Jeanne du Barry – La favorita del re: l’emancipazione femminile inizia da Versailles [Recensione]

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Complice lo straordinario successo al botteghino di Oppenheimer e i riflettori puntati sulla 80ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, alcuni film in sala sono passati quasi inosservati. Tra questi anche Jeanne du Barry – La favorita del re, film d’apertura della 76a edizione del Festival di Cannes e distribuito in Italia da Notorious Pictures.

Diretto e interpretato da Maïwenn, Jeanne du Barry – La favorita del re segna il ritorno sul grande schermo di Johnny Depp nei panni di Luigi XV e riporta l’attenzione su una donna molto emancipata per l’epoca che con la sua diversità suscitò scalpore alla corte di Francia.

Chi era Jeanne du Barry, l’ultima favorita di Luigi XV

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Nata nel 1743 da madre cuoca e presumibilmente da padre monaco, Marie-Jeanne Bécu ricevette un’educazione esemplare fin da piccola. Insofferente alle rigide regole del collegio, Jeanne capì di dover fare delle proprie doti le sue armi e di sfruttare il suo fascino e la sua intelligenza per farsi strada nell’alta società. Ospite di molti salotti parigini, riuscì ad attirare l’attenzione del conte du Barry, del duca di Richelieu e molto presto anche quella del re.

Il primo incontro con Luigi XV avvenne nel 1768. Per il Re, inconsolabile dopo la morte di Madame de Pompadour, fu un colpo di fulmine e Jeanne si stabilì definitivamente a Versailles nelle vesti di amante ufficiale.

Istruita da Le Borde, amico e assistente del re, sulle abitudini di corte (un po’ come Nigel fece con Andy in Il diavolo veste Prada), la contessa du Barry si adattò in poco tempo alla vita di corte. Ciononostante fu spesso argomento di conversazione delle pettegole di corte ed etichettata come una donna di dubbia moralità, tanto che Maria Antonietta (di cui, però, condividerà lo stesso destino) la ignorò fino a quando, nel Capodanno del 1772, la futura regina di Francia le rivolse una frase di convenienza: “C’è molta gente, oggi, a Versailles”.

“Sono rimasta affascinata dal personaggio di Jeanne forse perché è una magnifica perdente. Forse perché la sua vita è simile alla mia” – ha spiegato la regista – “Sento un legame immediato con lei e se ho scelto di focalizzare la storia sulla relazione tra lei e Luigi XV, è perché è quella che l’ha portata alla sua caduta e perché tutto ciò che è seguito alla sua partenza da Versailles è stato il risultato diretto di quel periodo, da cui è uscita con un’etichetta che non l’avrebbe mai abbandonata: la puttana del re”.

In una Versailles chiusa in se stessa e nelle sue alquanto ridicole usanze, noncurante di ciò che stava accadendo intorno, Jeanne du Barry portò una ventata d’aria fresca.

Al contrario delle sue predecessore, non era interessata al lusso e al potere: l’umile cortigiana dai pessimi gusti era in realtà una donna affamata di cultura e di piacere, una rivoluzionaria della moda (rifiutava di usare le parrucche e indossava abiti da uomo), una mecenate delle arti che nel breve tempo trascorso a corte accolse pittori, musicisti e poeti.

Odiata da metà corte e desiderata dall’altra metà, la permanenza di Jeanne alla Reggia non fu particolarmente lunga: venne allontanata per sempre poco prima della morte del re – avvenuta nel maggio del 1774 – e rinchiusa nel convento di Pont-aux-Dames dal quale venne liberata un anno dopo per ordine di Luigi XVI. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nel castello di Louvecinnes donatole dal re. Ma la Rivoluzione Francese non le perdonò l’aver vissuto nell’opulenza sfrenata pur essendo una donna del popolo e l’8 dicembre 1793 fu ghigliottinata in Place de la Concorde, la stessa piazza una volta dedicata a Luigi XV.

Jeanne du Barry: un dramma in costume fra passione, scandalo e intrighi di corte

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Nonostante per certi aspetti ricordi il Barry Lindon di Kubrick e il Le relazioni pericolose di Frears, Jeanne du Barry – La favorita del re sembra non essere destinato a restare impresso nell’immaginario collettivo nello stesso modo in cui ci sono riusciti capisaldi del genere come il Marie Antoinette di Sofia Coppola (a cui peraltro la regista ha detto di essersi ispirata).

Dal punto di vista dei dialoghi e della colonna sonora si poteva sicuramente fare di più. A rimediare ci pensa la scenografia curata nei minimi dettagli: la Reggia infatti è stata perfettamente ricostruita in studio. A Versailles, purtroppo, è possibile girare soltanto il lunedì, giorno di chiusura al pubblico, e in luoghi ben precisi tra cui la Cappella Reale, il Salone d’Ercole e la celebre Sala degli Specchi.

Trattandosi di un film storico poi, ambientato nel secolo dei lumi, è impossibile non notare i costumi. In particolare, sei abiti possono essere considerati “speciali” in quanto frutto della collaborazione tra Jürgen Doering e la casa di moda Chanel.

“Mentre mi preparavo per il film ho consultato moltissimo materiale” – ha spiegato la regista – “Tra i miei riferimenti c’erano anche alcuni pezzi delle collezioni Chanel disegnati tra gli anni Ottanta e Novanta. Per questo volevo collaborare con Virginie Viard”.

Non è certo un mistero che Karl Lagerfeld (creative director della Maison) si sia fatto ispirare più volte dalla moda in voga nel Settecento. “Il mio intento era quello di descrivere l’epoca senza citare i quadri, ma con una boccata d’aria fresca” – ha aggiunto – “uno sguardo contemporaneo”.

Per quanto riguarda l’accuratezza storica, spesso nel mirino delle critiche, bisogna dire che la trama rispecchia i fatti ma occorre anche tener presente che Jeanne du Barry non è un documentario. Ed è proprio questo il suo punto di forza: pur avendo un ritmo lento, infatti, la storia è stata romanzata e in parte adattata per rispecchiare le problematiche dei giorni nostri.

Nel complesso si tratta quindi di un progetto ambizioso. Degno di nota il coraggio di Maïwenn che ha dovuto attenersi alla sceneggiatura e usare la pellicola per realizzare il suo primo film in costume. Dirigere una star di Hollywood, poi, non deve essere stato facile.

La regista ha infatti raccontato di come, durante le riprese, ci sia stata qualche incomprensione dovuta probabilmente ai diversi modi di lavorare. “Ho capito che negli Stati Uniti le star non si fanno dirigere. Spiegano al regista come interpreteranno la scena. E il regista accetta” – ha riferito ai microfoni di French Premiere – “Ma in Francia, il capo è il regista. Quindi, per ogni scena, sono state fatte due riprese, tenendo conto anche delle sue proposte. Ma gli ho anche chiesto di interpretare la mia visione, in modo da poter scegliere in fase di montaggio. Lui è stato disposto a farlo”.

Una sfida complicata e stimolante anche per Johnny Depp che, dopo tre anni di assenza, ha dovuto recitare la sua parte interamente in francese. Una performance accolta a Cannes da una standing ovation e da 7 minuti di applausi.

Il ritorno (da re) di Johnny Depp

Jeanne du Barry

“A chi mi chiede del mio ritorno rispondo sempre che io non sono mai andato da nessuna parte”, ha detto Johnny Depp sulla Croisette di Cannes eppure è proprio dalla Montée des Marches che l’attore americano torna alla ribalta dopo essere stato allontanato da Hollywood a seguito delle accuse di violenza domestica mosse dalla ex moglie Amber Heard. Come una fenice che risorge dalle proprie ceneri, Depp si è ormai lasciato alle spalle il divorzio, il processo mediatico e le aule di tribunale per rinascere nei panni di re Luigi XV.

Da Edward mani di forbice a Willy Wonka, dal Cappellaio Matto a Jack Sparrow. Negli anni Johnny Depp ci ha abituato a vederlo interpretare personaggi così eccentrici che ci sorprende che sia riuscito a calarsi nei panni di un sovrano con una tale naturalezza.

Per quanto il suo sia, in fin dei conti, un ruolo secondario e con poche battute è proprio attraverso il non detto che Depp riesce a comunicare: il suo sguardo sa essere gelido e tagliente nelle scene istituzionali e amorevole in quelle in compagnia di Jeanne.

In definitiva il ritratto che Johnny Depp ci restituisce del Beneamato è un ritratto essenziale, umano, di un re in decadenza, che ritrova la voglia di vivere accanto a Jeanne, la donna libera, sfrontata, fiera e indipendente di cui resta folgorato proprio perché in lei vede una possibilità di fuga dai protocolli reali a cui è sottoposto da quando aveva cinque anni.

Tamara Santoro
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