Don’t Worry Darling è un film del 2022, horror psicologico o presunto tale, diretto da Olivia Wilde, con un cast d’eccezione.
Lo ammetto, avevo grosse aspettative su Don’t Worry Darling. Vuoi per il debutto alla regia di Olivia Wilde (The O.C., Tron: Legacy, Richard Jewell, per citare solo un quarto della sua filmografia), vuoi perché la protagonista è Florence Pugh (di cui mi sono innamorata in Piccole Donne e che continuo ad amare come Yelena Belova nell’MCU), vuoi anche perché dal trailer sembrava effettivamente un bel thriller psicologico inquietante.
Beh…non è stato esattamente così. Ma andiamo con ordine.
La trama di Don’t Worry Darling
Al centro di tutto c’è la cittadina di Victory, California, sperduta in mezzo al deserto e che sembra uscita direttamente dagli anni Cinquanta. Qui, Alice (Florence Pugh) vive con il marito Jack (Harry Styles) una vera e propria vita idilliaca, complice anche quella che sembra una routine ben assestata, in cui gli uomini della comunità vengono serviti e riveriti dalle loro mogli, che al mattino preparano loro la colazione e li accompagnano alle loro auto (tutte uguali, cambia solo il colore), pronti per l’ennesima giornata di lavoro. Tutti, infatti, lavorano per quello che viene denominato il Progetto Victory (arrivato a quasi mille giorni di operatività), e a capo di tutto c’è Frank (interpretato da Chris Pine), una figura che fin da subito sembra piuttosto presente nelle vite della comunità, di cui è anche il fondatore, anche grazie ai messaggi registrati alla radio o alla TV, e alla forte propaganda che porta avanti grazie a eventi e apparizioni pubbliche.
Le donne della comunità, poi, trascorrono le giornate pulendo la casa, facendo shopping e bevendo alcolici di ogni genere; frequentano anche una classe di danza, tenuta dalla moglie di Frank, Shelley, che ama ripetere “C’è bellezza nel controllo”, come se fosse un mantra.
Ogni sera, Alice fa trovare a Jack la cena pronta e i due hanno rapporti sessuali piuttosto frequenti (come racconterà anche Bunny, il personaggio della Wilde). Compaiono anche altre coppie, con cui Jack e Alice hanno un rapporto d’amicizia, una nuova coppia appena arrivata (Bill e Violet), e poi c’è Margaret, che sembra essere totalmente impazzita e delira sulla non realtà di Victory. Si viene poi a sapere di un “incidente” in cui, durante uno dei suoi raptus di follia, Margaret avrebbe portato il figlio nel deserto fuori dalla cittadina (luogo a cui è proibito accedere secondo le regole della comunità) e lì sarebbe poi stata trovata sola: il bambino, infatti, era scomparso in circostanze misteriose.
Tutto inizia a frantumarsi piano piano, attraverso vari episodi in cui Alice inizia a dubitare della sua realtà (come Neo in Matrix, evidentemente è una citazione): rompe le uova a mani nude e sono vuote all’interno, si ritrova schiacciata dalla parete alle sue spalle contro la finestra che stava pulendo, spesso è sott’acqua (riferimento a Scappa – Get Out di Jordan Peele?); in più, continua a canticchiare una canzoncina, che sembra essere il trigger di questi episodi dissociativi. Il culmine arriva quando, durante un viaggio in autobus, la donna vede un aereo schiantarsi su una montagna, ma pare che l’autista del bus non se ne sia reso conto, anzi cerca di convincerla dell’inesistenza dell’aereo. Alice, però, decide di trasgredire alle regole imposte dalla comunità, attraversando il deserto e raggiungendo quello che dovrebbe essere il quartier generale del Progetto Victory, ma si risveglierà a casa, nel suo letto, come se nulla fosse accaduto. Ma qualcosa è accaduto, e inizia da qui il susseguirsi degli eventi che porterà poi a un colpo di scena (lo svelamento del mistero più grande che riguarda Victory) e al finale che…beh, non mi ha esattamente entusiasmata.
Don’t Worry Darling: pregi e difetti
Un cast tutto sommato stellare per Don’t Worry Darling, a cominciare dalla regista stessa, Olivia Wilde, che interpreta Bunny, la migliore amica di Alice. È una donna libera, ma che sottostà alle regole della comunità in modo rigido (e si scoprirà il motivo nel finale). Florence Pugh potrebbe essere uno dei punti di forza di questo film, recitazione sempre impeccabile ma che forse ha un po’ mancato di quell’intensità che la caratterizza (memorabile la sua interpretazione in Midsommar). Harry Styles è un bel faccino che forse pecca di inesperienza: risulta troppo intenso, infatti, spesso fuori luogo (ma a lui si perdona tutto, è Harry Styles, no?). Il personaggio di Chris Pine è un incrocio fra Jeff Bezos e un santone, crede di detenere il potere assoluto della sua personale Pleasantville e tutto deve seguire un preciso ordine (il caos, a detta sua, è il suo più grande nemico, perché è energia che non si può controllare); quello di Gemma Chan, invece, risulta poco caratterizzato ed è la causa della mia quasi uscita dal cinema per indignazione (ma non è colpa del personaggio, è colpa degli sceneggiatori) a fine film. Presenti anche Nick Kroll (Big Mouth, Sing) e Dita Von Teese in una scena di simil burlesque, dove è immersa in una gigantesca coppa di champagne (una delle sue esibizioni più famose).
Se fosse stato una serie TV, Don’t Worry Darling sarebbe stato praticamente perfetto. La storia risulta troppo lenta all’inizio, dove lo spettatore inizia a entrare nell’ottica della routine degli abitanti di Victory, mentre la seconda metà del film è raffazzonata e superficiale, con dei buchi di trama piuttosto evidenti. La rivelazione finale arriva di colpo (ed è okay), ma poi non c’è una spiegazione ulteriore sugli altri personaggi, non c’è una vera origin story di come Bunny o Shelley o anche Frank siano arrivati lì, e mi sarebbe piaciuto vedere cosa c’è al di fuori di Victory per loro.
Diciamo anche che la trama del film risulta ai più attenti una accozzaglia di references a opere più o meno contemporanee, come Wayward Pines, Arancia Meccanica e primo fra tutti The Stepford Wives, film del 2004 diretto da Frank Oz con Nicole Kidman come protagonista. Per un momento, ho pensato che il film avrebbe preso una direzione più verso Westworld, con degli androidi, o magari qualcosa che avesse a che fare con gli alieni, o con un salto nel futuro (come il già citato Wayward Pines), o addirittura una storia nuova, che non sapesse così tanto di minestra riscaldata.
Le scene di sesso fra Alice e Jack, poi, sono forzate, senza alcun fine se non quello, probabilmente, di fan service nei confronti di chi è andato a vedere Don’t Worry Darling solo per Harry Styles. Il film probabilmente avrebbe avuto lo stesso impatto anche senza.
Mi sarei aspettata qualcosa di più da Katie Silberman, già autrice di Set it up (2018) e di Isn’t it romantic? (2019) (entrambi su Netflix), e dai fratelli Carey e Shane Van Dyke (se il cognome vi suona familiare, è perché sono i nipoti di Dick Van Dyke, lo spazzacamino Bert di Mary Poppins). Questa sceneggiatura era finita nella Black List del 2019 (la Black List è un sondaggio annuale delle sceneggiature più apprezzate ma che ancora non sono state prodotte), prima che la Silberman ci mettesse mano e la Wilde decidesse di dirigerla.
La colonna sonora del film è piuttosto azzeccata. Formata perlopiù da suoni stridenti, con ansiti e urla che si alternano a pezzi anni Cinquanta, fra Dizzie Gillespie, Ella Fitzgerald e Sinatra. La musica è davvero in grado di trasportarti nel clima di ansia costante che permea il film, e le canzoni allegre e spensierate non fanno altro che acuire questo senso di soffocamento. Forse, è una delle poche cose che salvo di Don’t Worry Darling.
Non sono ovviamente mancate le polemiche legate alla pellicola, dal casting di Shia LaBeouf, sostituito poi da Harry Styles a causa di dissidi con la regista e con Florence Pugh, ai vari scandali al Festival del Cinema di Venezia, con Styles che avrebbe sputato addosso a Chris Pine (situazione poi smentita) e alla quasi assenza della Pugh agli eventi di promozione del film. Tutte queste situazioni, però, sarebbero state risolte in questi ultimi giorni grazie a post sui social da parte di tutto il cast.
Don’t Worry Darling non è altro che una accozzaglia di citazioni ad altri film del genere che risulta a tratti superficiale e piuttosto raffazzonato, soprattutto verso la fine. Da elogiare, però, l’interpretazione di Florence Pugh, anche se sottotono rispetto ad altre sue pellicole.
[Fonte: YouTube]
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