Siamo ormai con un piede nel 2020 e c’è una parte della cultura pop che non è cambiata da decenni: le Principesse Disney. Queste fanno parte senza dubbio dei classici Disney e ognuna di esse rappresenta un promemoria della nostra infanzia. Ma non sembrano obsolete nel mondo moderno?
A volte mi sembra che il tempo non sia passato, altre che sia passato troppo in fretta. Eppure quella bambina che faceva il tifo per Cenerentola è cresciuta ed ha capito che le vicende delle Principesse Disney sono solo avventure irreali, ossessioni di bambine che davanti una mela rossa – che persino gli uccellini del bosco avevano capito che il frutto era avvelenato e la vecchina era la strega cattiva – tentennavano e che nel mondo ci sono donne forti, attive, ambiziose.
E allora quella bambina che oggi è una donna si chiede inevitabilmente perché le bambine devono imparare da una Biancaneve che pulisce per sette uomini ed ha bisogno di un principe per salvarla dal suo destino? D’altronde Biancaneve è cresciuta nel 1937, in una società chiusa, bigotta che stava ancora facendo i conti con una guerra mondiale terrificante, di trincea, che aveva eliminato quasi interamente una generazione, e stava andando incontro ad un altro conflitto, ugualmente terribile. E allora, in quel contesto sempre sull’orlo del precipizio, serviva un po’ di sano ottimismo e di far capire che alla fine i buoni vincono sempre.
E’ vero che ancora oggi a volte sembra che ci troviamo in una società cinquecentesca, dove la caccia alle streghe e le ingiustizie sono all’ordine del giorno, ma dopo un secolo non sembra che sia arrivato il momento di far evolvere Biancaneve?
Ma voi mi direte: nel corso degli anni la Disney si è impegnata a svecchiarsi e dipingere le sue principesse come meno indifese, delicate e pudiche. Ed è assolutamente vero. Infatti, dalla fine degli anni Ottanta siamo stati testimoni di un’ambiziosa e intraprendente sirena Ariel sfidare tutti per avverare il proprio sogno; Belle è stata dipinta come una ragazza coraggiosa e carismatica; Mulan addirittura ha mostrato che le donne potevano combattere tanto quanto gli uomini; Tiana è diventata la prima “principessa nera”; Elsa e Anna, nonostante non siano principesse ufficiali, hanno avuto il pregio di mettere in prima linea la sorellanza come mezzo per la loro felicità. Una piccola rivoluzione c’è stata e continua ad esserci, un po’ come quell’impavida di Fantaghirò negli anni Novanta.
Tuttavia, nonostante questi importanti cambiamenti, nell’immaginario comune le principesse Disney sono ragazze deboli ed indifese che hanno sempre bisogno di un uomo per il loro lieto fine. E non ci possiamo stupire di questo. La nostra cultura – e come “nostra” intendo quella occidentale – concepisce la poverella di turno – ovvero prima che un fatidico principe con il cavallo bianco si accorga di lei e la porti in salvo facendola vivere per sempre in un castello – che lava, stira, cucina e pulisce tutto il giorno. Non vediamo (quasi) mai una principessa lavorare o combattere, fare sport o studiare. Anche per le antagoniste vale la stessa cosa, queste sono impegnate 24 ore su 24 a pensare come eliminare quella che secondo loro è più bella, come se l’avvenenza fisica fosse l’unico modo per essere realizzate.
Queste aspettative irreali tengono le bambine relegate ad un ideale irraggiungibile, oltre che classista e sessista, dove il mondo viene diviso in ricchi e poveri, donne e uomini, deboli e forti.
Infatti, la maggior parte delle volte si narrano storie di ragazze il cui interesse su di loro è legato alla loro bellezza, quella bellezza che da un lato è contro producente, visto che le fa ritrovare sempre nei guai, ma dall’altro è sinonimo di successo. Si sente la mancanza di donne intelligenti, superbe, attive e allo stesso tempo buone, ovvero di donne che non hanno bisogno di essere invidiose di un’altra donna e combattere questa per emergere.
Non dico che sia sbagliato mettere le ragazzine davanti ad un film disney. Alla fine siamo cresciute un po’ tutte con La bella addormentata nel bosco ed è giusto che le generazioni future continuino a vederlo. Quello che dico è che c’è bisogno di un’evoluzione interpretativa. Bisogna insegnarle a porsi delle domande ed aiutarle a formare un imperante senso critico. Bisogna farle capire che le matrigne non sono tutte cattive, che una donna può salvarsi da sola, che il suo ruolo non è, e non deve essere, subalterno a quello dell’uomo e che l’happy ending può trovarlo anche senza un marito, che trovare l’amore della propria vita non deve essere lo scopo esclusivo per una donna e la bellezza non è il mezzo per conquistarlo.
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