Opus di Mark Anthony Green: recensione

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Nelle sale dal 27 marzo con I Wonder Pictures, Opus- Venera la tua stella è il nuovo thriller/horror a sfondo musicale targato A24. Forte di un cast che vanta star come John Malkovich e Ayo Edebiri (The Bear, Bottoms), l’opera prima del regista Mark Anthony Green si inserisce nel filone dei nuovi horror con al centro sette e strani culti, ragionando intorno al concetto di fanatismo nel contesto dei nuovi media.

“C’è qualcosa che non va” esclamerà a un certo punto uno dei personaggi. Opus, esordio dietro la macchina da presa di Mark Anthony Green, è infatti la classica lenta discesa all’inferno, un film in cui data una situazione di partenza già di per sé più o meno inquietante, tutto degenera fino ad esplodere in un finale violento e disturbante. La premessa è il ritorno sulle scene dopo quasi trent’anni di latitanza della nota star del pop Alfred Moretti (John Malkovich), vero e proprio idolo delle folle negli anni Novanta, pronto a presentare un nuovo e attesissimo album. Per l’occasione, decide di invitare pochi eletti a trascorrere alcuni giorni insieme a lui e alla comunità di devoti con cui si è ritirato nel bel mezzo del nulla, riunendo i rappresentanti di nuovi e vecchi media: il giornalista Stan (Murray Bartlett, che molti si ricorderanno per la prima stagione di The White Lotus), la conduttrice di talk show Clara Armstrong (Juliette Lewis), l’influencer Emily (Stephanie Suganami), l’importante fotografa Bianca Tyson (Melissa Chambers) e il conduttore radiofonico e podcaster Bill Lotto (Mark Sivertsen). L’ultimo invito, il più inaspettato, è per la giovane apprendista di Stan, Ariel (Ayo Edebiri). Ambiziosa, sveglia e piena di idee (che puntualmente vengono usate dalla redazione, ma affidando l’articolo di turno a qualcun altro), la giornalista Gen Z è in cerca della sua grande chance, e spera che l’invito della pop star possa rappresentare finalmente una svolta per la sua carriera. Il suo capo però mette subito le cose in chiaro: sarà lui a scrivere l’articolo, mentre a lei toccherà il lavoro sporco, ovvero annotare tutto quello che può essere interessante sul suo taccuino. Al loro arrivo però troveranno una situazione ben più inquietante del previsto: Moretti si è circondato di una vera e propria setta di cui egli è il leader spirituale, con adepti (i Livellisti) che lo venerano quasi come una divinità, persone che hanno mollato tutto delle loro vite precedenti per seguirlo in mezzo al nulla. Ariel sembra l’unica a non subire completamente il fascino di Moretti, e quando inizia a indagare per conto suo, strani avvenimenti inizieranno a farle dubitare che ci sia qualcos’altro sotto a quegli inviti.

opus 2025 recensione

L’impressione che si ha guardando Opus è che ci fosse molto potenziale per arricchire la già corposa e qualitativamente alta produzione di horror a sfondo sociale della A24 (che ha anche lanciato alcuni degli autori più interessanti degli ultimi anni), ma che ci sia anche troppa carne al fuoco e che si potesse scavare di più sotto la superficie. Ciò che è sicuramente azzeccato in Opus è il mix di toni grotteschi e tensione crescente che ci portano pian piano allo svelamento finale, e che ci raccontano un presente distorto in cui il culto della celebrità ha raggiunto livelli estremi, portando a sfociare nel fanatismo e nella creazione di falsi profeti pronti a plagiare le masse. Non è un caso che si dia così tanta importanza alle nuove forme di comunicazione che raccontano il presente (podcast, social), così immediate non solo ad arrivare al pubblico ma anche nel consacrare o stroncare rapidamente la carriera di qualcuno, in cui l’arte troppo spesso passa in secondo piano a favore della ricerca dello scandalo di turno. L’idea di una vecchia star che tornando sulle scene deve fare i conti anche con questo tipo di cambiamento, di come la celebrazione della propria immagine vada ripensata nel nuovo contesto mediale in cui si trova ad operare sarebbe interessante, ma rimane fin troppo sullo sfondo. Dei tanti personaggi messi in scena (e fin dal poster si vorrebbe spingere sull’idea della coralità del casting) sono veramente pochi quelli che hanno uno sviluppo vero e proprio e che riescono a veicolare questi messaggi, mentre la maggior parte riesce a malapena a ritagliarsi lo spazio per assurgere al ruolo di funzione narrativa.

Opus di Mark Anthony Green: recensione 1

Quello in cui Opus ha poi più difficoltà è il distinguersi veramente da tutto il filone a cui vorrebbe appartenere: attingendo a piene mani da film come Midsommar, Get Out o i più recenti The Menu e Blink Twice, di cui riprende non solo idee di sceneggiatura ma anche visive, cade spesso nei soliti cliché del genere (a partire dall’ormai classica consegna dei telefoni che tutti accettano senza battere ciglio) e alla lunga fatica a emergere dalla marea di titoli simili per qualcosa di davvero originale. A non aiutare è sicuramente anche il fatto che il plot twist di turno arriva abbastanza tardi e quando ormai è ampiamente telefonato, imboccandoci con un finale che, seppur aperto, scopre di fatto tutte le carte in gioco, non lasciandoci con più domande che risposte.

Opus di Mark Anthony Green: recensione 2

A rendere il tutto comunque godibile in Opus ci sono sicuramente le ottime prove degli interpreti principali, a partire da una Ayo Edebiri che si riconferma uno delle voci più interessanti dell’attuale panorama attoriale americano, rappresentante di una nuova femminilità in forte contrasto con le generazioni precedenti e con concetti che cerca di scardinare. Il suo personaggio funziona nel riuscire a rimanere credibile anche quando tutti intorno a lei non si accorgono che qualcosa non va, tra persone che scompaiono nel nulla o sono vittime di strani incidenti. A rubare la scena c’è poi l’Alfred Moretti interpretato da John Malkovich, perfetto nel ruolo di star decaduta ma ancora capace di ammaliare con il suo fascino, in particolare in alcuni momenti musicali irresistibili. I duetti tra i due sono azzeccati e così anche il dualismo tra due personaggi apparentemente così diversi ma che si riveleranno facce della stessa medaglia, ognuno sfruttato in modo diverso da qualcun altro. A proposito di momenti musicali poi, un plauso va sicuramente fatto alla colonna sonora e alle canzoni originali curate da Nile Rodgers e The-Dream; queste ultime, e in particolare il pezzo “Dina, Simone”, sono forse il vero cavallo di battaglia del film, rendono totalmente plausibile la fama di Moretti e spingono davvero a voler ascoltare un intero album dell’artista, anche se il rischio è quello di trovarsi alla fine solo con un thriller da playlist di Spotify.

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