“Il Grande Gatsby”, che fu pubblicato nel 1925, è un’opera di brillante chiaroveggenza perfezionata: suonava il campanello della morte per una generazione che era ancora viva.
Fitzgerald vide e avvertì che l’inferno sfondava l’illusione collettiva del paradiso
Oltre alle qualità intrinsecamente romantiche del libro (e una storia d’amore condannata è spesso ancora più popolarmente romantica di quella che funziona), rivela come il proibizionismo – che divenne la legge della terra nel 1919 – infettò il personaggio americano e offrisse una visione debole dei mercati finanziari che prefigurano il crollo del 1929. Il libro è un racconto cautelativo che è stato offerto ai lettori che, all’epoca, non cercavano cautela. Nella visione retrospettiva post-depressione, tuttavia, “Il Grande Gatsby” aveva perfettamente senso, la sua bellezza iridescente e la sua fantasia poetica apparivano non più di una bolla luminosa e fluttuante che, come tutti sapevano, era scoppiata catastroficamente. È facile essere cauti dopo che le cose vanno all’inferno; Fitzgerald vide e avvertì che l’inferno sfondava l’illusione collettiva del paradiso. “Il Grande Gatsby” aveva perfettamente senso, la sua bellezza iridescente e la sua fantasia poetica non apparivano altro che una bolla luminosa e fluttuante che, come tutti sapevano, era scoppiata catastroficamente. È facile essere cauti dopo che le cose vanno all’inferno.
Il Grande Gatsby e la sua trasposizione sul grande schermo
La creazione più audace dei cineasti è una trama inquadrante che rende esplicito il potere predittivo del libro: quello di Nick Carraway, che, nel dicembre 1929, fa il check-in in una clinica per liberarsi dell’alcool e superare un’apparente rottura (o cosa Fitzgerald, scrivendo della sua crisi mentale e fisica nel 1936, chiamato “Crack Up”). Nella clinica, Nick viene indotto dal suo medico a scavare nel suo passato – per mezzo della scrittura – e, dotato di una macchina da scrivere, intraprende una visione retrospettiva della sua vita mentre conduceva al suo crollo e inizia con le prime parole di “Il Grande Gatsby”, che, mentre scrive le parole, diventa la storia mostrata sullo schermo. Il dispositivo di inquadratura imposta esplicitamente il film nel contesto dell’esplosione della bolla di Wall Street e del collasso collettivo della nazione, il collasso economico e il gangsterismo dilagante che fu un semplice rivolo sanguinario nell’ambientazione del romanzo del 1922 ma che, alla fine degli anni Venti, divenne un salasso di fama mondiale.
Commento sociale sulla decadenza degli anni del proibizionismo
Nelle ultime pagine de Il Grande
Gatsby, Nick considera Gatsby in un contesto più ampio. Lo collega con la
classe di persone con cui è diventato così indissolubilmente associato. Sono le
persone della società così importanti negli anni ’20 e ’30. Come il suo romanzo
“The Beautiful and the Damned”, Fitzgerald attacca l’arrampicata sociale
superficiale e la manipolazione emotiva, che causa solo dolore. Con un cinismo
decadente, i frequentatori di feste ne Il Grande Gatsby non possono vedere
nulla al di là del proprio divertimento. L’amore di Gatsby è frustrato dalla
situazione sociale e la sua morte simboleggia i pericoli del suo percorso
prescelto.
F. Scott Fitzgerald dipinge un’immagine di uno stile di vita e un decennio che
è sia affascinante che orribile. In tal modo, cattura una società e un gruppo
di giovani; e li scrive nella leggenda. Fitzgerald faceva parte di quello stile
di vita di alto livello, ma ne era anche vittima. Era uno dei più belli, ma era
anche dannato per sempre. In tutta la sua eccitazione – pulsante di vita e
tragedia – Il Grande Gatsby cattura brillantemente il sogno americano in
un’epoca in cui era disceso nella decadenza.
Gli anni 20 e l’attuazione del XVIII emendamento, il regime proibizionista
Era il 1920 quanto una legge di
fatto ha vietato il commercio e il consumo di alcol in tutti gli Stati Uniti
d’America: immagina che trauma per milioni di persone! In molti ai tempi si sono
rifiutati di accettare quello che è passato alla storia come il XVIII
emendamento, trovando delle soluzioni alternative (ed ovviamente illegali) per
continuare a bere come se non ci fosse un domani. Se alcuni si sono
accontentati di mascherare distillati e liquori mischiandoli con delle bevande
non alcoliche, come suggerisce la leggenda del Long Island Ice Tea – un cocktail che all’apparenza è un
semplicissimo tè freddo, salvo avere all’interno Vodka, Rum Bianco, Gin,
Tequila tra i vari ingredienti – altri si sono spinti parecchio più in là.
Nascono così gli Speakeasy, dei bar che si nascondevano dietro agli ingressi
più improbabili: macellerie, mercerie, drogherie, barberie, case private…
Qualunque posto apparentemente normale poteva celare un passaggio segreto verso
un mondo fatto di alcol, musica dal vivo e donne di facili costumi!
I salotti e le feste mondane: il fil rouge de Il Grande Gatsby
Salotti mondani, luci soffuse, musica a tema e dress code obbligatorio. Non solo perle e lustrini, ma trasgressione sin dall’idea di base. Lo Speakeasy è un locale nascosto, un vero e proprio secret bar che ricalca uno dei più grandi tormentoni del Proibizionismo americano e il Grande Gatsby ha reso mainstream ciò in origine era segreto. Ma le regole di base persistono. L’ingresso deve essere poco appariscente e difficile da trovare. Non ci dovrebbero essere segni. All’interno, uno speakeasy dovrebbe avere un programma di cocktail come principale modalità di vendita. Esso non si occupa delle vendite di bottiglie in quanto era più facile mascherare il sapore e l’aspetto di un singolo bicchiere di alcol rispetto a una bottiglia piena.
Il Privat Bar, l’evoluzione contemporanea e concettualistica dei locali proibizionistici: Anima e Ghiaccio
A New York li chiamano secrets places o ancora persiste la denominazione di speakeasy, i bar clandestini nati al tempo del proibizionismo dove l’ingresso avveniva con la parola d’ordine. A Frascati è il caso dell’Anima e Ghiaccio Private Bar, in via di Villa Borghese 13/17. All’interno atmosfera stile Grande Gatsby, appunto, tra divanetti bassi, specchi dorati, pareti scure; i barman, Valerio Noali e Marco Sdrubolini utilizzano prodotti attentamente selezionati e la maggior parte degli ingredienti sono homemade. “Sono sempre stato attratto dagli anni del Proibizionismo – sostiene Valerio – in particolare da quando mi sono avvicinato alla miscelazione, e proprio quegli anni mi hanno ispirato l’idea di aprire un locale con questo concept. Un concept che richiama molto l’era del Grande Gatsby ben raffigurata dall’iconico film con Leonardo di Caprio; una realtà che cammina di pari passo con l’anima hip hop che noi esaltiamo, infatti il nome del locale è Anima e Ghiaccio come l’omonimo album del romanissimo gruppo Colle Der Fomento.”
Ed è proprio la musica la grande protagonista di questa realtà avvolta nel mistero e nel passaparola, un condensato di hip hop che riesce a coinvolgere appassionati e non del genere.
La cura e la selezione nel menù
Un menù di cocktail vario, ad ogni bevanda è associato un concept che racconta una storia particolare. La scelta del genere hip hop potrebbe sembrare avventata, ma in realtà è stata studiata affinché risulti davvero un “pugno nello stomaco” e riesca a creare una dicotomia apparentemente spiazzante fra classicismo e innovazione, donando organicità allo scenario.
Vestiti con gilet, elastico nelle maniche delle camicie, i barman del locale mixano cocktails molto amati dagli ospiti.
Alla nostra domanda quale cocktail ti emoziona preparare maggiormente e perché, Valerio non ha dubbi: “senz’altro mi emoziona di più preparare i drink che hanno una storia, come ad esempio il Martini Coktail, il Manhattan, il Vieux Carrè, tutti i cocktail che hanno tanto da raccontare proprio come apologia storica, tanto da poter trascorrere un’intera serata a parlare con il cliente della loro nascita, degli ingredienti e della loro tradizione”. È singolare la sua professionalità ed il rispetto per questo mestiere e l’impegno e la dedizione che richiede, tanto che egli stesso ammette che quando si trova dall’altra parte del bancone, come cliente, chiede ai suoi colleghi un semplice gin tonic per non sottoporli ad una pressione ulteriore. Indubbiamente la location così inconsueta rende attrattivo anche il contorno per i clienti, infatti è proprio il bartender ad ammettere che “i clienti sono incuriositi dall’ampia offerta di ingredienti che abbiamo a nostra disposizione. Noi barman ci cimentiamo con mille preparazioni curiose, può colpire un singolo ingrediente come l’intero cocktail. Ad oggi quello che colpisce maggiormente è lo sciroppo di Pan di Stelle costituito da zucchero e Pan di Stelle appunto, che abbiamo sul menù presente nello Starry Night, una rivisitazione dell’Espresso Martini, a sua volta formato da vodka alla vaniglia, caffè espresso e lo stesso sciroppo.”
Un menù – Alter Ego – che capiamo essere molto particolare “Alter Ego è l’alternativa, l’altra anima del cocktail tradizionale. Quando un cliente viene da noi e ci chiede un twist o modifica di uno o più ingredienti in un cocktail, sta implicitamente chiedendo la sua versione, ma un drink diverso. Abbiamo così deciso di accettare questa sfida e proporre un menù alla Dr Jekyll e Mr Hyde in cui ogni drink, oltre alla sua forma tradizionale, propone la variante in cui l’ossatura del distillato di base è la stessa, ma il resto degli ingredienti sono stravolti da noi”. Fra questi il nostro preferito è “La Profezia di Celestino”, pisco sour, un distillato peruviano, succo d’aloe, nettare d’agave e limoncello. Ispirato alla celebre opera di James Redfield, ambientato in Perù, in cui il protagonista deve affidarsi al flusso delle coincidenze della vita di ogni giorno che, una volta interpretate, lo portano verso il proprio autentico destino.
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