È nato il Festival dell’Orso, un progetto made in Cilento, una pagina Facebook di divulgazione e condivisione musicale dedicata a Pierluigi Di Vico, giovanissimo musicista scomparso meno di un anno fa, da un’idea di suo fratello Vincenzo.
La scomparsa di Pierluigi ha lasciato un intero territorio nello sgomento, e ha invitato tutti noi altri a chiederci dove tutta industrializzazione ci stia portando. Qual è il prezzo da pagare per riuscire ad essere sempre iper connessi? Una carrellata di studi ed evidenze scientifiche sulla pericolosità dall’uso comune dei cellulari pone dei dubbi sulle linee guida internazionali che normano i limiti delle radiazioni. Siamo tutti realmente consci di tutto ciò, eppure le antenne di telefonia continuano a spuntare a macchia d’olio in zone sempre più vicine ai centri abitati e l’incidenza di tumori si accresce con esse. Come non menzionare poi l’inquinamento ambientale che è ormai un fenomeno ubiquitario e capillare e l’esposizione ad agenti biologici (quali gli alimenti transgenici e i virus), fisici (come le radiazioni ionizzanti e non-ionizzanti), e chimici (metalli pesanti, pesticidi, diossina, ecc.) che persistono nell’ambiente, si bio-accumulano negli esseri umani e causano alterazioni dell’espressione genica, riguarda l’intera popolazione umana, le generazioni future e l’intera eco-biosfera. L’OMS ha recentemente stimato che 1/4 delle malattie e delle morti dovrebbe essere oggi attribuito a fattori ambientali modificabili, e quindi prevenibili. Le ricadute sulla salute sono sempre più evidenti e sono testimoniate dalla transizione epidemiologica che fa registrare un aumento delle malattie cronico-degenerative e produce l’aumento dei costi biologici e sanitari, mettendo a rischio la sostenibilità̀ del sistema sanitario stesso. In questo contesto i medici possono esercitare un ruolo attivo e centrale, poiché́ hanno le capacità, il dovere e la responsabilità̀ di agire nell’interesse pubblico, trasferendo sia alle comunità̀ che alle istituzioni le informazioni sui rischi legati alle modificazioni ambientali e sui vantaggi che si avrebbero evitando tali rischi. Eppure siamo ancora molto lontani da una presa di coscienza totale.
A tal proposito scambiamo quattro chiacchiere con Vincenzo, che le conseguenze di questo fenomeno le ha vissute in prima persona in famiglia, mente e direttore artistico del Festival dell’Orso.
Ciao Vincenzo, innanzitutto grazie per questa chiacchierata e per mettere la tua storia al servizio di noi altri. Sei la mente e direttore artistico di un progetto che sta per svilupparsi, il Festival dell’Orso, in memoria di tuo fratello, musicista e amante della musica, prematuramente scomparso, meno di un anno fa. Ti va di raccontarci la genesi di questo progetto?
Ciao Fabiana, grazie a te per l’interesse. Questo progetto nasce con l’intenzione di commemorare la sua memoria – soprattutto nelle prime fasi, quando non era per niente facile accettare quello che è successo – e il miglior modo per farlo ho pensato da subito fosse la musica. L’idea in se mi è venuta durante il periodo del Festival di Sanremo che rispecchia il contrario del concetto di musica che amava Pierluigi. È un festival in cui si esibiscono giovani emergenti con la speranza di farsi notare, ma anche artisti che ormai sono quasi al tramonto della loro carriera ma cercano ancora di recuperare credito in una manifestazione che troppo spesso non ha seguito a livello musicale; le canzoni che passano a Sanremo troppo spesso muoiono anche nelle stesse serate della kermesse. Ed è stato proprio in quel frangente che ho pensato alla contrapposizione tra questo tipo di musica e quella che amava lui, cioè l’indipendente. Unendo questa riflessione con la stessa idea di fare qualcosa nel suo ricordo, ho pensato che un Festival potesse essere la giusta soluzione. Lui era un amante di questo tipo di manifestazioni, abbiamo seguito insieme un numero vasto di festival, sia in Campania che fuori dalla regione. Non mi piaceva strutturare il tutto come un memorial perché sarebbe molto riduttivo come messaggio, pur volendo comunque far suonare tutti i suoi amici musicisti, probabilmente come corollario del Festival stesso.
Ti è venuto in mente durante l’edizione del Festival in cui hanno partecipato gli Zen Circus, uno dei suoi gruppi del cuore?
Sì, anche se in realtà l’idea del Festival dell’Orso è iniziata già in maniera silenziosa precedentemente, sul mio profilo personale, prima di coinvolgere gli altri componenti del gruppo che mi stanno aiutando a mettere in piedi questa idea strutturata. Come ti dicevo precedentemente, lui amava la musica indie, da qualche anno in particolare aveva iniziato a scoprire gruppi come gli Zen Circus e i FASK, anche se essendo un conoscitore profondo di musica, ha attraversato varie fasi come il punk californiano, poi il rock americano e grazie alla fruibilità musicale che ci ha regalato la diffusione di internet, si è avvicinato al mondo degli indipendenti con l’attitudine di chi amava scoprire gruppi e realtà musicali nuove anche solo sfruttando i suggerimenti di YouTube e farla scoprire a chi lo circondava. Quindi l’idea del Festival dell’Orso è nata proprio come il creare uno spazio di condivisione e divulgazione di nuova musica, così come ha fatto e avrebbe continuato a fare lui.
E invece chi era tuo fratello e quanti pezzi di vita ha regalato alla musica, la sua più grande passione?
Per dirti quanta vita ha regalato alla musica ti racconto un aneddoto. Dopo la sua scomparsa, Daniele Celona mi ha contattato per farmi le sue condoglianze e dispiacendosi del fatto che non avesse potuto sentire il suo ultimo CD. La grandezza di mio fratello stava proprio nel creare rapporti umani con tutti gli artisti, che a loro volta si legavano a lui. Una sera eravamo all’OFF TOPIC di Torino, quando anche lì vedo delle persone salutarlo, erano gli Eugenio in Via Di Gioia che Pierluigi aveva conosciuto precedentemente ad un altro festival l’anno precedente. Penso ancora ai Cara Calma, il gruppo di Brescia, che Pierluigi chiamò ad esibirsi in un locale a Pellare (SA) dove curava la direzione artistica, e da quel momento i loro contatti sono rimasti giornalieri, tanto è vero che mi hanno contattato rammaricati dopo l’accaduto. Era così totale la sua passione che aveva un riscontro da parte degli artisti stessi. Due anni fa insieme partecipammo al Color Fest di Lamezia Terme, ripensando proprio a quella particolare trasferta fatta insieme, a come è strutturato quel festival che racchiude tutti gli artisti del cuore di Pierluigi, ho pensato subito “perché non provare a riprodurre qualcosa anche nella nostra piazza?”. Nella nostra terra ci sono molte persone che ascoltano la musica indie, che suonano la musica indie, ma non esistono punti di riferimento come un locale o una piazza di ritrovo aggregativa. La musica era presente in ogni cosa che lui faceva, quindi il miglior modo per rendergli onore è la speranza di fare qualcosa di bello in suo nome. Ed è per questo che vorrei provare a riempire la piazza del nostro paese portando i gruppi che egli amava, e farlo nel posto che amava.
Che ruolo può avere la musica nella prevenzione di determinate malattie secondo te? Penso ad esempio ad un gruppo, i Deproducers, quattro grandi artisti come Max Casacci dei Subsonica, Riccardo Sinigallia, Vittorio Cosma degli Elio E Le Storie Tese e Gianni Marroccolo ex Litfiba, che sono nati per suonare e raccontare la scienza. Il loro ultimo album, DNA, è un contributo totale di introiti per l’AIRC. Qualcosa sta iniziando davvero a muoversi, la musica sta riuscendo veramente a veicolare messaggi sociali?
Per me la musica contiene molti messaggi sociali ma molto spesso non ce ne accorgiamo nemmeno. Per farti un esempio penso al brano “E’ colpa mia” del Teatro degli Orrori che racchiude un messaggio sociale molto potente. Siamo abituati a sentire e non ascoltare, ci concentriamo sulle sonorità, sul singolo strumento, ma non su ciò che la canzone ci vuole comunicare. Il suo testo è un’accusa sociale potentissima e ritengo che esprima davvero quello che sta succedendo alla nostra società. Non prestiamo più attenzione agli altri, non ci rendiamo conto di ciò che ci circonda e se ce ne accorgiamo ci giriamo dall’altra parte. Ed è proprio questo quello che lui amava della musica indie, il fatto che nei suoi testi c’è un ragionamento, un voler far aprire gli occhi su alcune tematiche. Uno degli singoli di Levante, altro grande amore di Pierluigi, “Bravi Tutti Voi”, è un brano contro l’apparenza, nonostante il ritmo trasportante e il video così sfarzoso. Per me la musica è un forte veicolo sociale ma troppo spesso ciò non viene recepito.
Siamo veramente così lontani dall’epoca delle vere rivolte sindacali degli anni 60 e 70, anni baluardo della musica dei decenni successivi?
Secondo me si, perché purtroppo vedo davvero troppo disinteresse nella nostra società. Guardo e mi giro dall’altra parte. Pensa a ciò che sta accadendo nei confronti di Greta Thunberg e a tutto l’odio che si è scatenato ai suoi danni sui social, questo ha una origine molto chiara: Greta non ci ha detto nulla di nuovo o che non sapessimo già, ma ci ha detto qualcosa che non vogliamo sentire. Che il mondo stesse andando in rovina lo abbiamo sempre saputo; non è solo la plastica che inquina, lo fanno le fabbriche, lo fa la stessa arte, il cinema inquina tantissimo. Più di tutto inquina internet, i server che lo gestiscono inquinano massivamente, non salviamo il pianeta con il plastic free ma con delle rinunce che non vogliamo fare. Non siamo disposti per toglierci il benessere per il pianeta. I singoli possono fare eccezione, ma nella pluralità di una società che bada più all’apparenza che all’essenza, la realtà è questa e dunque le rivolte degli anni 60/70 le vedo proprio lontanissime.
Per ora questo progetto si sviluppa come una pagina Facebook che diventa uno spazio di condivisione musicale, assecondando i gusti di Pierluigi, amante di tanti gruppi e progetti, ma in particolare degli Zen Circus e dei Fast Animals e Slow Kids, loro allievi. Siamo nell’epoca delle canzoni destinate a durare il tempo di una stagione, nate per finire nella Viral 50 di Spotify e non negli annali, è un modo per continuare quello che lui aveva iniziato, cioè una educazione musicale rivolta a più o meno tutti?
Esattamente, è anche questo. È il promuovere della musica che non sia solo la moda del momento, il tormentone della stagione che poi rimuovi completamente. È un tentativo di promuovere la musica che contiene un messaggio e dei musicisti validi e talentuosi che non sono ancora noti. Penso sempre ai Fast Animals and Slow Kids, un loro live ha una carica rock che non ha nulla da invidiare ai Foo Fighters. A lui piaceva la musica fatta per l’amore di esprimersi, non come mera fonte di guadagno.
La mission di questa idea è di tramutarsi in un vero e proprio festival musicale radicalizzato nella nostra terra, il Cilento. Terra che tutti amiamo ma che a livello di occasioni non è propizia per chi decidere di rivolgere all’arte la sua vita. Facciamo girare il messaggio che I nostri sono territori molto belli ma molto periferici che rischiano – soprattutto nelle zone appena un po’ più interne – lo spopolamento e che questi eventi sono evidentemente delle fonti di energia che esaltano i territori, li fanno diventare in alcuni momenti dell’anno centri nevralgici di attenzione, di convergenza di quelle forze spirituali e creative che – seppur solo per alcuni giorni all’anno – fanno di queste terre un fulcro, un centro, un capoluogo?
Esattamente. Tra le cose che ho pensato prima di dare origine a questa idea sono state una serie di conversazioni proprio fra di noi. Pensa che una sera siamo andati allo SMAV di Santa Maria a Vico, Caserta, per vedere i FASK e ritornare indietro, tutto in una serata. E denunciavamo proprio il fatto che da noi mancasse un punto di raccolta musicale, partendo proprio dalla constatazione che Santa Maria a Vico è un paese con lo stesso numero di abitanti di Vallo della Lucania, se non inferiore, però lì sono riusciti a creare una realtà che fa muovere la persone anche da molto lontano. Quindi quando questo progetto sarà in una fase più avanzata, la promozione non dovrà essere solo locale ma anche regionale, perché comunque parliamo di gruppi che sono seguiti a livello nazionale. Il problema delle nostre zone è che spesso è mancato proprio lo spirito di organizzazione, a questo dobbiamo provare a rimediare. Stiamo pensando di strutturare anche una campagna di crowdfunding che ci permetta di avere dei fondi, al di là degli sponsor, per organizzare al meglio questo Festival.
Pierluigi era un fulcro di passione e attivismo nel Cilento e non solo. Anche chi non lo conosceva di persona lo conosceva in qualche modo. Il suo ricordo mira a portare i giovani creativi in una vicenda di protagonismo, di farli sentire gli artefici di un processo sociale, culturale, non come quelli che stanno in un angolo, vedono da lontano i problemi e li cantano e li poetizzano, ma quelli che portano avanti una storia locale, di territorio e arte?
Sì, lui ha avuto sempre questa tendenza a stare in mezzo alle associazioni e all’attivismo, gli piaceva molto organizzare e condividere, così come creare una rete di amicizie basate sulla musica, sugli stessi gusti o sul piacere della scoperta artistica. Quando ha organizzato la rassegna musicale a Pellare, lo ha fatto con lo spirito di portare nella sua terra artisti nuovi e aiutare i suoi amici ad ampliare i propri orizzonti musicale. Ha sempre avuto questa natura aggregativa, gli altri ormai lo usavano come riferimento sia musicale che umano. Era un fulcro involontario di anime e arte.
Un modo dunque di omaggiare una persona che la musica la conosceva, la amava e la rispettava. Un modo di aggregare coetanei con la stessa passione, in suo nome. Divulgare cultura, passione e impegno, tutto ciò che in questa generazione sempre troppo concentrata sull’IO e sull’isolamento da tastiera sembra mancare. E noi lo facciamo insieme al Festival dell’Orso, supportandoli e incitandoli a dare uno scossone a ognuno di noi e ai nostri egoismi personali (ndR)
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