Volevo Nascondermi è uno dei tanti film che ha sofferto dell’uscita rimandata a causa del Coronavirus allo scorso 19 agosto, ma custodisce al suo interno una storia commovente, che merita di essere raccontata.
Giorgio Diritti mette in scena probabilmente la migliore delle sue opere finora realizzate per il cinema, che non può fare a meno di scuotere e di convincere lo spettatore.
A raccontare il viaggio nella propria anima del pittore protagonista è Elio Germano, che proprio allo scorso Festival internazionale del cinema di Berlino ha trionfato di fronte alla giuria ed è stato premiato con l’Orso d’Argento per la sua magistrale interpretazione del pittore Antonio Ligabue.
Germano non è un principiante nell’immedesimarsi in una vita travagliata ed incerta come quella di Antonio Ligabue.
Già 6 anni fa infatti Elio Germano si era calato perfettamente nei panni di uno dei poeti più straordinari della storia della letteratura italiana, Giacomo Leopardi. Il capolavoro Il giovane favoloso racconta della breve e intensa vita del poeta dall’adolescenza nella natia Recanati, dove scopre la passione per le “sudate carte” fino al soggiorno napoletano in compagnia di Antonio Ranieri, dove spende gli ultimi giorni sulla schiena dello “sterminator Vesuvio“.
A differenza di Leopardi però che, nonostante spesso non venga apprezzato da coloro che non l’hanno capito, è noto praticamente a tutti, Ligabue viene troppo spesso ignorato.
A rimediare ci pensa Volevo Nascondermi, un biopic struggente che ci permette di guardare con i nostri stessi occhi nella vita del pittore Antonio Ligabue.
“Ero un uomo emarginato, un bambino solo, un matto da manicomio, ma volevo essere amato.”
Antonio Ligabue nasce in Svizzera nel 1899 da genitori italiani da cui viene ben presto allontanato per essere affidato ad una coppia di svizzeri tedeschi. La vita di Antonio Ligabue prende così la piega meno crudele ma non meno sofferta. Fin da piccolo infatti fu costretto ad un’infanzia e ad una adolescenza difficili.
Dapprima colpito dalla tragica morte della madre biologica e di tre fratelli, Antonio cominciò a soffrire di diversi disturbi fisici, come il rachitismo e il gozzo, e mentali che lo costringeranno ad essere ricoverato più volte in diversi ospedali psichiatrici.
Nel 1919 venne espulso dalla Svizzera a seguito dell’aggressione nei confronti della madre adottiva e mandato in Italia, per la precisione a Gualtieri dove condurrà per anni una vita povera e solitaria, fatta di privazioni e di stenti.
Qui incontrerà lo scultore Renato Marino Mazzacurati, che si potrebbe definire come l’incarnazione di un’illuminazione per Ligabue: quella di dedicarsi completamente alle arti visive ed in particolar modo alla pittura.
L’arte era la sua voce. Nei suoi dipinti, che hanno spesso uno sfondo esotico nonostante non abbia mai viaggiato, dimostrando quindi di avere comunque una grande conoscenza, Antonio Ligabue riesce ad esprimere tutto ciò che non riesce a dire a parole.
E Ligabue merita di essere conosciuto, e quale modo migliore per farlo se non attraverso i suoi lavori?
Una delle sue più grandi capacità era quella di riuscire a trasformare qualsiasi cosa, materiale e immateriale, in fonte d’ispirazione da rappresentare nei suoi dipinti. Dai ricordi d’infanzia alle vicende quotidiane, dai paesaggi alle cartoline, e ciò ci permette di andare oltre e di guardare non solo nella sua mente ma anche nella sua anima.
La fama e la consacrazione arriveranno purtroppo troppo tardi, soltanto qualche anno prima di essere colpito da una paresi che lo costringerà all’ennesimo ricovero nella struttura che l’aveva già ospitato in precedenza e dove la morte riscatterà la vita dell’artista.
Antonio Ligabue era un uomo solo, rachitico, troppo spesso deriso e umiliato. E tutto questo perché era diverso.
Allontanato da quando era piccolo dalla sua famiglia e costretto a sottomettersi al desiderio di volersi nascondere, attraverso la struggente interpretazione di Elio Germano riusciamo a capire quanto avesse bisogno soltanto di un po’ di amore e di comprensione.
“Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all’ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore.”
Questa la frase dolente riportata sulla sua lapide.
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