passati cinque anni dalla morte di David Bowie, un artista raro, irripetibile, capace di sconvolgere, ammaliare e influenzare intere generazioni. L’ho sempre visto come un uomo misterioso, un marziano venuto sulla terra dallo spazio, un icona indiscussa e camaleontica, un gigante arrivato per regalarci canzoni indimenticabili, la prova di come l’arte non sia fine a sé stessa ma si nutre di una molteplicità di forme per comunicare un unico messaggio.
«Non so in che direzione sto andando, ma prometto che non sarò noioso».
Oggi non voglio elencare album, canzoni o grandi imprese, anche perché ormai le conosciamo a memoria. Voglio solo raccontarvi chi era David, che cosa rappresentava per me e per tutta la scena artistica.
David Bowie è stato chiamato in diversi modi: camaleonte del rock ‘n’ roll, genio musicale, Ziggy Stardust, Aladdin Sane e Thin White Duke, solo per citarne alcuni; ma per me rimarrà sempre il Duca Bianco, colui che ha lasciato un’eredità musicale enorme, costituita da continue evoluzioni fatte da ostinate svolte e metamorfosi. Non parlo solo di album o canzoni, per Bowie la musica non era una modalità espressiva chiusa in se stessa, ogni suo progetto discografico era realizzato come una gigantesca messa in scena di una delle tante faccia della sua personalità, di un momento della sua esistenza, di frammenti della sua fantasia.
David Bowie è Arte con la “A” maiuscola. Lui è musica, cinema, teatro, danza, stile, moda, filosofia, poesia, pittura, trasformismo, divinità, umanità.
Era uno scenografo delle sue singolari performance; un costumista dei suoi look stravaganti; il vero ed unico creatore del glam rock; un rivisitatore del brit pop, folk, soul, funk, jazz d’avanguardia, krautrock, elettronica minimalista; un regista perfetto dei suoi personaggi concepiti come suoi alter ego. Era un vero pezzo unico, un diamante grezzo irripetibile.
Perché per il Duca Bianco fare arte significava reinventarsi più volte, avere quel pizzico di incoscienza nell’essere un eroe senza tempo. Innovativo, creativo, ribelle: David Bowie è stato senza dubbio il re dell’ingegno di ogni sfumatura artistica. Un canto corale e ancestrale di una generazione che vuole urlare la propria diversità a tutti i costi per riconoscerla come ricchezza del mondo, e non come emarginazione.
David è l’Eroe che forse non ci meritavamo, ma che abbiamo avuto la fortuna di avere. La voce di un popolo che chiedeva liberazione dall’oppressione di quel muro che aveva tarpato loro i sogni, l’amore, la comunicazione, il futuro.
Ed è proprio con Heroes, con quel grido disperato, che mi sono resa conto che Bowie è ancora oggi uno dei pochi romantici rimasti sulla terra durante gli anni dell’asfissia del Muro di Berlino, e non solo. Perché se “We can be heroes, just for one day” – Possiamo essere eroi, solo per un giorno – questo non vale per lui, perché i suoi insegnamenti lo hanno reso eroe per l’eternità.
Con il suo eclettismo ed il suo fascino viscerale David Bowie ha influenzato gli ultimi 50 anni della scena culturale: dalla musica alla moda. La sua voglia di trasformismo ha fatto impazzire generazioni e generazioni, rendendolo un alieno, un esempio, un immortale tra gli mortali.
Non smetteremo mai di ricordarti e raccontarti, David.
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