Giunge alla sua terza e ultima stagione la serie Ragnarok.
Iniziata con la prima stagione nel 2020, quell’anno funesto che è stato il nostro vero e proprio Raghnarok contemporaneo, questa serie ha fin da subito brillato per la particolarità della sua idea di partenza: trasporre la mitologia nordica in un dramma adolescenziale, con un piccolo sfondo a carattere ambientalista.
Il giovane Magne Seier, alto, biondo e, contrariamente a tutti i canoni, piuttosto impacciato e goffo, non è altri che il potente Dio del Tuono, Thor. Suo fratello minore Laurits, ragazzo apparentemente sicuro di sé, ma in realtà timoroso di esprimere veramente se stesso, è in realtà il Dio dell’Inganno, Loki. E così la ricca famiglia industriale degli Jutul, proprietaria da generazioni della fabbrica locale, è in realtà il gruppo dei giganti di ghiaccio, gli acerrimi rivali degli dei norreni.
Mentre la prima stagione annunciava i vari temi, la seconda ne approfondiva il pantheon, con l’aggiunta del tremendo Jormungand, il gigantesco serpente che nel profondo dei mari avvolgeva il mondo con le sue spire. Giunti alla terza e conclusiva stagione, è chiaro che gli ingredienti non possono che annunciare il conflitto finale: il Ragnarok.
Oppure no?
Difficile dirlo senza fare spoiler. Qui ci si limiterà a spiegare che l’atto conclusivo della serie è una scelta estremamente coraggiosa e originale. Il finale poteva essere un po’ scontato, soprattutto per chi conosce bene la mitologia nordica, e avrebbe rischiato di essere comunque troppo poco spettacolare, soprattutto se messo a confronto con prodotti cinematografici dello stesso genere. Basti pensare alla spettacolarità di certi scontri nei vari cinecomic, dove il budget è senza dubbio superiore, per capire che riprodurre qualcosa di simili per la TV è inimmaginabile, per quanto Netflix ci possa voler investire.
E invece no. Il finale di Ragnarok è qualcosa di sorprendente, capace di mantenere quell’aura epica e mitologica (sicuramente più che in qualunque altro momento della serie), ma capace anche di riscrivere tutto quello che abbiamo visto fin dal primo minuto della prima stagione senza snaturarlo, anzi dandone una ragion d’essere veramente azzeccata. Riesce a rendere realistica una serie TV che fin dal primo minuto ha viaggiato nel mondo del mito, della leggenda, della fantasia. Tutto quello che abbiamo pensato, ogni scena a cui abbiamo assistito, qualunque prodigio sia stato compiuto da ciascun personaggio dotato di poteri è effettivamente reale. In un certo senso.
Il senso fondamentale di Ragnarok è che in certe fasi della vita, e in particolare nell’adolescenza, il mondo è veramente un vero caos. Si viaggia su quella sottile linea d’ombra tra la fanciullezza e l’età adulta, senza essere più l’una, senza essere ancora l’altra. Alcune questioni, alcuni rapporti, alcuni gesti sono vissuti con la leggerezza dei bambini, ma nascondono gli strascichi emotivi che restano negli adulti. Un legame complicato tra due fratelli con le proprie insicurezze, le prime relazioni amorose, le rivalità tra compagni di classe arrivano ad assumere la gravità dei poemi epici degli eroi antichi. E semplici incomprensioni e litigi assumono i toni di un fatidico tradimento e di una guerra definitiva.
Fino a che arriva la maturità. Non esiste un momento univoco in cui un individuo diventa maturo. C’è chi lo diventa prima, chi più tardi, alcuni anche mai. Per semplificarsi la vita, il mondo burocratico ha creato gli esami di maturità, con interrogazioni, temi, esposizioni e soprattutto voti che certificano il compimento di questo passaggio della linea d’ombra tra fanciullezza ed età adulta. E magari (anzi sicuramente) al momento dell’esame e del suo superamento non saremo ancora pronti a questa nuova età, a questo nuovo mondo. Ma cominciamo a entrarci dentro e la realtà per come la conoscevamo prima cessa definitivamente di esistere per lasciare posto a qualcosa di nuovo, straordinario, entusiasmante e anche un po’ spaventoso.
Questo è Ragnarok. Questa serie molto interessante arriva ad essere con questa ultima stagione uno dei prodotti Netflix più importanti degli ultimi anni e nel tema del teen drama una delle opere fondamentali del genere. Non sarebbe sbagliato proporlo nelle scuole e aprirne dei dibattiti.
La straordinarietà di questa idea supera anche quelle ingenuità intrinseche che avevano accompagnato la serie in ognuno dei suoi diciotto episodi totali distribuiti su tre stagioni. Il suo lato un po’ naiv, con queste interpretazioni talora un po’ meccaniche, un po’ figlie di quei drammi adolescenziali dei primi anni Duemila, continua a farsi notare. Sebbene sia importante apprezzare la netta crescita del protagonista David Stakston, interprete di Magne e capace di sprigionare un carisma precedentemente un po’ troppo nascosto (sarà merito del famoso Mjolnir, il martello di Thor?).
Notevole come nelle passate stagioni resta l’interpretazione di Jonas Strand Gavli, interprete di un Loki che gareggia con quello di Tom Hiddleston nel MCU: mentre l’attore britannico ci ha regalato sempre delle interpretazioni piuttosto carismatiche e magnetiche, ma non estremamente intime, il giovane attore norvegese ne dà una sfumatura molto più caratteristica, sentimentale, profonda, insicura, senza far scolorire tuttavia gli atteggiamenti doppiogiochisti, subdoli e in costante macchinazione tipici del Dio dell’Inganno.
Cresce notevolmente anche il livello delle prestazioni dei giovani fratelli Jutul, con Herman Tømmeraas e Theresa Frostad Eggesbø estremamente più convincenti.
La violenza di Fjor Jutul, sia nella conduzione degli affari industriali sia nella gestione della guerra tra giganti e dei, traspare attraverso le più piccole sfumature espressive, nei suoi magnifici quanto intimidatori sorrisi, in quel suo sguardo malinconico eppure violento e, sotto sotto, anche romantico. Come quello di un ragazzo che, nonostante la sicurezza derivante dalla sua condizione economica e sociale, vive anche lui le sue incertezze, le sue paure e le sue esperienze in un’età di passaggio.
D’altro canto Saxa Jutul sprigiona un fascino e una determinatezza assolutamente magnetici, trasformando quella che era la bella ragazza a supporto del popolare fratello (specialmente nelle prime due stagioni) in una giovane donna capace di ricoprire con successo posizioni di comando. Una donna forte e giovane che comunque, come tutti i suoi coetanei, si ritrova ad affrontare i piaceri e le delusioni dell’età adolescenziale, in particolar modo quelli derivanti da una relazione amorosa quanto mai passionale, controversa e contraddittoria.
Vedere questa ultima stagione di Ragnarok lascia con un forte senso di amarezza. Una caratteristica già vissuta nelle stagioni precedenti e ora, giunti alla sua conclusione, esaltata all’ennesima potenza.
La prima stagione si concludeva con il primo scontro tra Magne e i giganti e con la scoperta dei suoi poteri, chiudendosi bruscamente poco dopo una violenta colluttazione e facendoci rimanere nell’attesa spasmodica di uno scontro all’ultimo sangue.
La seconda stagione si chiudeva su Magne ormai invincibile e pronto a sterminare i giganti, frenato solo dalle suppliche di Laurits, impedendoci di vedere il completamento del massacro.
La terza stagione di Ragnarok si conclude su una rivelazione che ci costringe a rivalutare da capo ogni cosa e, quando finalmente siamo giunti alla più piena e totale comprensione, i titoli di coda sono già partiti, lasciandoci a riflettere e magari a commuoverci un po’.
E ora che avevo cominciato
A capire il paesaggio:
“Si scende”, dice il capotreno.
“È finito il viaggio”.
(Giorgio Caproni, Disdetta)
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