Audrey Hepburn – La farfalla di ferro è la biografia di Alessandro Ruta che si prende la briga di raccontare una delle icone di bellezza di tutti i tempi, nonché uno dei volti più noti e ammirati del cinema degli anni Cinquanta e Sessanta e una delle figure più incisive e rappresentative del ventesimo secolo.
Raccontare Audrey Hepburn non è semplice. Non è semplice perché lei non era solo un’icona aggraziata, elegante, con uno charme innato, ma era anche una donna con un cervello sopraffino, capace di sfoggiare una dolcezza inusitata e che non aveva paura del futuro e soprattutto di quelle rughe che le tagliavano un volto così delicato.
Alessandro Ruta ha saputo raccontare nel dettaglio – e questa non è una cosa da poco – ciò che era, ed è ancora oggi, Audrey Hepburn. Dalla prima pagina ci rendiamo conto che non è il racconto – solo – di una delle attrici più amate di tutti i tempi, ma è la storia di una donna dietro quelle immagini patinate che ci vengono mostrate, è la storia di una donna normale, con le sue fragilità e con la sua consapevolezza, con una quotidianità fatta di amore, ma anche di duro lavoro e di figli da educare.
Il viaggio – perché questo è stato leggere la biografia – parte da quando Audrey, anzi, Edda, non era ancora nata. Conosciamo quelli che sono i suoi genitori, le sue origini, fino ad arrivare, forse, agli anni più duri per lei e per tutto il mondo. La seconda guerra mondiale non è stata una passeggiata, per nessuno, nemmeno per lei che era poco più che una bambina. Edda mise le sue doti da ballerina, la sua prima grande passione, prima del cinema, al servizio della Resistenza, iniziando ad esibirsi in eventi notturni illegali organizzati per raccogliere fondi.
Ma poi, finalmente, le cose iniziano a girare in un altro modo, per lei e per tutto il mondo. Dal il 1948 inizia una seconda vita, si trasferisce a Londra, diventa Audrey Hepburn e parte la sua scalata nello star system.
«Vancanze Romane che apre definitivamente le porte della celebrità ad Audrey Hepburn», ma lei, nonostante il successo, con Oscar annesso, della principessa Anna, della delicata ed iconica più che mai Holly Golightly di Colazione da Tiffany, dell’araba fenice di Covent Garden di My Fair Lady, si è sempre allontanata dall’immagine stereotipata della diva di Hollywood, e, forse, proprio questo l’ha resa così importante.
Ma Ruta ci fa conoscere, soprattutto, il lato umano di Audrey, una donna capace di innamorarsi più volte; di non arrendersi alle prime difficoltà; di amare ed educare i figli Sean e Luca; di tenere duro anche quando la vita ti mette a dura prova, come quando ha subito un aborto spontaneo o quando c’è stato il tentativo di rapimento dell’allora marito e medico italiano Andrea Dotti, in quello che è stato il periodo più turbolento dell’Italia repubblicana.
Proprio quei maledetti “anni di piombo” la fanno volare via da una Roma che l’ha amata, e che lei ha amato, profondamente, da quando slittava per le vie di Roma in Vespa con Gregory Peck, iniziando quel periodo cinematografico che passò alla storia come la “Hollywood sel Tevere“, simbolo della “dolce vita”.
E poi l’addio al mondo di Hollywood e il ritorno sul grande schermo accanto a Sean Connery; l’impegno umanitario, che nel 1988 la porta a diventare ambasciatrice ufficiale dell’Unicef, e la lettura di alcune parti del Diario della sua coetanea Anna Frank; e poi quel Bafta consegnatole dalla principessa Margaret – cui si dice che la storia di Vacanze Romane fosse a lei ispirata – proprio l’anno prima della sua morte, un riconoscimento nelle mani di una donna che ha iniziato, indirettamente, la carriera di Audrey Hepburn. E’ come se si fosse chiuso un cerchio.
E poi arriva il 20 gennaio 1993. Alessandro Ruta non poteva non inserirlo. Toccanti le parole che sono state spese per lei dai maggiori quotidiani nazionali. Ma quello che lo scrittore vuole sottolineare, e che mi sento di condividere, è che quella data non è la fine. E‘ solo l’inizio dell’iconicità resistente al tempo e alle mode. Audrey Hepburn da quel momento diventa ufficialmente l’eterno modello di stile universale.
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