Scrittori e disturbi mentali: la sofferenza dietro il successo (Parte 1)

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Pochi giorni fa, più precisamente il 10 ottobre 2020, è stata la giornata mondiale della salute mentale. Dietro l’hashtag #MentalHealthDay vi è un mondo: necessità di maggior attenzione verso il malato, necessità di maggiori investimenti per garantire un’assistenza adeguata con maggiore e più facile accesso alle cure per tutti e ovunque. In primis, però, anche una maggiore attenzione verso il mondo dei disturbi mentali che porti, soprattutto, all’abbattimento di stigmi e paradigmi diffusi sull’argomento.

Soprattutto a causa dell’emergenza attuale Covid, sono moltissime le persone nel mondo che stanno soffrendo per patologie mentali, la depressione in primis. Donne, uomini e soprattutto giovani già emarginati dal contesto sociale, hanno visto crescere ulteriormente il disagio e purtroppo ci sono stati non pochi tragici epiloghi.

E’ necessario lottare e abbattere i pregiudizi verso i disturbi mentali, verso le persone affette da tali disturbi ed è necessario lottare per riuscire a migliorare la qualità di vita di tantissime persone

Non son pochi gli artisti, scrittori, poeti ecc. che nella vita hanno dovuto fare i conti con disturbi e malattie mentali, fonte di profonda sofferenza e per assurdo fonte del loro grande successo artistico.

In questo articolo vi presentiamo una carrellata di diversi scrittori e poeti che hanno dovuto fare i conti con il lato oscuro di sé: i disturbi mentali.

Charles Baudelaire, il “poeta maledetto”

Il poeta e scrittore parigino Charles Baudelaire incarna perfettamente il mito del “poeta maledetto”. Simbolo della gioventù bohemienne, l’artista era incline al consumo di alcool, assenzio e droghe.

La sua vita fu caratterizzata da alloggi precari, debiti, instabilità mentale e vari tentativi di suicidio. Morì a soli 46 anni il 31 agosto del 1867.

Baudelaire Disturbi Mentali

Sylvia Plath e la depressione

Sylvia Plath, poetessa statunitense, perse suo padre precocemente e ciò segnerà per sempre la vita della giovane artista. Soffrì per tutta la sua vita di forti forme di depressione che la spinsero a tentare il suicidio più volte. Seguirono vari ricoveri in istituti psichiatrici. Fu determinante anche l’incontro con il poeta Ted Hughes il quale divenne suo marito: fu un matrimonio caratterizzato da litigi e violenze che peggiorarono la situazione psicologica di Sylvia Plath. Ebbe un aborto spontaneo a causa delle percosse di suo marito. Dopo la fine del matrimonio ebbe un periodo di pace ma con il tempo, con la situazione economica precaria, a causa della salute precaria dei suoi altri figli e la solitudine, la depressione tornò ad acuirsi. Si suicidò l’11 febbraio del 1963 infilando la testa nel forno a gas morendo di asfissia, all’età di trent’anni.

Emily Dickinson, isolata nella sofferenza

Giovane, isolata, depressa, malinconica, Emily Dickison soffriva di numerosi problemi di salute, tra cui l’emicrania, che le preclusero anche di proseguire gli studi a scuola e la obbligarono a studiare a casa. Così l’autrice descrive i suoi forti e invalidanti attacchi di emicrania: “mi parve che la mente mi si dividesse/che il cervello in due si spaccasse”. I numerosi dolori per i lutti in famiglia, un matrimonio infelice, i problemi di salute la portarono a rinchiudersi in casa, addirittura dentro la propria stanza. La sua ossessione per la morte e la ferrea decisione di non lasciare la camera ha fatto pensare a molti che soffrisse di forme d’ansia sociale collegate ad agorafobia.

Tuttavia, Emily continuerà a ricevere visite e a coltivare amicizie nonostante il limite autoimposto. Si pensa che uno dei motivi in realtà di reclusione fosse l’epilessia.  L’epilessia era una malattia le cui cause non erano ancora ben note al tempo ed era considerata una tara familiare, motivo per cui, come altri disturbi, i malati venivano tenuti nascosti, chiusi in casa, isolati dal mondo esterno. Secondo altre ipotesi, Emily soffriva invece della malattia di Bright, una forma  di infiammazione che colpisce i reni e fra i sintomi provoca mal di testa, dolori alla schiena e forte stanchezza. Morì a 55 anni, il 15 maggio del 1886, a causa della malattia di Bright.

Emily Dickinson disturbi mentali

Virginia Woolf e il bipolarismo

Forse affetta da disturbo bipolare, la scrittrice inglese Virginia Woolf fu vittima per tutta la sua vita di forti sbalzi d’umore, crisi depressive e profondi esaurimenti nervosi. Tentò diverse volte il suicidio, riuscendoci definitivamente il 28 marzo del 1941, riempiendosi le tasche di sassi e immergendosi nel fiume Ouse, nel Sussex e non fare più ritorno.

Virginia ha lasciato una lettera di addio a suo marito nella quale spiegò tutto il suo dolore, motivo del suo straziante gesto:

“Carissimo

sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco neanche a scrivere come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi, saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi.

V.

Ernest Hemingway, tra depressione e bipolarismo

il narratore americano Ernest Hemingway passò la sua vita alternando periodi di profonda depressione ad altri di esaltazione, iperattività e irrequietezza. Un quadro che gli psichiatri interpretarono come “disturbo bipolare complicato dall’abuso di alcol”. Di fatto, Hemingway, iniziò a utilizzare gli alcolici come forma di auto-terapia per contrastare i sintomi depressivi, diventandone dipendente. Il peggioramento della malattia e dell’alcolismo non gli impedirono di continuare a scrivere, a viaggiare, a partecipare attivamente agli eventi drammatici di quegli anni, ma lo deteriorarono profondamente a livello psicofisico. Alla clinica Mayo, nel Minnesota, gli venne somministrato un ingente numero di elettroshock (oltre venti).

Pochi giorni dopo essere stato dimesso dall’ultimo dei numerosi ricoveri per depressione e allucinazioni, si sparò un colpo di fucile in testa il 2 luglio del 1961. (Anche suo padre Clarence morì nelle stesse circostanze sparandosi un colpo di pistola alla testa).

Leggi anche: Giovanni Verga, l’uomo oltre la letteratura (Link)

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