A quiet life, for someone, and a quiet life for me.
Una vita tranquilla (A Quiet Life) è il titolo del film del 2010 diretto da Claudio Cupellini ed interpretato, fra gli altri, da Toni Servillo e Marco D’Amore. Per il ruolo di protagonista, Servillo ha vinto il premio Marc’Aurelio d’Argento per il miglior attore al Festival del Cinema di Roma.
Rosario Russo ha una cinquantina d’anni. Vive in Baviera, ha una moglie, un ristorante/hotel, con uno staff d’italiani, un figlio di dieci anni, parla bene tedesco. Della sua vita in Italia, dei suoi parenti, del suo passato, la moglie Renate (Juliane Kohler) non sa quasi nulla, ma si fida di quell’uomo romantico e un po’ burbero. Un giorno, a rovinare la calma familiare di quella vita tranquilla, è l‘arrivo di Diego e Claudio (Maurizio Donadoni), due loschi figuri che però Rosario tratta con curiosa affezione, cambiando totalmente atteggiamento: li ospiterà gratuitamente in hotel, passerà molto tempo con Diego, meno col figlio Mathias, ancor meno con la moglie – che inizierà a sospettare una relazione extraconiugale – coprirà le malefatte di Claudio con la cameriera Doris (Alice Dwyer). Fino alla rivelazione: Diego e Claudio sono due affiliati della camorra inviati ad uccidere un industriale tedesco, e pronti a passare sul cadavere di chiunque si pari nel mezzo.
A distanza di dieci anni, rimane per me un mistero come un film di tale caratura sia rimasto di nicchia, minore, dimenticato, mandato in onda su Raiplay giusto per riempire i palinsesti: la storia, potente, realistica, e tragica, di un pentito della camorra, analizzata molto prima che Il Traditore (qui la nostra recensione) di Bellocchio prendesse forma. Perché trattasi di un film notturno, prima che noir, poiché la luce del sole risulta quasi artificiale, per chi vive nell’ombra e sotto copertura – e, negli spazi angusti, anche se esteriormente classici ed ariosi, dell’hotel, della vita di Rosario, tale allegoria è perfettamente realizzata, in un ottimo dialogo fra materia narrata ed effettiva visione artistica.
Una dolce vita tedesca, quella di Rosario: e quel ragazzo pieno di rancore, un Marco D’Amore all’epoca ancora Ciro l’Immortale su Gomorra, che non riesce a perdonarlo, in un’interpretazione magistrale. La cui verità si rivela pian piano, in un crescendo crudele di verità che si sommano, fino a che nasconderle sotto al tappeto è impossibile.
Tecnicamente parlando, molti sono i rimandi al cinema di Von Trier, Cronemberg, e, in generale, al Dogma 95 – sebbene A Quiet Life sia, in realtà, un film musicale, in quanto è il grande Teho Teardo, assieme a Blixa Bargeld, riscoperti recentemente dai curatori della soundtrack di Dark – per il minimalismo, per come siano gli interpreti stessi a dischiudere la storia, che non si lascia fluire da sé ma è fortemente orchestrata dai personaggi. Il tema familiare, in un film che tratta di pentiti mafiosi, viene dunque analizzato in tutta la sua complessità: l’abbandono da parte di Rosario della vita passata, lasciando il cadavere del primo figlio sul campo, e il tentativo di riconciliazione – attorno ad una tavolata, chiacchiere su chiacchiere sciocche, bottiglie di vino aperte l’una dopo l’altra, mentre avviene l’inferno. La famiglia è sì luogo di ritrovo e di affezione, ma anche di dolore, di tradimento, di frustrazione: non c’è pietà se non per se stesso, in Rosario.
A quiet life è, però, una pellicola ben lontana dall’essere perfetta: sebbene ottimamente scritta e interpretata, sebbene la caratura emotiva delle scene climatiche sia ben calibrata, alcune inesattezze e ingenuità tecniche non possono che tradire una volontà, forse, di strafare – inquadrature sbieche all’improvviso di cui non si capisce molto il senso, come nella scena del canile, o scene di collegamento fuori fuoco, forse un po’ a casaccio. Ingenuità che Cupellini limerà poi in Alaska, film del 2015 interpretato da Elio Germano che, pur peccando per una più debole sceneggiatura, indubbiamente brilla nel lato tecnico.
Toni Servillo è potentemente inquietante nel ruolo del protagonista, cui ha una gigantesca capacità di immedesimazione: Rosario è una persona quasi reale, tangibile, credibile, tridimensionale, ottimo padre per un solo figlio e dimentico dell’altro, e ne paga le tremende conseguenze. Un conflitto generazionale, quello fra di lui e Diego, che non può che esplodere in violenza.
Dunque, la vera forza di A Quiet Life è Toni Servillo: un interprete completo, fisico e delicato allo stesso tempo (come ne Le Confessioni di Roberto Andò), duttile nelle provocazioni sorrentiniane, e sempre in grado di reinventarsi.
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