Un omaggio alla cultura afroamericana, alla musica blues e al ricordo di Chadwick Boseman nella sua ultima prova che potrebbe dargli la nomination postuma agli Academy. Questo è Ma Rainey’s Black Bottom, l’ultimo film Netflix che stende le mani verso un papabile Premio Oscar, in cui spicca la performance strepitosa di Viola Davis.
Ma Rainey’s Black Bottom di George C. Wolfe è l’ultimo prodotto Netflix (sulla piattaforma dal 18 dicembre). Il film è un adattamento cinematografico dell’omonima pièce teatrale di August Wilson del 1982 e prodotto da Denzel Washington. Un lavoro che mette al centro lo scontro tra due musicisti di talento ed esplora le dinamiche razziali e sessuali della società americana degli anni Venti. E’ un dramma musicale d’epoca pieno di intensità, angoscia e fiducia.
Una pellicola arrivata al termine di un anno complicato, dove i temi del razzismo sono tornati prepotenti all’interno di una società che li aveva sommersi, ma mai abbandonati. Dei temi che Ma Rainey’s Black Bottom fa risuonare con forza, raccontando attraverso le note episodi drammatici di un intero spaccato storico.
Ci troviamo negli anni Venti, un’epoca di splendori, ricchezza e benessere diffuso e di voglia di divertirsi dopo la tragica esperienza bellica. Le immagini più ricorrenti di tale decennio, prima della crisi del ’29, infatti, sono quelle – presenti spesso in molti film – delle sfavillanti luci delle grandi città con i suoi night club affollati da gente intenta a ballare, socializzare, ascoltare i principali esponenti di generi musicali, come il jazz o il blues, che, nati nella comunità afroamericana, si avviavano a conquistare anche la popolazione bianca.
Quella americana degli anni Venti era una società in trasformazione, tra tensioni sociali, isolazionismo, “paura rossa”, questioni razziali e movimenti femministi. Gioia e inquietudine, speranza e tensione, la società statunitense di questo periodo costituì un crogiolo di emozioni.
Ma Rainey’s Black Bottom inizia in una calda giornata di Chicago nel 1927. All’interno di uno studio di registrazione è attesa l’eccentrica cantante Ma Rainey (Viola Davis), mother of blues, per incidere alcune tracce del nuovo disco. Il brano di punta è Black Bottom, canzone che l’artista intende rendere immortale. Inoltre insiste con il manager Irvin (Jeremy Shamos) e il produttore Sturdyvant (Jonny Coyne) per avere il nipote balbuziente (Dusan Brown) a recitare la intro del brano.
A rendere viva la situazione è l’irruenza e l’insolenza del giovane trombettista Levee (Chadwick Boseman). Il ragazzo è un ottimo talento con il vizio di fare le cose di testa sua: riarrangia i brani a modo suo, scrive canzoni da registrare e mette gli occhi sulla nuova ragazza di Ma, Dussie Mae (Taylour Paige). A tenere sotto controllo il suo ego ci provano gli altri musicisti di Ma Rainey: il premuroso pianista Toledo (Glynn Turman), il costante trombonista Cutler (Colman Domingo) e il tranquillo bassista Slow Drag (Michael Potts).
Ma Rainey e Levee sono simili nelle loro diversità. Se la donna è pronta a scendere a compromessi per raggiungere la tanto sognata emancipazione, il ragazzo è esasperato dalla sua posizione sociale e da un passato che lo divora all’interno.
Viola Davis e Chadwick Boseman regalano due interpretazioni indelebili, sofferte e necessarie.
Quello messo in scena da Viola Davis è un personaggio spettacolare in tutto quello che fa: dallo scendere le scale con una stola di pelliccia al bere una coca-cola dietro l’altra. Infonde a Ma Rainey un’energia contagiosa e senza indugi riporta in vita quel temporale di talento vocale unico, la sua presenza riempie le scene ed è perfetta nel suo atteggiarsi da diva.
La sua Ma è consapevole del grande potere che esercita come star popolare e della sua influenza negli ambienti di spettacolo, ma è altrettanto consapevole della sua posizione sociale di donna afroamericana e di cantante nera che registra dischi per un’industria gestita da bianchi che sfruttano la sua voce per fare molti più soldi di quanto lei possa mai fare.
La performance di Chadwick Boseman è rovente, racconta un Levee ambizioso e disperato con un carattere dicotomico: se da un lato è spavaldo ed armato da un sorriso e da una giocosità invitante, dall’altro è consumato da un trauma profondo, è accecato da un dolore troppo grande, rivelato in un monologo ardente che ha dato vita forse alla più bella scena del film.
Un’interpretazione che mi ha lasciato estasiata, con un vuoto che impiegherà molto tempo a riempirsi. Perché la perdita di un attore immensamente dotato è una perdita per l’arte e per chi ama il cinema. Il lavoro di Boseman è ancora più impressionante e commovente quando ti rendi conto che questo è stato il suo ultimo assolo e il corpo esile è dato dalla sua lotta contro il cancro al colon che gli ha tolto la vita a soli 43 anni.
La storia di Ma Rainey’s Black Bottom si dipana sullo schermo senza mai muoversi dalle mura di una sala di registrazione.
Il regista e tutta la macchina che ha messo in piedi Ma Rainey’s Black Bottom ha ricreato magnificamente la scenografia dell’epoca, grazie all’uso di una fotografia impeccabile e alla tonalità seppia che si adatta perfettamente al contesto storico. La telecamera è usata con maestria, è fluida e costante, capace di cogliere la forza cinematografica nello sguardo dei suoi protagonisti e nel mettere in scena l’importanza dei dettagli come gli occhi stanchi e impasticciati di trucco di Viola Davis.
Il blues viene narrato come una sorta di risarcimento delle ingiustizie quotidiane subite dai neri americani negli anni. La musica è uno strumento di fuga dalla violenza, è il mezzo per riscoprirsi e comunicare.
E’ vero che Ma Rainey’s Black Bottom è pregno di esaltanti performance musicali ed è scarno nelle ambientazioni, ma è memorabile nella sua accezione politica, nella natura verbosa della sceneggiatura e nei suoi fitti dialoghi. Il mito del sogno americano è attaccato alla luce delle diseguaglianze sociali e razziali. Il film scava in profondità il rapporto tra bianchi e neri, mostrando la determinazione del popolo afroamericano nel raggiungere un’uguaglianza più che meritata.
Ma Rainey’s Black Bottom è un promemoria potente e pungente della necessità dell’arte, di come questa sia un cerotto al “passato che non passa” e una cura alla vulnerabilità dell’esistenza.
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