Presentato in concorso alla 17° edizione di Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma dedicata alle nuove generazioni, Don’t Forget to Breathe racconta l’incertezza di un giovane ragazzo alle prese con i problemi e le gelosie adolescenziali
Noi di Shockwave Magazine, abbiamo avuto modo di guardare Don’t Forget to Breathe, una coproduzione italo-slovena-croata scritta e diretta dal regista triestino Martin Turk alla sua opera terza. Seppur in molti hanno sottolineato il fatto che la pellicola ricordi le atmosfere del cinema di Luca Guadagnino, siamo molto lontani dalle emozioni, dalla qualità tangibile, dalla delicatezza e dalla riflessione sulla bellezza che ritroviamo in Chiamami col tuo nome.
Tuttavia, il lavoro di Turk è introspettivo ed imprime una notevole considerazione ad uno scenario naturalistico, esaltato dalla fotografia di Radislav Jovanov, che è il vero protagonista del film, nonché cornice del racconto dell’instabilità adolescenziale che in un’estate ha cambiato per sempre la vita del giovane e irrequieto Klemen (Matija Valant).
Sinossi
Ci troviamo in una piccola e remota città rurale slovena. Klemen, un quindicenne introverso e vulnerabile, vive insieme alla madre single (Iva Krajnc Bagola) e al fratello maggiore Peter (Tine Ugrin) con cui è molto legato e che lo ha iniziato al tennis, facendolo diventare una promessa di questo sport anche grazie al “mito Djokovic”. La loro quotidianità scorre normalmente e i due passano intere giornate insieme, ma le loro vite vengono stravolte da Sonja (Klara Kuk), una coetanea di cui si innamora Peter. Mentre il fratello ormai è proiettato verso una vita adulta e responsabile, Klemen si ritrova in uno stato di gelosia confusionale, dove le sue azioni, spesso oltre i limiti della legalità, sono dettate dai sentimenti contrastanti che prova verso Sonja: rancore per avergli portato via il tempo dell’amato fratello ed amico, e attrazione per l’oggettiva bellezza della ragazza.
Klemen rappresenta il classico adolescente: confuso, arrabbiato, sopraffatto dalle vicissitudini della vita in cui si sente isolato e inadeguato. E allora si ritrova a mettere in discussione tutto, dalla visione del mondo tipica del suo ambiente all’amore fraterno. Si trova in una sorta di limbo, si sente sospeso, non sa bene cosa cercare e, come molti coetanei nella sua condizione, gli capita di sbandare, di disperdere le proprie energie, di idealizzare persone e situazioni e poi di incontrare la delusione e il crollo emotivo delle aspettative. All’improvviso non si sente più quel bambino che corre per i campi con il fratello Peter, ma si confronta con la sessualità che fa conoscere nuovi istinti del suo corpo, dando a questa la possibilità che entri nello scambio con l’altro sesso e con l’amore.
Ed è proprio questo il tema di Don’t Forget to Breathe: raccontare gli anni della sperimentazione di sé, quella della perenne incertezza di fondo, durante i quali non è sempre chiaro chi si è, che cosa si vuole e soprattutto quale sia la propria meta.
Sebbene occasionalmente si spera che qualcosa succeda da un momento all’altro, la sceneggiatura rimane piatta, manca della giusta incisività e non ha il coraggio di imprimere le stesse sensazioni tumultuose del protagonista. Tuttavia, c’è da aggiungere che il merito di Don’t Forget to Breathe è quello di far intraprendere allo spettatore un percorso auto-riflessivo, grazie soprattutto al racconto di una storia con diversi spunti autobiografici -Turk stesso ha sottolineato il fatto che il suo vissuto ha ispirato il personaggio di Klemen- nonostante sia catapultata in un ambiente che a volte sembra al di fuori dello spazio-temporale che ci circonda.
Don’t Forget to Breathe appartiene a quella categoria di film che, con un pizzico in più di intraprendenza, avrebbe potuto dare di più.
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