La recensione di Radiofreccia, esordio alla regia di Luciano Ligabue, uscito nei cinema il 16 ottobre del 1998 e acclamato da pubblico e critica.
Sono passati venti lunghi anni da quando abbiamo conosciuto Freccia, un giovanissimo Stefano Accorsi, abbandonato nella molle bassa reggiana, Emilia profonda, che moriva di suicidio dopo l’ennesima delusione. Tratto dal racconto Fuori e dentro il borgo, antologia di Luciano Ligabue (letture consigliate dalla redattrice: La neve se ne frega), narra della vita di un gruppo di giovani, Bruno Iori, poi speaker radiofonico di Radio Raptus, e alter ego di Ligabue, il tragico Tito, l’egocentrico, cinico, e iper realista Boris, e il povero Iena.
La iper libertina moglie di Iena lo tradisce ripetutamente con Boris, personaggio contrapposto sia all’innata bontà e saggezza di Bruno, un vero e proprio grillo parlante, che all’ingenuità di Freccia. Quella voglia sulla tempia, rossa, un marchio: un ragazzo idealista, forse eterno adolescente, che non riesce a scendere a patti con la famiglia e con la concreta durezza della vita.
La profonda piattezza delle scenografie padane, con piccole soluzioni di continuità quali sono i paesi, con le torri delle chiese, dona un senso di claustrofobia, sebbene resa più sopportabile dai delicati e sinceri giri di chitarra della colonna sonora: un horror mancato, quale era La casa dalle finestre che ridono, Radiofreccia è invece una storia country, dotata della stessa veridicità di Tre manifesti a Ebbing, Missouri.
La fotografia, colorata ma dotata dell’effetto di far apparire la bassa Padania come vintage e distante dal mondo esterno, è affidata a Arnaldo Catinari, collaboratore di Sergio Sollima per Suburra – la serie. Il film è strutturato, dalla sceneggiatura di Luciano Ligabue, come una sorte di Inferno, una spirale discendente, un cono rovesciato. Si inizia col visualizzare le situazioni di ognuno dei ragazzi, i loro problemi, i loro caratteri, descritti con poche pennellate ma ottima perizia narrativa; il cerchio si stringe sempre più su Freccia, che diviene il focus della vicenda, anche se sono presenti piccole montagne corali quali la famosa scena del pesce siluro.
La disillusione di Freccia lo porterà a scendere nel tunnel della tossicodipendenza, da eroina, la più seducente e distruttiva fra le sostanze, cui una donna riuscirà a trarlo al di fuori, ma un’altra lo porterà alla morte. Cos’è, dunque, Freccia? Fino a dove le scelte che hanno portato al suicidio sono state le sue, e fin dove è stato vittima degli eventi, passivo, mai incapace di reagire? Ligabue si esime dal giudicare, lascia che siano i suoi personaggi a parlare: i figli della generazione X, quella trovatasi in mezzo al baby boom e ai già disillusi, per propria natura, nati negli anni ’80. Quelli che già grandi hanno dovuto capire cosa fosse la Guerra Fredda, che si sono ritrovati eredi dei famosi posti fissi acquisiti dai genitori boomers; padri padroni fuori dall’epoca descritta da fratelli Taviani nel 1977. Ragazzi schiacciati nella provincia, fra la noia, le sigarette, le droghe, l’AIDS, la musica psichedelica e la new wave che andava estinguendosi. Quelli nati senza Beatles, senza un Dio, senza un Duce da amare o odiare ma, come dice Freccia, eterno ignavo, nel suo famoso discorso:
Forse lì c’è qualcuno che non dorme, be’ comunque che ci siate oppure no, io c’ho una cosa da dire. Oggi ho avuto una discussione con un mio amico; lui… lui è uno di quelli bravi, bravi a credere a quello in cui gli dicono di credere. Lui dice che se uno non crede in certe cose non crede in niente. Be’ non è vero… anch’io credo…Credo nelle rovesciate di Bonimba, e nei riff di Keith Richards.
Credo al doppio suono di campanello del padrone di casa che vuole l’affitto ogni primo del mese.
Credo che ognuno di noi si meriterebbe di avere una madre e un padre che siano decenti con lui almeno finché non si sta in piedi.
Credo che un’Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa.
Credo che non sia tutto qua, però prima di credere in qualcos’altro bisogna fare i conti con quello che c’è qua, e allora mi sa che crederò prima o poi in qualche Dio.
Credo che se mai avrò una famiglia sarà dura tirare avanti con trecento mila al mese, però credo anche che se non leccherò culi come fa il mio caporeparto difficilmente cambieranno le cose.
Credo che c’ho un buco grosso dentro, ma anche che il rock n’ roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici ogni tanto questo buco me lo riempiono.
Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx.
Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri. Credo che per credere, certi momenti ti serve molta energia. Ecco, allora vedete un po’ di ricaricare le vostre scorte con questo...
Concludendo poi con Rebel Rebel di David Bowie.
La colonna sonora di Radiofreccia, poi, è fra i migliori lavori, i più iconici, di Luciano Ligabue dei momenti migliori. Quando era cantore di sentimenti semplici e reali, cantore del popolo ma di un popolo che è in grado di connettersi gli uni con gli altri; un Ligabue che, neanche a dirlo, si è estinto dai primi duemila, con Fuori come va. Chissà, saranno stati i social network, ma il generale istupidimento ha colpito anche il pubblico di Ligabue, che, per ovvie ragioni, ha svolto un certo shift di contenuti e livello lessicale. Tralasciando ciò, torniamo alla colonna sonora.
La soundtrack di Radiofreccia è uscita in vari formati: un doppio cd, in cui il primo è l’originale soundtrack di Ligabue, mentre il secondo rappresenta rock classico che Bruno propone nella sua radio: Bowie, Roxy Music, Iggy Pop, Credence Clearwater revival, fra gli altri, in un’ensemble che è sempre gradevole ricordare; nel formato ad un solo cd i brani più famosi di Ligabue presenti nella soundtrack annessi alle hit dell’originario cd due.
L’edizione originale si apre col tema di Radiofreccia, un malinconico country, lenta batteria e chitarra acustica che canta un lamento che si va a perdere nelle tristi e verdi pianure emiliane. Fiumi che scorrono mesti nella calura estiva, mossi solo da quella leggera distorsione di chitarra. Abbiamo poi un grande classico, un brano che a Ligabue valse il Nastro d’Argento del 1999: Ho perso le parole. Ballad rock che non ha bisogno di presentazione, si snoda su frammenti di vita vissuta, quei frammenti sui quali non si ha nulla da dire perché troppo vividi per essere descritti. Ci spostiamo su segmenti più rock con la breve Welcome Home Freccia, assolo di chitarra che segue gli stessi accordi del tema portante.
C’è un pezzo di cuore di ogni ragazzo nato in Italia nei primi ’80, in Bordocampo. Brano che accompagna la partita di calcetto, scena in cui Freccia si lancia contro i calciatori della squadra avversaria a palla ancora al centro; da ricordare qui il cameo di Francesco Guccini nei panni dell’alllenatore.
Altro colpo al cuore per Metti circolo il tuo amore. Brano che è la descrizione del tormento interiore di Freccia. Persona forse troppo poco amante del bene, dell’amore, che ha sempre tenuto forse in riguardo troppo scarso l’affetto degli amici, e, soprattutto, per sè stesso. Uno che si è lasciato trascinare da un mare di eventi, un mare pieno di pesci siluro, ma che il suo, personale, di amore, non l’ha mai immesso in quel flusso. Una lenta ballad ottimamente prodotta, priva di batteria che viene sostituita da un dobro: il basso con effetto tremolo mima chiaramente le pulsazioni nei polsi.
Il primo violino di Radiofreccia è nella malinconica da Marzia. Marzia, una delle donne della vita di Freccia: colei che è riuscita, rinchiudendolo in casa, a fargli lasciare il tunnel della droga. Intepretata da Patrizia Piccinini, ama profondamente Freccia, ma ne è comprensibilmente distaccata. Non si lascia avvolgere nella spirale che lo porterà alla morte; ecco il perché di questo brano, dolceamaro.
Rilevantissimo brano è Prima pagina del libro d’oro. Strumentale, gode di una intro che vanta una batteria sostenuta e un unicum nella disografia di Ligabue: filtri vocali. Non c’è la primaria importanza della sua voce roca, ma il grandioso accompagnamento synth-new wave, quel giro di basso geniale, la fanno da padrone. Sfociando nel prog, La Prima Pagina del Libro d’Oro è uno dei momenti più ispirati: l’accelerazione psichedelica finale è incredibile sia stata scritta dallo stesso Ligabue che poi ci avrebbe propinato Happy Hour.
La tripletta finale della colonna sonora di Radiofreccia è composta da Boris segna il territorio. Boris, lo stronzo. Arpeggio di chitarra e viola distante. Boris, quello che aveva già deciso la vita di Bruno, nel famoso discorso che inizia con quelli come te.
La famosa scena del furto del pesce siluro nel laghetto della villa dei ricconi è descritta dalla folkeggiante e gioiosa Pesce Siluro, bonghi e lap steel guitar.
Il finale è affidato alla grandiosa Siamo in onda. Brano misconosciuto di Luciano Ligabue, essendogli stata rubata la scena da canzoni relativamente simili quali Leggero. Accompagnamento delicato di chitarra, ritmi da beat generation anni ’60 in Inghilterra. La protagonista è l’onda radio: è leggera, è ovunque, ha solo bisogno di uno strumento per essere decodificata. Spia le vite degli ascoltatori, attraversa le tapparelle, non le interessa dei nostri personali dolori: lei c’è. Lei è la musica. Ed è ciò in cui tutti i pazzi incontrati in RadioFreccia credono.
Concludiamo con le parole di Bonanza, il matto del paese, che aprono Radiofreccia e che, mano a mano che si cresce, si cambia, che il film invecchia e prende un altro sapore, sembrano sempre più vere.
Quante volte ve lo devo dire?!La vita non è perfetta.Le vite dei film sono perfette:belle o brutte, ma perfette.Nei film non ci sono tempi morti,la vita è piena di tempi morti.Nei film si sa sempre come va a finire,nella vita non lo sai mai…
Artwork e tracklist di Radiofreccia – Le musiche e le canzoni di Luciano Ligabue
- Radiofreccia – 3:31
- Ho perso le parole – 4:28
- Boris – 1:13
- Welcome home, Freccia – 1:36
- Bordocampo – 1:09
- Freccia – 1:07
- Metti in circolo il tuo amore – 3:44
- Da Marzia – 1:54
- Bruno – 0:19
- Prima pagina del libro d’oro – 3:41
- Mezzanotte di fuoco – 0:50
- Boris segna il territorio – 0:52
- Pesce-siluro – 1:02
- Siamo in onda – 3:18
- Bonanza – 0:32
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