The Changeling, Favola di New York: recensione

| |

The Changeling: Favola di New York è la nuova serie targata Apple Tv+ che fin dal titolo richiama alla creatura del folklore europeo che secondo le leggende rapirebbe i neonati umani dalle culle scambiandoli con esseri della propria mostruosa progenie.

Spesso le leggende e le tradizioni popolari attingono dalle paure più recondite dell’essere umano per dare vita a incubi e mostri che sono l’incarnazione di quelle stesse paure. Tra queste c’è sicuramente quella della genitorialità, che da gioia e sogno di una vita può presto trasformarsi in incubo con tutto il carico di paranoie e responsabilità che si porta dietro. La difficoltà di essere genitori è un argomento che spesso ha interessato l’horror, da Rosemary’s Baby a Eraserhead, fino al più recente Lamb; si inserisce in questo filone anche The Changeling: Favola di New York.

Disponibile a partire dall’8 settembre con i primi 3 episodi (gli altri verranno rilasciati a cadenza settimanale per un totale di 8 puntate), The Changeling: Favola di New York è tratta dall’omonimo best-seller dello scrittore Victor LaValle, per l’occasione anche narratore della serie, il cui stretto legame con la trasposizione è evidenziato dalla centralità che i libri e la lettura assumono negli sviluppi chiave della trama e nella definizione dei personaggi. Affondando le sue radici nel mito, nella storia e nell’orrore, la serie crea un racconto che ha molto di ambizioso, ma che a conti fatti delude non riuscendo fino in fondo a far funzionare le sue pur interessanti premesse.

The Changeling, Favola di New York: recensione

Tutto comincia quando Apollo Kagwa, interpretato ottimamente da Lakeith Stanfield (Atlanta, Judas and the Black Messiah), un rivenditore di libri usati particolarmente fissato con l’origine divina del suo nome, un giorno si innamora della bibliotecaria Emma (Clark Backo), e dopo un estenuante corteggiamento riesce a far colpo su di lei. La loro storia sembra funzionare, e Apollo, la cui esistenza è segnata dalla misteriosa scomparsa del padre avvenuta quando lui era ancora piccolo, ha fretta di mettere su famiglia per dimostrare di poter essere il genitore che non ha mai avuto.

Proprio lui però che porta il nome di un dio si macchierà di hybris, rompendo un giuramento magico che lega la sua esistenza a quella di Emma, e che segnerà il loro destino di genitori. Le cose, infatti, degenerano in fretta dopo la nascita del loro primogenito Brian, e l’idillio iniziale si trasforma presto in incubo quando Emma inizia a convincersi che il bambino che stanno crescendo non sia il loro vero figlio; ciò che di spiacevole succederà in seguito porterà Apollo ad avventurarsi in un viaggio sempre più inquietante in una New York frenetica e piena di segreti, in cui si troverà anche a dover scavare nel passato suo e della sua famiglia alla ricerca di risposte.

The Changeling è una serie con tante frecce al suo arco, che procede per ellissi e cambi di marcia tra un episodio e l’altro, e che richiede allo spettatore pazienza affinché il puzzle sia completo e il quadro generale ben delineato. Molti personaggi non sono infatti quello che sembrano, e la natura di certi avvenimenti e misteri verrà svelata solo con il proseguimento della serie, lasciando in più di una occasione con l’amaro in bocca.

È bravissima a gettarci in un incubo metropolitano in cui paranoie, incubi e allucinazioni concorrono a raccontare il lato oscuro della maternità, in un’allegoria piuttosto riuscita dei problemi e delle responsabilità dell’essere genitori, nonché di tematiche delicate come la depressione post partum.

Il ritmo concitato, il continuo alternarsi della narrazione tra passato e presente e il giusto mix tra dialoghi e azione funzionano e mantengono viva l’attenzione, ma ciò che di buono viene costruito inizialmente finisce presto per scricchiolare: dopo un ottimo inizio, in particolare l’episodio pilota diretto da Melina Matsoukas (Queen & Slim), la serie infatti sembra poi non riuscire del tutto a trovare una direzione e perde molto della sua spinta iniziale.

The Changeling, Favola di New York: recensione

Parte come una commedia romantica, assume ben presto i toni più cupi dell’horror soprannaturale per poi sfociare in un thriller con una forte componente avventurosa, ma sembra non avere il coraggio di spingere davvero su nessuno di questi elementi: troppo patinata per inquietare e spaventare davvero, troppo dispersiva e confusa nella seconda parte per mantenere vivo l’interesse su tutte le parentesi aperte negli episodi precedenti, The Changeling risulta essere alla fine un oggetto misterioso e difficile da inquadrare, con i pregi e i difetti che ne conseguono.

Ecco allora che quando sembra poter portare avanti, attraverso il genere, un discorso sulla cultura e la società black in America, seguendo il solco tracciato negli ultimi anni da autori come Jordan Peele, non ha mai realmente quella forza e la tematica non viene portata avanti fino in fondo in maniera interessante.

Neanche il cambio di registro degli ultimi episodi, in cui la figura femminile assume sempre più centralità permettendo anche di imbastire una critica al ruolo della donna, anche in quanto madre, nella società contemporanea, o tutta la parentesi sulla pericolosità dei social media, permette alla serie di essere davvero coraggiosa e alla fine si ha la sensazione che non venga detto nulla di così nuovo o radicale.

Anche l’espediente della voce narrante (per altro molto fiacca, ridondante e troppo poco coinvolgente), che racconta la storia mostrando le pagine del racconto sullo schermo, sembra a conti fatti solo un’operazione fine a se stessa nata per coinvolgere l’autore originale, senza che questo aggiunga effettivamente qualcosa al risultato finale della serie.

The Changeling, Favola di New York: recensione

The Changeling: Favola di New York risulta dunque un esperimento riuscito solo a metà, a cui va riconosciuto il merito di intrattenere per lunghi tratti, grazie anche alla bravura degli attori e a una gestione dei tempi ben calibrata, e di voler sperimentare con i generi per trattare tematiche non banali. Alla fine però, quando il quadro inizia a delinearsi, rimangono più dubbi e perplessità che risposte, e si ha la sensazione che i troppi elementi messi in campo creino solo confusione invece che rendere più interessante la trama, rischiando di perdere inevitabilmente l’attenzione dello spettatore dopo solo pochi episodi.

Previous

Jeanne du Barry – La favorita del re: l’emancipazione femminile inizia da Versailles [Recensione]

DogMan di Luc Besson a Venezia 80: recensione

Next
Wordpress Social Share Plugin powered by Ultimatelysocial