Nel lontano 2010, alle porte di un’estate scandita dal fischio d’inizio di una partita del mondiale, la mia mente era ancora completamente immersa nel trionfo della competizione di quattro anni prima, con la Nazionale che colorava d’azzurro il cielo di Berlino.
Poi, d’improvviso, eccola qua. La disfatta totale, l’oblio dei vincitori: l’Italia non supera neanche i gironi del Mondiale del Sudafrica. Il sogno è finito. E tristemente io, con i miei amici, ci siamo salutati e siamo ritornati ognuno a casa propria. Ma il destino ha voluto che il sottoscritto, quel giorno di fine giugno del 2010, si sia diretto in un altro luogo.
Per cercare di compensare il dolore calcistico, la mia mente ha cercato rifugio nella lettura, un modo per concentrare la mente totalmente da un’altra parte. Ma dopo aver comprato un piccolo libro, dalla fila vidi un fumetto, un manga per la precisione, Berserk.
La copertina era sporca ma ordinata, oscura ma accecante: la simbiosi è stata tale che, neanche il tempo di sfogliare quelle pagine misteriose e il volume tre dell’opera di Kentaro Miura era pronto per essere portato a casa.
Iniziare a leggere Berserk significa andare incontro ad un percorso dove l’horror si unisce al fantasy, dove la filosofia giganteggia nella maniera più veemente: come Ken il Guerriero dieci anni prima o Rocky Joe negli anni Sessanta, anche Berserk cerca di scardinare l’idea tipica del fumetto mondiale.
Il manga seinen (indirizzato quindi ad un pubblico adulto) di Miura è un inno oscuro al destino dell’uomo, un percorso segnato da violenza, amore, fratellanza e odio. La crescita interiore del protagonista Gatsu è un saliscendi di emozioni, rappresenta a pieno l’archetipo dell’antieroe.
Se da una parte infatti vediamo un protagonista cinico, violento e senza scrupoli, dall’altra notiamo, sin da subito, una sfera malinconica di fondo, una parte nascosta del personaggio che vedrà la luce poco dopo con l’arco narrativo del flashback della vita di Gatsu.
In un Medioevo alternativo veniamo a scoprire, pian piano, la storia del protagonista: dalla sua vecchia compagnia di mercenari, la squadra dei Falchi, al suo incontro con l’amico/nemesi Grifis.
Berserk si articola quindi in uno stile tra Hellraiser e Ladyhawke, un intreccio in completo stile anni Ottanta che fa del fantasy/horror la sua punta di diamante: se a questi palesi riferimenti aggiungiamo anche citazioni ad importanti artisti come Escher e Bosch, il risultato non potrà che essere un capolavoro di immane portata.
Come la fine di un sogno, anche Berserk è arrivato ad un suo termine: non perché la storia non avesse più nulla da offrire (anzi, il contrario semmai), ma perché Kentaro Miura, il creatore del manga, è morto il 6 maggio di quest’anno. E tra i suoi ultimi lasciti vi è proprio un capitolo del manga, il capitolo numero 364, gli ultimi disegni del maestro giapponese.
Uscito due giorni fa, il capitolo contiene il testamento artistico di Miura, un uomo che ha fatto della sua professione la sua stessa vita. È un ultimo viaggio che tutti noi che abbiamo amato Berserk compiamo con gioia, ma anche con rimpianto e tanta tristezza.
Gioia perché, come ogni ultimo capitolo di un manga/fumetto, si scopre la fine del viaggio del protagonista, nel bene e nel male. Rimpianto perché sì, Berserk aveva bisogno di più tempo per poter rispondere a tante (molte!) domande. Tristezza perché con questo manga non si chiude solo la sua storia, ma anche il rapporto che tutti noi avevamo con Kentaro Miura.
Un rapporto illusorio, un rapporto che non esisteva ma che in realtà era ben presente: era un filo nascosto che teneva uniti i corpi di noi lettori al mangaka. Mi piace pensare che, almeno per un po’, anche io abbia donato al buon Miura una parte della mia energia vitale per continuare a portare avanti, il più possibile, quel grande capolavoro chiamato Berserk.
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