La scorsa primavera, Netflix si è fatta promotrice di una gran bella serie. The English Game gioca tra gli eventi realmente accaduti e una finzione romanza per raccontare l’emergere del calcio moderno nell’Inghilterra vittoriana della seconda metà del diciannovesimo secolo
Proprio quando il gioco del calcio aveva subito una battuta d’arresto a causa della pandemia da covid-19, Netflix ha reso più dolce l’attesa delle partite giocate con una deliziosa miniserie in sei episodi ideata da Julian Fellowes, Tony Charles e Oliver Cotton, e diretta dalla regista danese Birgitte Staermose e l’inglese Tim Fywell. The English Game narra le vicende di una città del Lancashire alla fine del XIX secolo, dove l’arrivo di due giocatori scozzesi ribalta il destino dell’FA Cup, una competizione nazionale annuale tra le società che aderivano alla Football Association e alle sue regole di gioco.
Il football è solo un pretesto per raccontare il sistema di classe britannico: i tagli agli stipendi degli operai, le umiliazioni accumulate delle donne, il divario sempre più ampio tra ricchi e poveri e quel movimento sociale che ha portato il gioco ad essere strappato per sempre dal controllo dell’aristocrazia. Mentre la fiducia delle classi meno ambienti si smagnetizza poco a poco, il calcio diventa una via di fuga per le masse lavoratrici, il che, a sua volta, fa percepire la necessità di una revisione del regolamento.
Gli anni di fine ‘800 sono fondamentali per comprendere al meglio la crescita e la diffusione del calcio moderno come lo conosciamo oggi. Che in pochi decenni è passato dall’essere un’attività ludica disorganizzata e marginalmente attrattiva, ad imporsi come intrattenimento dominante nella cultura popolare inglese e non solo.
Le vicende partono nel 1879, quando “il calcio è agli inizi ed è dominato dalle classi superiori”.
Quell’anno si scrive la storia perché nessuna squadra della classe operaia era mai arrivata ai quarti di finale di FA Cup fino ad allora. La competizione si accende quando i privilegiati, titolati Old Etonians, incontrano gli operai del Darwen. Lo scontro tra loro è impari: i primi sono ragazzi ben nutriti e riposati che giocano a calcio per passione del gioco, senza scopo di lucro; i secondi sono lavoratori poco pagati che si spaccano la schiena tutti i giorni in fabbrica e che vedono il calcio come un mezzo per uscire dalla loro miseria.
Gli equilibri si alterano quando il piccolo imprenditore James Walsh (Craig Parkinson) acquista due ragazzi scozzesi per rafforzare la squadra operaia del Darwen, affermando che “il gioco riempie le loro anime quando nient’altro lo fa nelle loro vite”. Per tutti i sei episodi di The English Game, queste parole riecheggiano e fanno da filo conduttore, anche se si indaga i conflitti personali e sociali che i protagonisti del dramma devono affrontare.
La trama ruota attorno a due calciatori che appartengono a due classi sociali opposte. Si tratta di Arthur Kinnaird (Edward Holcroft), rampollo di una ricca famiglia aristocratica londinese proprietaria di una banca, guida la squadra degli Old Etonians e ha vinto la FA Cup ben tre volte; e di Fergus Suter (Kevin Guthrie), uno scozzese della classe operaia abile e con degli ideali ben cementati, guida con grinta la squadra del Darwen per rafforzare le possibilità del club di sconfiggere le squadre del sud più forti.
Fino all’arrivo di Suter, il calcio è solo un gioco di forza. Il ragazzo porta tattiche e trucchi nello sport, avviando un vero e proprio cambiamento nell’approccio di intendere l’attacco e la difesa del calcio. Altrettanto importante è che Suter, insieme al collega e amico scozzese Jimmy Love (James Harkness), sono pagati per giocare. Il che li rende i primi calciatori professionisti della storia, nonostante in cui le regole della FA consentivano solo ai dilettanti di giocare.
Il suo estro e la sua mentalità fanno breccia nel presidente del Blackburn John Cartwright (Ben Batt) che gli offre un compenso più alto per giocare nel suo club che viene presentato come una formazione di giocatori tratti da altre squadre in modo da essere “la prima squadra della classe operaia a vincere la FA Cup”. Offre anche 100 sterline a Walsh come risarcimento per il cambio di casacca di Suter. Questo senza dubbio è stato il primo caso di una “commissione di trasferimento” o come lo conosciamo nel gergo comune il primo “colpo di calciomercato”.
Mentre le vicende che riguardano le questioni calde della società e le dinamiche del calcio vengono portate in scena in maniera pregevole, si fanno strada i drammi personali dei due protagonisti. Infatti incontriamo la moglie di Kinnaird Alma (Charlotte Hope), che subisce un doloroso aborto all’inizio della serie. La donna, distrutta dall’accaduto, si allontana dal marito per poi riavvicinarsi nel corso della storia. Suter, che ha lasciato sua madre e le due sorelle in balia di un padre violento, intraprende una relazione con Martha Almond (Niamh Walsh), una madre non sposata.
I personaggi raccontati sono realmente esistiti, tuttavia The English Game non è fedele alla storia originale, ma non ha nemmeno la presunzione di volerlo essere.
Così come sono stati scritti, i protagonisti sono infarciti di grande personalità e capaci di affrontare i problemi personali. La regia ed il montaggio sono tali da avere presa sullo spettatore, mentre il costume, il design della produzione e la scenografia curata nei minimi dettagli sono costruiti in maniera coinvolgenti in questo delizioso dramma d’epoca.
L’intenzione di The English Game è quella di concentrarsi sull’intreccio di questioni morali e di gioco, di relazioni personali e di genere. E’ un’analisi sociologica a tutto tondo. E’ un pezzo di storia godibile su come il calcio sia diventato definitivamente lo sport delle classi lavoratrici, il gioco del popolo per eccellenza, e su sulla sua accezione più moderna.
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