Waiting For Miracles è il nuovo album degli svedesi Flower Kings, una delle band Progressive Rock più interessanti di questi anni.
Prodotto dalla Inside Out, questo album si muove attraverso un percorso lungo e variegato, superando abbondantemente i sessanta minuti attraverso quindici canzoni.
Cominciamo subito col dire che Waiting For Miracles incarna suo malgrado tutte le problematiche, i dubbi e i paradossi del Progressive Rock, o meglio il Progressive Rock fuori dagli anni Settanta. Ha ancora senso suonare questo particolarissimo genere estrapolandolo da quello che era il contesto socio-culturale in cui è nato? Vale la pena rischiare di confrontarsi con i mostri sacri per antonomasia che ancora oggi dettano LA legge della storia della musica?
Perché questi dubbi? Perché ascoltare Waiting For Miracles dei Flower Kings equivale ad ascoltare una copia dei Genesis dell’era di Peter Gabriel. Magari tirata un po’ a lucido, con un mix nitido e meno datato. Però lo stile e le idee restano pressoché le stesse. Anzi forse Gabriel e compagni ci hanno regalato qualcosa di molto meglio.
Waiting For Miracles, a scanso di equivoci, non è un brutto album. La qualità dei musicisti non si può giudicare se non positivamente e i brani si ascoltano anche con un discreto piacere. Non manca anche qualche punto di un certo valore lungo il disco: Spirals, The Bridge, Ascending To The Stars, We Were Always Here, per fare qualche esempio. Tuttavia, non lasciano traccia alcuna del loro passaggio: una volta finito, il brano di turno si dimentica con troppa facilità.
Un album non può scorrere così liscio senza scuotere almeno un pizzico l’anima dell’ascoltatore, senza regalare qualche melodia che possa essere canticchiata o ricordata nei meandri del nostro cervello. Purtroppo Waiting For Miracles provoca una pallida, seppur piacevole, indifferenza. Troppo spesso, ascoltandolo, possiamo riconoscere idee belle, ma già usate in abbondanza, o idee inedite, ma ripetitive e ossessive. Fin troppe volte si nota come un giro di accordi discreto venga eseguito e rieseguito fino allo sfinimento, senza arrivare a un punto di arrivo. Né una jam né una deflagrazione né un colpo di scena. Niente. Allora a che pro fare dieci minuti di brano? Per allungare il brodo e affascinare un ascoltatore ingenuo?
Ai Flower Kings non si perdona anche una certa mancanza di logica e di costruzione.
Waiting For Miracles sembra un’accozzaglia di idee, sistemate a caso un po’ qua un po’ là, senza dare l’idea di un disegno dietro. Non si riesce a trovare un minimo filo conduttore che faccia capire di cosa parli l’album. Non è solo incoerenza emotiva, ma anche argomentativa. Qui non si mescola solo la gioia con la tristezza (miscela anche possibile, se ben costruita). Si gioca a mettere insieme un circo, un universo steampunk, tradimento, guerra, canzone popolare e chi più ne ha più ne metta.
Effettivamente la copertina con l’elefante in equilibrio su delle carte da gioco un po’ anticipa il livello di follia musicale che i Flower Kings vogliono offrire. Ma è un percorso rischioso. O la band possiede la capacità di padroneggiare questo potenziale musicale atomico oppure il disco salta in aria. Giocare con le idee dei grandi è una via che da una parte rassicura, perché fa muovere la band su sentieri già battuti, dall’altra la devasta, perché il confronto è inevitabile e quasi sempre spiacevole.
Waiting For Miracles prende sicuramente spunto da Selling England By The Pound dei Genesis. Ma anche da Script For A Jester’s Tears dei Marillion e qua e là si percepisce qualche influenza perfino dai Pink Floyd. Inevitabilmente un po’ quanto verrà proposto dai Flower Kings piacerà, perché già piaceva tanti anni fa. Tra nostalgici e amanti dei revival non mancheranno apprezzamenti. Tuttavia, non offre nulla di nuovo o di vagamente significativo
Solo pallida indifferenza, seppur piacevole.
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