The Terror è una serie antologica targata AMC e distribuita da Amazon Prime, che ebbe nel 2018 la sua prima parte, la trasposizione di “La Scomparsa dell’Erebus” di Dan Simmons. Protagonista ne è Jared Harris, noto ultimamente per il suo ruolo in Chernobyl.
L’acqua.
L’acqua è la sostanza più abbondante sulla Terra: ricopre il 70% della sua superficie, nonché una rilevante parte delle Terre emerse ancora oggi. La Groenlandia, ad esempio, non sappiamo se sia un’isola od un arcipelago; la zona del Nunavut, la gigantesca regione del nord del Canada, è stata mappata del tutto solo recentemente.
Entrambi queste infinite, cui unico limite è lo sguardo, distese nebbiose di ciottoli e ghiaccio sono state abitate sin dall’alba dei tempi, prima dalla cultura di Thule, che, sottoforma dei suoi ultimi scampoli, probabilmente incontrò, in Groenlandia, i poveri e tristi coloni vichinghi in epoca medioevale, e, infine, gli Inuit. Poveri e tristi coloni vichinghi che tanto ricordano gli inglesi della spedizione del 1845.
Gli Inuit, che godono di una complessa struttura sociale, di una mitologia manichea che nulla ha da invidiare alla complessità della teogonia mediterranea: abituati a vivere in climi gelidi, si spostano da un luogo all’altro in famiglie ristrette e unite da legami viscerali, seguendo caribù, foche, balene, bruciandone il grasso in lampade di pietra.
L’acqua, laggiù, è ovunque. L’acqua è stata responsabile del fallimento dell’ultima grande spedizione artica inglese per la ricerca del tanto agognato passaggio a Nord Ovest, la spedizione Franklin. Cui Dan Simmons, appassionato romanziere già firmatario dei Canti di Hyperion, ha dedicato un romanzo, The Terror.
La trasposizione del romanzo di Simmons è l’omonima The Terror, serie TV Amazon che ha Jared Harris protagonista, nel ruolo del capitano Crozier, mentre al suo fianco troviamo un eccellente Tobias Menzes (lo zio scemo dei Tully in Game of Thrones) nel suo comprimario James Fitzjames. L’ammiraglio Franklin, pace all’anima sua, è interpretato da un coerentissimo Ciaràn Hinds. Il principale scienziato della spedizione – che, ricordiamolo, era composta da due navi: la Terror e la Erebus – è invece interpretato, nella persona di Henry Goodsir, da Paul Ready, al suo debutto a fianco di attori di tale calibro.
Andiamo con ordine. Nel 1845 partì una spedizione di soli volontari, a bordo di due navi che rappresentavano l’eccellenza tecnica della marina di sua maestà, diretta alla ricerca del Santo Graal della navigazione pre-Panama: il passaggio a Nord-Ovest. Che, fatalmente, sarà trovato proprio grazie ai resti della spedizione, nei primi anni del ‘900, da Roald Amundsen. Le navi sono state recentemente ritrovate, perfettamente intatte (qui).
A capo di cotanta spedizione, c’era l’ammiraglio Franklin. Eviterò di anticiparvi nulla sull’effettivamente affascinante storia di cotanto suicidio collettivo quale fu la missione, non è stato proprio il più esemplare dei comandanti. Ad ogni modo, in medias res: la Erebus e la Terror, si ritrovano bloccate nel ghiaccio da qualche parte a nord dell’isola di re Guglielmo, un pezzo di pietra buttato in mezzo all’oceano dell’arcipelago canadese, in pieno Nunavut.
Crozier, comandante della Terror di lungo corso – tanto da definire la nave una confidente, più che un mezzo di trasporto – è gravemente alcolizzato, assuefatto ai fumi del whiskey, cui il suo fido attendente Thomas Jopson (la cui fine barbina mi è ancora fonte di incubi) e sempre più restio a fornirgli. Vani sono i tentativi di liberare le navi dalla morsa del gelo; vano è l’uso della dinamite. La vita a bordo scorre, nel corso di un anno circa, tranquilla: le navi sono equipaggiate con abbondanti provviste, composte di scatolame, carne essiccata e succo di limone per evitare lo scorbuto, nonché un prototipo di impianto di dissalazione dell’acqua. L’ammiraglio ed i suoi comandanti e luogotenenti sorseggiano thè nella sala riunioni della Erebus, addentano pasticcini e guardano la neve cadere. Fra i pochi ad aver già vissuto nell’artico, sono proprio Fitzjames e Crozier, che parlano correttamente l’Inuktitut. Tutt’attorno si aggira una marmaglia di secondi marinai, ragazzi di coperta, attendenti, tecnici, i medici – fra cui Goodsir, per l’appunto, ed il suo ben più pazzoide omologo della Erebus, Stanley – ed i calafatatori. Terminologia quantomeno desueta in lingua italiana, ma decisamente importante nell’epica epoca della navigazione su vela: appartenente a quella squadra è il meschino, diavolesco, Cornelius Hickey, interpretato da un magnifico Adam Nagaitis. Curiosità riguardo l’equipaggio delle due navi: l’identità degli uomini fu dedotta dalle uniformi, dai denti, solamente molti, molti anni dopo.
Un tremendo, fatale, giorno, durante una spedizione sul pack alla ricerca di selvaggina, Graham Gore spara, ferendolo a morte, ad uno sciamano inuit, in compagnia di sua figlia – poi soprannominata Lady Silence – interpretata da Nive Nielsen (effettivamente di etnia inuit). L’assassinio dello sciamano porterà alla liberazione di un demone dei ghiacci incarnato, un Tuunbaq, dalle sembianze di gigantesco orso polare, mostruoso ed orrendo a vedersi, che flagellerà la già funestata Spedizione Franklin.
The Terror, è, per l’appunto, un crescendo d’orrore. I personaggi, i loro intrecci, il loro passato, viene spiegato pian piano – in un caos, in una allucinante sinfonia di ghiaccio, ma anche fuoco: l’episodio “A Mercy” sviluppa le basi per la seconda parte del lungo film quale The Terror è, con un fiammeggiante – nel vero e proprio senso della parola – Ian Hart nell’ a lungo sopravvissuto Thomas Blanky, reso zoppicante dal Tuunbaq, in una delle sue migliori performance di sempre; assistiamo, dunque, in The Terror, a dei picchi di fulgore e tecnica registica finora visionati, in una serie tv, solamente in Game of Thrones.
Vi parlo di un episodio centrale, come A Mercy è, poiché la maestosa vastità del ghiaccio – la sua spaventosa bellezza, l’indomabile crudeltà di quel modo – è tralasciata per lasciar spazio alla pazzia umana. Alle nostre gioie, alle nostre passioni, che hanno seguito i nobiluomini inglesi fin sull’arido pack.
The Terror, però, è, anche e soprattutto come suggerisco il suo titolo, un pregevole lavoro dell’orrore. L’orrore, viene lasciato intendere dai creatori, della Natura che si ribella agli uomini, suoi mai invitati ospiti – parassiti.
La suspence è ben sfruttata, e assume connotati fisici, nel deperimento corporale dei marinai, lentamente avvelenati dal loro stesso cibo, e privati di parti fondamentali del corpo dal Tuunbaq – o privati della loro ragione, della loro moralità, della loro stessa civiltà che ha fatto grande l’Impero Britannico. Frequenti, a tratti vomitevoli, sono gli zoom sulle piaghe, le pustole, i lividi, le gangrene, le gengive marce, lo scalpo sanguinolento, di uomini a lor modo coraggiosi, onerevoli, e il cui unico scopo – al di là della voglia di rivalsa del capitano Fitzjames, eroe monumentale ed iperuranico di una spedizione in cui vigeva il detto homo homini lupus – era quello di guadagnare abbastanza grana per tornarsene in Inghilterra, Irlanda, Galles, a coltivare un pezzo di terra. La sceneggiatura, la cui ascesa alla più sacra delle follie è magistralmente costruita, è firmata da David Kajganich (e supervisionata da Simmons stesso e Ridley Scott, sì, lui), astro nascente nel mondo dello screenwriting e al suo esordio di fronte ad una serie tv.
Perché The Terror è, per l’appunto, un lungo film, mai lasciato al caso, nel quale i semi dell’epilogo vengono piantati dieci ore prima, nell’episodio pilota.
Come ho già detto, molto, ma non tutto, del fascino del lavoro della AMC risiede nella scelta delle location e delle scenografie. Le due navi sono impeccabilmente ricostruite, come prodigi della tecnica dell’epoca ma anche per l’essere riempite di inutili chincagliere, piattini di ceramica, argenteria, uniformi d’oro, set di teatro, strumenti musicali – altro punto che probabilmente è costato la vita a numerosi marinai. L’isola croata di Pag è stata base per la CGI al fine di ricreare le scenografie richieste. La natura descritta è profondamente romantica, distante, debitrice di una pittura e di un mondo che non esiste più – quando si pensava che le distese di ghiaccio fossero, effettivamente, infinite, sebbene si tentasse di domare quella natura così crudele, che non si lasciava trapassare dal Passaggio a Nord-Ovest – ed è, sempre più algida e terribile, nelle battute finali della serie, specchio della pazzia e della devastazione degli uomini che la abitano. I placidi Inuit, contro gli Inglesi, impazziti per aver portato la loro inadatta civiltà fin lassù.
Non c’è limite all’orrore: è questo il messaggio, sottinteso, in The Terror. Onde ghiacciate, affilate come rasoi; ciottoli affilati, cadaveri lasciati su tavolacci, tende squarciate. Lo spettro, oltre a quello del Tuunbaq, della fame, dell’avvelenamento, del fallimento: abiti sempre più laceri, nella devastante marcia verso sud. Un’umanità sempre più potente eppure più spenta, mentre gli istinti più bestiali vengono alla luce.
La scena finale di The Terror, che vi auguro di gustarvi in piena notte, è quanto di più intenso si possa richiedere da una serie tv – che, di così, non ne vedevamo dal finale di Twin Peaks.
Il mare, fonte di vita, di acqua, di pesce, di sale, alla fine, alfine, ha preteso il suo tributo.
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