Uno dei grandi titoli della trentatreesima edizione del Trieste Film Festival è Murina, opera della regista e sceneggiatrice croata Antoneta Alamat Kusijanovic. Il film è già stato presentato ai festival di Sarajevo, Toronto e Pola.
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La trama di Murina è di per sé semplice. Julija (Gracija Filipovic) è un’adolescente nata e cresciuta in Paradiso, ossia su un’isola croata di proprietà del padre Ante (Leon Lucev), assieme alla madre interepretata da Danica Curcic (che su Netflix abbiamo imparato ad apprezzare grazie alla miniserie Il Killer delle Castagne). Il loro è un piccolo mondo antico: Ante si configura come un padre padrone; pretende che le donne facciano ciò che lui dice senza discutere, e non esita a usare la violenza contro entrambe qualora non ubbidiscano. La sua non è violenza fisica particolarmente accesa: si tratta di sottile, ma gretto, plagio psicologico. Convincendo, infine, le due, che non meritino di meglio. Ante, con un passato nella marina, ha un amico in visita, Javier (Cliff Curtis), che cercherà di convincere ad acquistare la sua terra per farne un resort. Un’impresa ben difficile, trattandosi di un pezzo di roccia buttato in mezzo al mare senza fonti d’acqua e arduo da navigare.
Javier è affascinante, gentile, intelligente, e si interessa sinceramente a Julija, come mai nessuno aveva fatto. Non nasconde di essere attratto da Nela, e non esita a difendere le due donne dalla violenza di Ante. Julija, fra un’immersione e una nuotata, inizia a sperare di più, dalla sua vita. Julija, che si è sempre limitata a guardare col cannocchiale i ragazzi in visita in Croazia, tanti europei e americani più liberi di lei, coi loro yacht, i loro smartphone, il loro alcol. La piccolissima società della sua famiglia è invece rinchiusa, consacrata alla povertà e al sacrificio – unico modo di vivere che Ante, gretto, ignorante, e sciocco, conosce, e che impone, e fa interiorizzare, alla moglie Nela, creatura fragile, debole, e soprattutto pavida.
L’amore co-dipendente, se così lo si vuol chiamare, ma trattasi di rapporto malato, appare con estrema chiarezza agli occhi di Julija analizzando come Javier tratti Nela diversamente dal legittimo marito. Come il padre si permetta tranquillamente di spingerla giù dalla barca in mare aperto per aver, a suo dire, mancato di rispetto a cotanto amorevole genitore. Per gli scatti d’ira inspiegabili dell’uomo.
Julija e Ante sono due mondi agli antipodi. Lei anela alla libertà, in quanto intelligente, fisicamente eccellente nelle immersioni, capace di parlare un ottimo inglese; lui, invece, è ossessionato del denaro. Il denaro che tutti, nella mistica e leggendaria Zagabria, sembrano avere. Ne vorrebbe una fetta, ed è disposto a qualunque cosa.
L’infinito abisso fra padre e figlia in Murina viene ben sottolineato dalla regia della Kusijanovic: laddove lei è bellissima, aggraziata come una sirena, agile come una murena – e velenosa, a parole, come essa –, il padre Ante è flaccido, astioso in volto, mai rilassato. Julija non tace, non tace mai, sputa veleno ed emette scosse elettriche. Dice sempre quello che pensa, e fa di tutto per liberarsi: sessualmente, fisicamente, intellettualmente.
Julija è una murena: la murena dell’incipit del film, creatura serpentiforme che viene trafitta dalla fiocina di Ante, e che, pur di liberarsi, morde la sua stessa carne. Julija farebbe di tutto per liberarsi da quel paradiso, in cui, per usare le parole di Javier, ogni sogno muore. Javier, inoltre, profetizza che chiunque sia in grado di attraversare a nuoto un’isola diverrà, da ragazzo, un uomo: e Julija, atleta, dopo esser stata rinchiusa in un deposito da quel padre padrone che era scappato a battersi il petto ad una processione di paese, era sguisciata seguendo una murena, e comportandosi come una di esse, attraverso l’isola carsica, ricomparendo davanti al genitore.
I costrutti sociali sono presenti e permeanti in Murina, e la rabbia che causa nello spettatore è palpabile. Viene da domandarsi di chi sia la colpa, chi abbia costruito quella gabbia, chi ne abbia saldato le sbarre: Ante è un essere spregevole e non è degno di scuse, ma è un prodotto del suo genere sessuale e del suo ruolo sociale; Nela è una donnuccia debole che non ama profondamente sua figlia più di quanto non ami la propria vita, intesa come banale sopravvivenza giorno dopo giorno. Le è stato insegnato a vivere così? Eppure, la incalza Julija, una scelta l’ha avuta. Ed ha scelto il martirio. È gelosa di Javier, ed incapace di esprimerlo a parole. La camera della regista inquadra tutto questo, così come inquadra gli indugi e le tentazioni peccaminose di Julija sia verso Javier – di tenerezza – che di violenza, verso il padre, imbracciando la fiocina. Ed inquadra la crescita emotiva e psicologica di Julija che avviene durante le sue immersioni, che sono riti iniziatici: a quaranta metri, con Javier, e da sola, in una grotta sottomarina. La tecnica registica, anche subacquea, e la scelta d luce principalmente naturale è un punto a favore di Murina (opera dello specialista Zoran Mikincic-Budin nella fotografia subacquea) che crea due mondi vicini, antistanti, eppure distantissimi: la libertà sottomarina e il crudele giogo dell’ambiente aereo e terreno.
L’intuizione di inserire un dramma in paradiso, in un mondo in cui Eva è succube di un Adamo e la loro progenie si ribella a tale modello, è eccezionale, ed ha attratto l’attenzione della giuria di Cannes, che ha premiato Murina con la Camera D’Or come Miglior film d’esordio. Un insospettabile Martin Scorsese è fra i produttori esecutivi.
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