Abbiamo avuto il piacere di intervistare Ester Pantano, tra le attrici più apprezzate sia sul piccolo che sul grande schermo.
Classe 1990, Ester Pantano si è interessata fin da piccola a tutto ciò che riguarda l’arte. Ha frequentato prima la scuola di Teatro a Catania e in seguito si è diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Con Ester è stata una lunga e bella chiacchierata, in cui abbiamo parlato di cinema, teatro, musica, famiglia e progetti futuri.
Ciao Ester, benvenuta su Shockwave Magazine. Partiamo da una domanda generale: cosa o chi ti ha spinto verso la recitazione?
Mi sono avvicinata alla recitazione per la mia profonda emotività. Perché ho iniziato cantando, e canto ancora, e affrontando per la prima volta un festival canoro mi sono emozionata tantissimo cantando At Last di Etta James e Mi sei scoppiato dentro al cuore di Mina e, dopo pianti disperati di grande e profonda liberazione, io e mia mamma abbiamo capito che era il caso di iscrivermi ad un corso di teatro per riuscire a stare sul palco e gestire l’emotività. E da lì ho iniziato a fare diversi festival e spettacoli teatrali e poi mi sono ritrovata, grazie al consiglio di colleghi attori, al Centro Sperimentale di Cinematografia. Quindi da Catania mi sono trasferita a Roma.
E a quale interprete ti ispiri?
Io ho un amore profondo e viscerale per Anna Magnani, grandissima interprete che è riuscita a farsi largo non essendo un corpo e basta. Era un’anima parlante, più che un corpo recitante.
Che bella definizione anima parlante.
Grazie. Poi invece per quanto riguarda le attrici straniere mi piace molto Nadine Labaki, che recentemente era in sala con il film Cafarnao, nel quale mi sono persa totalmente. Guardando questo film mi sono resa conto di quanto ci fosse una donna dietro, per il modo di raccontare l’infanzia, l’intimità e le emozioni che non avevano filtri, ma erano lì tutte, per noi.
Hai iniziato con il Commissario Montalbano, poi La Mossa del Cavallo e ultimamente ti abbiamo vista nei panni dell’agente di polizia nella serie tv Imma Tataranni – Sostituto Procuratore, grandissimo successo di Rai Uno. Te l’aspettavi?
In realtà eravamo tutti fiduciosi perché Francesco (Amato, il regista ndr.), che c’è in sala adesso con 18 regali, che mi ha smosso fino al pianto, ai singhiozzi condivisi con una mia amica e grande critica, Ornella Sgroi, preziosa e rara umanità, abbiamo dovuto trattenerci con le mani sul viso perché eravamo lì, con le attrici, con la storia, nella maternità.
Ti assicuro che non sei stata l’unica.
Che poi sono state bravissime Vittoria Puccini e Benedetta Porcaroli, magistralmente dirette, poi la sceneggiatura, la fotografia, tutto. E poi ti dicevo, riguardo la serie Imma Tataranni, Francesco ha fatto una scommessa grandissima, non ha preso nessuno di iperinflazionato dal punto di vista televisivo, ma ha puntato sulla qualità recitativa e non su una garanzia di successo e di share. Perché sai, mettendo qualcuno di più noto hai automaticamente più pubblico. E questa sua scommessa è stata ripagata.
C’è un episodio singolare accaduto su uno di questi set che ti porterai dietro?
Ti devo dire una cosa che mi ha divertita molto e che poi fa parte della mia vita e del mio carattere: è stata la domanda che mi fecero ad inizio riprese, cioè se avessi avuto bisogno di uno stuntman per guidare, data la richiesta di una guida sportiva, ma ho subito rifiutato ed ho sempre guidato io e non volevo nessuno. Infatti Vanessa (Scalera ndr) ogni qual volta che doveva essere spaventata ed allarmata dalla mia guida lo era davvero, non si aspettava tanta spericolatezza.
L’hai traumatizzata.
Ma no, in fondo no. Si è sempre fidata. Poi mi ha detto “mi hai aiutata tantissimo, non ho interpretato nulla. Non me l’aspettavo che sapessi guidare così bene”. Quindi è stato molto divertente. In Notti Magiche di Virzì, invece, ho interpretato un ruolo comico e spero ch riaccada presto, è stata un’interpretazione forte, una trasformazione fisica e un lavoro diverso..
Sembra che mi hai letta nel pensiero, perché la prossima domanda è proprio su Notti Magiche e Paolo Virzì che adoro, lo trovo tra i registi più sensibili e attenti.
Anche io tantissimo. Poi La Pazza Gioia è stato uno di quei film che mi ha sventrata.
Guarda, per me è il miglior film del decennio, in tutto. E come è stato Virzì sul set?
Lui è fantastico. Sul set si respirava un’aria incantevole, i set cinematografici possono essere diversi rispetto a quelli televisivi perché c’è una durata diversa, è stata quella di rilassatezza, ovvero c’era il tempo necessario per tutto, non c’era fretta. E questa pace genera una qualità recitativa e umana, perché poi il tempo aiuta ad applicarti e fare il mestiere nel migliore dei modi senza avere ritmi ferrati. E lui mi fece morire dal ridere perché in sceneggiatura, nella parte finale, c’era scritto “improvvisa in dialetto”, senza specificare cosa dovessi dire, l’indicazione era che non dovesse capirlo nemmeno un siciliano.
Quindi così. Non la sapevo questa cosa improvvisata!
Si si. Per me è stato un premio, una grande fiducia. E poi, finito il primo ciak, lui non capii veramente quello che dissi, e scoppiò in una risata fragorosa. Che poi abbiamo dovuto aspettare un po’ per girare perché lui continuava a ridere ed ogni volta che finivamo la scena scoppiava a ridere di nuovo, perché ogni volta cambiavano le cose perché appunto era improvvisata, poi quando al tuo fianco hai un attore come Mauro La Mantia è tutto più facile.
Con quale regista ti piacerebbe lavorare? Puoi dirmi anche uno italiano e uno estero.
Ho un amore per Michel Gondry. Tra gli italiani ho una grande curiosità di lavorare con Latella a teatro, perché ho visto Un tram che si chiama desiderio quando vivevo a Catania, ed è stata un’esperienza folgorante.
Ti è rimasta.
Si, mi ha tramortita perché era cinema. Non c’era differenza tra ricreazione di reale e artificio, e a teatro non hai possibilità di usare qualcosa di finto e c’era una magia allucinante, un gioco di luci a cielo aperto. Poi mi piacerebbe tanto lavorare con Pietro Marcello, quello suo è un tipo di cinema che mi piace. E poi anche lì si vede quanto c’è la visione del regista e non un dettame razionale, non c’è una regola accademica di seguire qualcosa, ma solamente il cuore e la visione.
L’ultimo film che hai visto e quello che ami di più?
L’ultimo film che ho visto è esattamente 18 regali e devo andare assolutamente a vedere Ritratto della giovane in fiamme. Poi anche in Sorry we missed you ho provato un dolore grande. Invece il mio film preferito, che non ce n’è uno solo, però quello che mi viene è Eternal sunshine of the spotless mind, proprio di Gondry. Poi mi piace molto anche Precious, di Lee Daniels, ritratto di un’America ai più sconosciuta.
Tornando al teatro, com’è il tuo rapporto con quest’arte?
Il mio rapporto con quest’arte è vivissimo. Perché prima di tutto ho iniziato da quello e poi perché mi sento molto “tragica” in un certo senso, e lo sento molto vicino nei rapporti umani e nel mio modo di vivere la natura delle stagioni e della luna, quindi in tutto il ciclo della vita e il teatro mi riporta a questo. Poi l’anno scorso ho avuto la fortuna di lavorare con Daniele Salvo, stiamo facendo il Prometeo e quest’anno lo riporteremo in scena grazie al produttore Michele Di Dio, per il Festival Amenanos nella mia meravigliosa Catania. Poi sai, iniziare uno spettacolo con il calar del sole e dai colori del tramonto riviverci la fine, il ripetersi, il portare dall’inizio alla fine uno spettacolo ed essere un tutt’uno con i tuoi compagni e soprattutto ricreare un’ordine e rigenerarlo ogni volta che si perde, questo mi dà una grande elasticità mentale che deve essere parte anche di un attore cinematografico, fa la differenza. E Vanessa Scalera è uno di questi attori d’ispirazione.
Pensa che per me ogni attore dovrebbe far teatro. Mentre con la musica? So che hai fondato un duo jazz con Filippo Tirabassi.
Si, tra l’altro tra poco canteremo insieme anche con il padre Giorgio ad un festival che ho molto a cuore dove insegno recitazione e doppiaggio, ed è il Festival del Cinema di Spello.
Ne ho sentito parlare molto bene di questo Festival.
Si si, Donatella Cocchini che è la direttrice, ogni anno fa un lavoro meraviglioso. Sai che io gestisco un cinema d’essai qui a Catania con mia mamma ed altri soci?
Ma che bello. Stanno sparendo questi cinema.
Infatti siamo l’ultima realtà catanese, il cinema King.
Ma vedo anche le altre grandi città come Roma, Milano ecc, una mazzata alla cultura.
Si si, stanno sparendo tutti. E’ più facile andare a fare shopping o nelle multisale senza nemmeno sapere la programmazione.
Cosa pensi della situazione autoriale italiana?
Credo che la situazione autoriale italiana sia di alto livello, ma forse intendevi solo quella conosciuta, ci sono autori che hanno qualcosa di vero da dire che prende dalla più grande intimità e visione di questo mondo difficile. Credo che in questo periodo manchi il coraggio. Io ho proprio un amico caro, che tra l’altro ho scritto proprio qualcosa sul suo coraggio e sulla sua visione del mondo, ed è Giovanni Algieri. Lui ci tiene, il suo progetto lo cura. Non aspetta che qualcuno lo gestisca. Ha sempre creduto in questo suo volersi dare voce. Ed è difficile. E a proposito dell’autorialità, ad esempio a me due anni fa avevano proposto di pubblicare un libro di poesie che avevo raccolto. E ho avuto paura perché mi sono detta “io che cosa devo portare di nuovo a questo mondo, poi con delle poesie, a chi interesserà?”. Quindi certe volte il freno lo mettiamo noi stessi. Ma quest’anno ho ritrovato il coraggio anche grazie a Giovanni.
Ci autocensuriamo.
Si esatto, ci autocensuriamo e autosabotiamo perché non pensiamo che magari qualcosa che non sia estremamente politicizzato o che abbia una ripercussione a livello economico, quindi un cambiamento di una legge a livello bancario o finanziario, possa rendere la vita più lieve e piacevole e perdiamo il piacere delle cose quotidiane che dovrebbero arricchirci. Il piacere di ascoltare la musica e guardare film, sono cose che in realtà ci accompagnano e da che mondo in mondo ci hanno permesso di vivere e non limitarci, ad essere altro di quello che è l’essere animale e che dovrebbe continuare a nutrirci. Insomma, questo svuotarci della nostra parte artistica e questa velocità nell’ottenere le cose e non avere un attimo per pensare, questo continuo bombardamento visivo, ci sta spogliando di quello che è un velo semivisibile che ci protegge dalla ragione, dal quotidiano scevro dalla poesia. E sarebbe bello che tornassimo ad amare l’arte senza un fine. L’arte è proprio quella che è, non ha bisogno di avere altro, ci nutre e basta.
Condivido tutto. Secondo te esiste ancora la meritocrazia?
La meritocrazia secondo me esiste ancora nel momento in cui il talento è realmente schiacciante, in cui non puoi negarlo perché è talmente evidente, che brilla ed è visibile a chiunque. Purtroppo la meritocrazia in senso reale non credo che ci sia, anche perché purtroppo i talent scout, gli uffici stampa, anche loro preferiscono un piatto semicotto, ovvero non riescono ad investire da zero, ma devono essere sicuri che possono portare qualcosa. Quindi puntare su un diamante grezzo è difficile. Ecco, bisognerebbe puntare più sui talent scout e non più su questi social e questi follower. Pensa che a un mio amico, la prima cosa che gli hanno chiesto per un lavoro è stata “mi mandi il suo profilo Instagram”, e non l’hanno preso perché non aveva cura del suo profilo.
Magari hai 50 follower e un grande talento però non vieni considerato.
Esatto. Stanno paralizzando purtroppo il percorso artistico con questi follower.
C’è troppa attenzione da quando ci sono le influencer.
Ma si. Poi abbiamo il tempo d’attenzione di un criceto, i video mini di 30 secondi e poi sei già passato al successivo, ci allenano alla disattenzione, al pressappochismo. C’è così tanta informazione che poi è come se non ci fosse, perché non hai il tempo di vedere niente.
Secondo te, per un attore ha ancora senso delinearsi un percorso a priori decidendo a quali progetti non si parteciperebbe mai?
Io sono fortunata, perché mi muovo in più ambiti. La mia agenzia mi ha fatto dire più “no” che “si”, con delle cose che erano dei “no” che mi avrebbero portato una stabilità, anche economica, non indifferente. E invece mi ricordano che una delle prime domande che mi hanno fatto era quale fosse il mio regista preferito e con chi avrei voluto lavorare, e da lì capire che persona io fossi e quale attrice volevo diventare. Lì trovi la differenza. Non essere un’attrice che dice di “no” perché si deve dire “no”, però alla fine noi facciamo i conti con noi stessi e se facciamo qualcosa che non ci è piaciuta e ci abbia spogliato del nostro sogno e della nostra vocazione, forse è meglio fare qualcos’altro.
Siamo all’ultima domanda. Progetti in cantiere?
Tantissimi. Prima di tutto New York, dove voglio assolutamente tornare. E poi c’è da fare tanto. Perché io sul lavoro all’estero ci credo, ci credo nel farsi da soli, credo nei posti in cui si riesce a lavorare in squadra e non ci si odia, non ci sia invidia e non ci si remi contro per risaltare meglio tu. Io una cosa che ho sentito tanto a New York è la sinergia e la voglia di collaborare, che è una cosa che mi è capitata ma non in modo eccessivo qui, grazie a Lucia Sardo ad esempio, attrice che mi sta supportando e credendo in me, invece spesso c’è questo modo, questo non sense di tenere il gruppo privato, di non condividere le informazioni, di non aiutare. E invece io mi sono sempre trovata ad aiutare ragazzi che volevano provare ad entrare al Centro Sperimentale, a fare da coach e a motivare le persone a credere in loro stessi e nelle loro capacità. Anche perché a me, in prima persona, hanno cercato, fallendo, di boicottarmi e non farmi andare via da Catania e dirmi che non ce l’avrei fatta, che al Centro Sperimentale sarebbero entrati solo i raccomandati che se anche fossi entrata sarebbe stato solo perché ero “bellina”. E invece io aiuto chiunque, se sento un minimo di scoraggiamento dico “no, ci devi provare. Perché se ti dicono di no è un conto, e invece se non provi, ci penserai tutta la vita e avrai i rimorsi”. Poi alla fine noi la sappiamo la nostra verità e cosa vogliamo, dobbiamo solo imparare ad ascoltarci.
Che bello sentire queste parole, è raro.
Grazie, veramente. Poi un’altra cosa che ti volevo dire, che ho scoperto da poco, che ha a che fare con le relazioni e che ho approfondito con mio fratello Giordano, calciatore professionista, dedito al sacrificio ed artista della resilienza, un’altra anima bellissima e che per me è un motivatore che mi ha aiutata a capire tante cose, è quanto noi, a volte, sottovalutiamo certe volte invece le persone che abbiamo vicino, perché ci sono e ci sono date, ad esempio i miei fratelli. E poi, da quando ho riscoperto mio fratello, sono più in pace, proprio a livello relazionale ho un rapporto diretto. Quanto amore crediamo sia capace di dare solo il rapporto di coppia e quanto invece è amore anche l’amicizia e la fratellanza. Quindi per me è importante rivedere e rivalutare i rapporti nella nostra famiglia, perché a volte sono le persone che conosciamo meno, ma ci sono sempre.
I valori familiari sono fondamentali. Anche io ad esempio sono molto legata alle mie sorelle, tra l’altro una è mia gemella.
Ma che bello, anche io sono legatissima è un rapporto fondamentale.
Grazie per la bella chiacchierata, Ester. In bocca al lupo per tutto e alla prossima.
Grazie a te, a presto!
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