Il quindicesimo film di Ferzan Özpetek – in uscita il 19 dicembre in tutte le sale, dedicato a Mariangela Melato, Virna Lisi e Monica Vitti con le quali avrebbe voluto lavorare – non si poteva che aprire con una grande tavola imbandita, ricca di piatti, calici, bottiglie, teglie di lasagne. Intorno un nutrito gruppo di persone che sorride, scherza, brinda e parla di cibo, dieta e di un film in fase di progettazione con diciotto “diamanti” nel cast.
È così che inizia Diamanti, nel presente, per poi catapultarsi nel 1974, anno in cui è ambientata l’opera, in una prestigiosa sartoria romana in cui vibrano le vicende di donne che hanno modo di confrontarsi, facendo un percorso maieutico nel raccontare la loro quotidianità, nel riflettere su pensieri, gesti, eventi e scelte del passato e presente. Una sartoria che diventa un luogo sicuro, una comfort zone, un rifugio dai problemi della vita, ma anche una sorta di specchio all’interno del quale potersi riconoscere e, in qualche modo, scoprire, comprendendo la parte più profonda di loro stesse, condividendola dopo averla fatta affiorare e proiettandola al di fuori.
Un film non a caso ambientato negli ’70, gli anni del femminismo, delle lotte per l’indipendenza e l’emancipazione delle donne. Narrato attraverso il costume, quello che al cinema ha il potere di raccontare storie e miti, far sognare attraverso mondi immaginari, riprodurre viaggi mentali e trasformare alcuni personaggi in grandi icone di stile.
Un cast stellare, dove spiccano le due protagoniste Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella (Jasmine Trinca), le sorelle Canova, diverse in stile e personalità, ma profondamente unite, più di quanto fanno trasparire. Alberta è fredda e cinica, una durezza dovuta a esperienze pregresse, dal difficile rapporto con i genitori alla delusione di una storia d’amore che le ha lasciato strascichi. Gabriella è empatica e spaesata, una donna spenta, a tratti instabile, assente anche quando è presente; sopraffatta e travolta da una tragedia indicibile che le ha tolto il terreno sotto i piedi.
La Sartoria Canova è tutto ciò che lega Alberta e Gabriella, un “luogo di fantasia”, abitato da sarte che vivono il presente nel ricordo, nella nostalgia, nei rimpianti del passato, nelle bugie, nel riserbo, nella paura di tornare a casa, nell’ansia di “non essere” ciò che gli altri si aspettano da loro. Le passioni di queste donne coabitano, creando legami reali e indissolubili, dove finzione e realtà si compenetrano, fino a diventare una cosa sola.
Diamanti è un film di autodeterminazione femminile e sorellanza.
Oltre le già citate Ranieri e Trinca, che hanno fatto un lavoro esemplare nei panni delle due protagoniste, cogliendo ogni piccola sfumatura di esse, bisogna fare un plauso a tutto il cast: un’inaspettata Mara Venier che, al di là di ogni convinzione, stupisce nel dare un volto e un’anima alla cuoca della sartoria che si è arresa al tempo che passa. Preziosa Geppi Cucciari nell’interpretare una donna libera e disinvolta dopo essere fuggita da una storia di violenza domestica, diventando una sorta di guida per il personaggio che prende il volto di Milena Mancini.
C’è anche Vanessa Scalera, tra le nuove “diamanti” di Özpetek, che brilla di luce propria; tra quelle “vecchie” ci sono grandi attrici come Kasia Smutniak, Lunetta Savino, Nicole Grimaudo e Paola Minaccioni. E poi prezioso l’apporto di attrici quali Sara Bosi, Loredana Cannata, Anna Ferzetti, Aurora Giovinazzo, Carla Signoris, Giselda Volodi, Milena Vukotic ed Elena Sofia Ricci, tutte con una piccola parte ma solida e incisiva.
Gli uomini sono pochi – Stefano Accorsi, Luca Barbarossa, Vinicio Marchioni, Edoardo Purgatori, Carmine Recano, Lorenzo Franzin, Antonio Iorio, Antonio Adil Morelli, Valerio Morigi, Dario Samac, Edoardo Stefanelli ed Erik Tonelli – relegati ad essere al cospetto di donne fragili e forti, potenti e vulnerabili.
Un’opera corale, nel vero senso della parola, plurale ed eterogenea. Sebbene le storie delle “diamanti” siano profondamente diverse, tra di loro c’è una linea che le tiene coese in una coerenza narrativa più delineata del solo e semplice “storie al femminile”. Quello che emerge chiaramente è il tema della sorellanza e dello stare insieme, anche all’interno di percorsi drammatici – come la violenza domestica, la perdita di una figlia o la depressione – che però, spesso, sono il ponte verso una possibile riapertura alla vita, una rinascita personale.
Parole e immagini si accordano per trasmettere questa possibilità di rifioritura di sé, al di là di ogni stereotipo e senza mostrare più del dovuto i segni del dolore e della paura ma puntando a far emergere la forza da cui nasce l’input per risollevarsi.
Un lavoro impreziosito dai costumi di Stefano Ciammitti, dalle scenografie di Deniz Kobanbay, dalla calda e accogliente fotografia di Gian Filippo Corticelli e dalla colonna sonora firmata da Giuliano Taviani e Carmelo Travia, con i brani capolavoro Diamanti, cantato da Giorgia – tornata a collaborare con Özpetek dopo ventuno anni – che è la traccia principale del film, e L’amore vero, impreziosito dalla voce di Mina, la cui presenza aleggia in tutto il film.
E così Diamanti, alla fine, restituisce il volto di donne risolte, sicure, salde, accese, ironiche. Di donne che non temono il conflitto ma che lo abitano; donne ispirate, consapevoli della loro forza, grate alle altre donne. Donne solidali, abituate a pensare e operare in rete, nella consapevolezza che nessuna si salva da sola.
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