Omicidio a Easttown è un capolavoro della serialità. La maternità è il perno che regge tutto l’intreccio, dove il giallo e la ricerca dell’assassino lasciano il posto, in modo intelligente, alla profondità dei personaggi. Kate Winslet si conferma una delle interpreti migliori della cinematografia contemporanea, una gioia vederla recitare.
Le serie impeccabili esistono? Forse fino a qualche giorno fa avrei risposto di no, ma i sette episodi di Omicidio a Easttown portano lo spettacolo molto, ma molto, vicino alla perfezione. Recitazione, sceneggiatura, ambientazione, fotografia, regia: tutto sembra giocare insieme; tutti gli elementi che, all’inizio sembrano slegati, confluiscono in maniera precisa, regalando al pubblico un finale colmo di colpi di scena.
Dal primo episodio, siamo catturati dall’inquietudine di Mare Sheehan (Kate Winslet), detective di Easttown, una piccola cittadina grigia della Pennsylvania, dove tutti sembrano sapere tutto di tutti. Mare si trova in un periodo della sua vita difficile, è divorziata dal marito Frank (David Denman) e deve convivere con la morte del figlio che si è tolto la vita.
In questo status psico-emotivo labile, Mare segue le indagini di Katie (Caitlin Houlahan) una giovane madre scomparsa circa un anno prima. Il tutto viene reso ancora più problematico quando viene trovata morta assassinata Erin (Cailee Spaeny), una mamma single adolescente. Da quel momento, la vita professionale della detective Sheehan diventa ardua come non mai.
Per aiutarla in questi casi, il capo di Mare, Carter (John Douglas Thompson) decide di affiancarle un detective della contea stimato, Colin Zabel (Evan Peters). La donna, all’inizio si mostra scontrosa e pungente, rivelando il suo lato più pungente e antipatico, poi però si ammorbidisce poco alla volta, lasciandosi aiutare.
I sospettati dell’omicidio di Erin sembrano essere tutti: il diacono Mark Burton (James McArdle), il prete che ha visto la ragazza per ultimo e che ha lasciato la sua vecchia parrocchia dopo le accuse sessuali; l’ex fidanzato Dylan (Jack Mulhern); la nuova ragazza di Dylan, Brianna (Mackenzie Lansing) che ha minacciato Erin la notte in cui è stata uccisa; l’ex marito di Mare, Frank (David Denman) che è stato visto comprare cose per il bambino di Erin.
Mentre il mistero su chi abbia ucciso Erin si infittisce episodio dopo episodio, tra sottili e complicate linee familiari, false piste e sospetti inimmaginabili, la parte che colpisce di più è lo studio fatto sui personaggi della piccola città americana. Persino la rivelazione scioccante sull’assassino ci appare in maniera del tutto naturale nella sua razionale assurdità.
Non ricordo una serie thriller in cui gli occhi vengono puntati costantemente sul detective, sulla sua vita privata e sulla sua capacità di riprendersi ciò che le sta sfuggendo di mano.
Mare è scortese e scorbutica, se deve raggiungere un obiettivo non si preoccupa di niente e nessuno; tuttavia, nonostante la vita sembra essere così dannatamente dura con lei, riesce ad essere un’ottima amica per Lori (Julianne Nicholson) che è alle prese con un marito che l’ha tradita John (Joe Tippett); un figlio adolescente problematico Ryan (Cameron Man) e la figlia Moira (Kassie Mundhenk) affetta dalla sindrome di Down.
Nel mentre che cerca di rimettere insieme tutti i pezzi della sua esistenza, Mare prova ad essere una buona madre per sua figlia Siobhan (Angourie Rice), che vuole lasciare la città per studiare musica a Berkeley; si scontra con l’ex nuora Carrie (Sosie Bacon), che lotta con i problemi di tossicodipendenza, per la custodia di suo nipote Drew; ed infine prova a rifarsi una vita con lo scrittore Richard (Guy Pearce).
La parte comica di Omicidio a Easttown viene totalmente affidata ad Helen (Jean Smart), la mamma di Mare, l’unica che continua a chiamarla Mary-Ann, il suo nome di battesimo, e che contrasta le sue decisioni, spesso troppo avventate. Ma Helen è anche una donna protettiva, capace di amare, anche se non sempre lo ha dimostrato.
La bellezza di Omicidio a Easttown è la sua struttura, una storia a due strati: da una parte abbiamo l’indagine sull’omicidio e dall’altra la vita persona di Mare. Due elementi che si fondono in maniera sensazionale.
Ho amato la sceneggiatura che ha trovato il giusto equilibrio tra le vicende di Mare e l’intrigo thriller. Proprio quando l’assassino ci sembrava banale e scontato, la storia è diventata così precaria ed emotivamente difficile quando sono stati svelati alcuni fatti cruciali. Il tutto giocato con delle sottotrame spiegate in maniera pregiata che ci hanno sottolineato la natura ed il movente del colpevole.
Brad Ingelsby, lo scrittore e creatore dello spettacolo, ha fatto un lavoro maestro nell’umanizzare i personaggi, dando ad ognuno di loro il tempo di farci vivere e comprendere le loro battaglie personali. E’ una serie che si sposta continuamente tra thriller e dramma: un momento stiamo vivendo le questioni private dei protagonisti, un momento dopo siamo immersi nella ricerca dell’assassino.
Dietro la macchina da presa troviamo Craig Zobel che riesce a cogliere ogni minima emozione, a catturare ogni singolo dettaglio. Certamente è stato aiutato dalla scelta meticolosa della cupa ambientazione interna ed esterna, dove i colori della fotografia dello spettacolo ci suggeriscono lo stato d’animo della comunità e dei personaggi che vi abitano.
Ma il plauso più grande va fatto all’interpretazione di Kate Winslet che si conferma un’attrice eccezionale, capace di dare una lezione sulla costruzione di un personaggio. Un’interprete con un’intensità fuori dal comune, titanica per certi aspetti, con un talento che si dissemina opera dopo opera.
La sua Mare è resa e combattiva, tormentata ed imperfetta, tenere e temibile. Una durezza dovuta alle esperienze passate, una sofferenza offerta da giacche e maglioni ampi, da capelli arruffati e un viso pallido e stanco. Ma, Mare, è anche una nonna dolce e amorevole, capace di provare sentimenti che pensava non le appartenessero più. Quei sentimenti che cerca di tenere stretti e non farli scivolare via.
Ma uno degli elementi chiave – che è stato raccontato come mai prima ad ora in una serie thriller – è la maternità. Questa ci viene mostrata come il vero fondamento di Omicidio a Easttown, un tema che diventa ossessione.
Non solo Kate Winslet ha impreziosito questo elemento. Durante la storia la sceneggiatura è farcita da un continuo andirivieni tra buona e cattiva maternità. Dove, anche le scelte che ci sembrano alquanto bizzarre, si rivelano comprensibili.
Posso dire senza remore che Omicidio a Easttown è la migliore serie crime che sia mai stata realizzata, dove l’omicidio non è l’elemento principale, ma viene usato come strumento di analisi, come mezzo per lo studio dei personaggi che, durante gli episodi, vengono umanizzati e compresi dallo spettatore che riesce ad empatizzare con ognuno di loro, assassino compreso.
La capacità della serie è quella di andare al di là della natura di thriller propriamente definito. Riesce a farci andare oltre, a capire cosa accade ad una persona quando viene trapassata da un evento traumatico. Omicidio a Easttown è un gioiellino su cui cadranno diversi Emmy.
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