Non lo sapevamo, ma LOL – Chi ride è fuori è il programma di cui avevamo bisogno.
Le regole dell’isolamento ci hanno reso aridi e insofferenti verso la società. L’atteggiamento mentale è cambiato, spesso, in peggio. Non riusciamo a rilassarci, a dialogare, a proiettarci nel futuro con serenità. E poi basta un programma per sollevarci da quel senso di angoscia, di malinconia e tristezza che hanno abitato – e abitano – in noi da più di un anno di pandemia. Perché LOL non è “solo” un passatempo, ma è uno strumento per scacciare via il virus dell’angoscia.
Una cicatrice sui fastidiosi momenti di tristezza quotidiana. E’ questo LOL, un programma tanto sempliciotto quanto rivoluzionario, un po’ folle per la verità, ma che ha avuto uno straordinario effetto catartico su chi l’ha visto, almeno su di me.
Quante volte abbiamo fatto quel gioco in cui ci si guarda negli occhi e vince chi non ride? Io ormai non le conto più da anni. Eppure mai mi sarei immaginata che in un periodo di mega produzioni internazionali, di serie costosissime e programmi televisivi articolati che puntano tutto sull’originalità, sarebbe uscito un comedy show banale e squinternato, a tratti demenziale, che punta tutto a far ridere il pubblico e a non far ridere i comici nella class room. Un programma che funziona in un modo atomico, indicibile.
La risata. E la vera regina di LOL – Chi ride è fuori.
Spesso nei programmi televisivi ridere può sembrare una cosa triviale, grossolana, a tratti effimera, a volte caotica o pacchiana. Eppure sazia il nostro cervello come poche altre cose. La risata è nutrimento e cura emotiva e complicità e aggregazione e abbattere muri e calare le maschere e mezzo per ristabilire le proporzioni. E’ quel perfetto rovesciamento di uno status emotivo per troppo tempo legato ad una monoespressività legata ad un periodo difficile da sostenere.
Non tutti riescono a far ridere. Eppure esistono parecchi tipi di umorismo, penso a quello più semplice e meccanico – le torte in faccia o cadere sulle bucce di banana alla Stanlio e Ollio, per capirci – oppure quello più complesso dove vengono utilizzate diverse varianti a sfondo sessuale, etnico, politico, macabro. Io, ad esempio, non amo nessun tipo di queste comicità. Forse preferisco leggermente i sottoinsiemi dell’umorismo, cioè l’ironia, il sarcasmo, la satira.
Ma per far ridere o sorridere o mettere di buon umore qualcuno non c’è bisogno di un grande sforzo.
Basta un’espressione come quella di Caterina Guzzanti. Una parola improvvisa in un contesto di una storia come “hai cagato” di Pintus o come “voi mi vedete così, ma io mangio” di Lillo. Un comportamento inatteso come il tip tap o il cesso a pedali di Elio. Una sensazione che stai scoppiando mentre la vocina in testa ti dice “non ridere non ridere non ridere” come quella di Frank Matano e Luca Ravenna. Una finta tranquillità in mezzo al caos come quella di Katia Follesa e Ciro. Una caciarona pronta a tutto come Michela Giraud. Uno strillo per sfuggire alla confusione come quello di Fru.
“Non siamo ancora in grado di spiegarci perché si ride di alcune forme di incongruenza e non di altre. Ciò che i filosofi chiamano errori categoriali (per esempio immaginare l’anima come un invisibile organo corporeo) comporta incongruenze, ma poche di esse sono causa di ilarità. E non abbiamo neppure messo in luce il motivo per cui espressioni e situazioni apparentemente libere da tali discordanze possono essere comunque divertenti.”
Terry Eagleton
LOL è pieno di forme di incongruenza, di quelle che resettano il nostro status cognitivo, che sorprendono la nostra mente, che spostano le prospettive, che alleggeriscono dalla pesantezza. Diffidiamo di chi non ha senso dell’umorismo: “voi forse non ridete perché non capite un cazzo”.
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