Proiettato durante l’ultima giornata dell’Adriatic Film Festival, The Nest – Il Nido è un thriller velatamente horror sorprendente, soprattutto perché è italiano e perché è un’opera prima del giovane regista pugliese Roberto De Feo, già direttore di diversi cortometraggi.
Tra i Festival Internazionali più interessanti c’è sicuramente l’Adriatic Film Festival che, giunto alla sua seconda edizione, ha lo scopo di diffondere la cultura della settima arte e del cinema indipendente sul territorio. Così, domenica 22 settembre, mi sono trovata ad assistere ad un film decisamente valido, sia dal punto di vista scenico che dello sceneggiato.
Si, perché The Nest – Il Nido non è solo un horror all’italiana, buttato lì un po’ per caso e un po’ per “provarci”. E forse non è nemmeno un horror. È una sorta di thriller psicologico dalle sfumature horror gotiche, un’opera che difficilmente riesco ad inserire in un unico genere. D’altronde questa (piacevole) difficoltà mi capita solo ed esclusivamente con le pellicole più riuscite.
Ambientato a Villa dei Laghi, una cupa e grigia dimora apparentemente fuori dal tempo e dallo spazio, piena zeppa di oggetti inquietanti ed anacronistici, The Nest – Il Nido ruota intorno ad una famiglia luciferina ed in particolare intorno alla figura di Samuel (Justin Korovkin), ragazzino paraplegico costretto dall’algida e rigida madre Elena (Francesca Cavallin) ad una vita segregante, fatta di studio, pianoforte e regole.
Il malsano equilibrio della comunità che abita la villa e la monotonia di Samuel vengono stravolte dall’arrivo di Denise (Ginevra Francesconi), una giovane e vivace ragazzina che fa scoprire al giovane e curioso Samuel tutto il bello che la vita può offrirgli: la musica rock, il bagno al lago, l’amore e la libertà. E’ proprio grazie a Denise, che in qualche modo scoperchia uno sconvolgente e angosciante vaso di pandora, che scopriamo pensieri e segreti macabri dei personaggi, regalando allo spettatore punti di vista nuovi.
La stessa Elena, che inizialmente ci appare una donna tanto glaciale quanto folle, nasconde un amore malato e distorto per quel suo figlio da proteggere ad ogni costo dai pericoli del mondo esterno – che viene incarnato da Denise – anche a costo di esercitare violenza psicologica nei suoi confronti.
Oltre 100 minuti in cui Roberto De Feo, non senza imperfezioni, mi ha catapultata in un mondo parallelo. Questo grazie ad un’ambientazione metafisica riuscitissima, tetra ed elegante allo stesso tempo. Un horror simbolico, rivelato solo nel finale, in cui i temi socio-politici dell’accettazione e dell’inclusione sono la vera essenza del film.
Un leitomotiv capace di esaltare la malvagità nascosta di ogni personaggio, una fotografia che centralizza il colore verde-natura e una sceneggiatura che ci mette davanti al fatto che una società utopica, fatta di esilio e costrizioni forzate possa facilmente degenerare e trasformarsi in una raccapricciante infelicità.
La scena madre dell’intera pellicola è proprio quando il personaggio interpretato da una tanto brava, quanto sorprendente Francesca Cavallin – che, a detta della stessa attrice, il regista non sapeva nemmeno chi fosse e tanto meno sapeva delle innumerevoli fiction di cui ha preso parte negli ultimi anni – si ritrova davanti allo specchio con i capelli sciolti mettendosi il rossetto rosso per poi toglierlo in maniera irruenta, segno di una femminilità e una libertà privata censurata.
Quegli occhi azzurri simbolo di uno sguardo profondo, quel viso scavato ed espressivo, quella fisicità esile e fragile e quelle movenze sicure, promuovono la Cavallin come interprete perfetta per il grande schermo, capace di eliminare definitivamente il pregiudizio “all’italiana” che chi fa tv non può fare cinema. Menzione a parte voglio fare anche ad un bravissimo Maurizio Lombardi che, con il suo psicopatico Christian, ci ricorda che un credibile mad doctor può essere anche made in Italy.
In definitiva, The Nest – Il Nido è una boccata d’ossigeno. E’ un horror-thriller familiare pregiato, coraggioso e soprattutto di respiro internazionale che fa bene al nostro cinema e fa ritornare la speranza del genere in Italia, quel genere capace di turbarci ed inquietarci.
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