Diceva, Simone Weil:
“Come il vetro, l’essere umano è fragile. L’estrema nostra esposizione alla precarietà e contingenza dell’esistenza è evidente nell’evento stesso del nascere, ma è importante riconoscere e mostrare come nella fragilità stia la forza intrinseca della vita umana.”
Ed è proprio in questo momento in un tempo che sembra esser “sospeso” dove non esiste fretta, incontri, socialità; esistiamo solo noi stessi.
In mezzo alla giungla quotidiana, ci siamo distratti dalle inutilità, ci siamo “scannati” tra noi facendoci aridi, scostanti.
E adesso, nel pieno silenzio delle nostre tiepide case?
Come un rewind ripensiamo alla vita. A ciò che sin ora si è costruito, agli errori commessi. Ripensiamo agli affetti, alle mancanze ricevute a quelle spiacevolmente donate.
Ed è così che con un meccanismo tra pensieri che scavano nell’interiorità ci si abbandona alla conscia esistenza della nostra fragilità.
Il nostro corpo è fragile e come ci ricorda la filosofa francese Simone Weil, può essere trafitto da qualsiasi pezzo di materia in movimento oppure può inceppare per sempre uno dei suoi congegni interni. Ma anche la nostra interiorità è fragile, vulnerabile perché soggetta a immotivati cambiamenti d’umore e depressioni, in balia delle cose, e di altri esseri come noi, altrettanto fragili e capricciosi.
La società moderna ha associato la fragilità a una mancata efficienza. Oggi il mito della perfezione dell’uomo che sa bastare a sé stesso, permea la nostra cultura.
Di questo, mi sovviene ricordare la filosofia di Leopardi, che tratta in prima istanza proprio della fragilità e della condizione umana. Infatti ciò che Leopardi mostrava quando raccontava la storia del suo pastore errante, che si interroga di fronte all’immensità della luna e del cielo sulla dimensione umana mortale, è la fragilità che contraddistingue l’uomo.
Emily Dickinson, poetessa e scrittrice statunitense, sembrava quasi presagire questi nostri istanti di solitudine e fragilità già dal lontano 1764 l’anno in cui pubblico una poesia, oggi nota a molti;
Il più dolce, il più sconsolato suono
il suono più sfrenato-
sono gli uccelli a farlo in primavera
al delizioso finire della notte-
là, sulla linea tra marzo e aprile-
quel confine incantato
oltre il quale l’estate va esitando-
vicina, quasi troppo celestiale.
Ci fa pensare a tutti i nostri morti
che qui con noi vagarono-
divenuti crudelmente più cari
per la magia della separazione.
Ci fa pensare a quello che avevamo
e a ciò che compiangiamo.
Quasi vorremmo che tutte quelle voci
di sirene svanissero lontano.
Un orecchio può spezzare un cuore,
lesto come una lancia.
Ah, se l’orecchio non avesse un cuore
così pericolosamente vicino.
Chiaramente la poesia di Dickinson racchiude un pensiero molto distante da ciò che intendiamo ora, ma la sua particolarità risiede nella consapevolezza della fragilità che “Ci fa pensare a quello che avevamo e a ciò che compiangiamo”
Nel nostro tram tram quotidiano non ci rendevamo conto di quanto fossimo già fortunati. Troppo presi ad inseguire il tempo che scorre inesorabile. Ora, è proprio il tempo a far da padrone nelle nostre giornate.
Eravamo felici, senza saperlo.
E quando tutto questo finirà torneremo ad essere forti?
Forse, lo siamo già. Perché è proprio mostrando a noi stessi la vera essenza dell’umanità, di ciò che siamo che risultiamo automaticamente più forti, coscienti, liberi
Quando verrà il giorno, ci sentiremo cambiati forse, nell’intimo. E con nuovi occhi ci soffermeremo dinanzi alla bellezza di un paesaggio, di un abbraccio amico.
Restando Fragili ma non deboli.
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La vita ci conduce tutti verso quel bivio, ma sono i modi con cui hai calpestato la terra sognando il cielo, azzurro e vasto, impetuoso e tranquillo a caratterizzare il tuo traguardo. Hai avuto la fortuna di interpretare tanti personaggi, di indossare maschere diverse restando te stesso, nel trasformismo hai appagato il desiderio di esprimere ed imprimere il senso dell’esistenza regalandone l’essenza a chi ti ha conosciuto. Fra le tante maschere lasci mondi che si schiudono ameni, popolabili di altre figure e di nuove sembianze, rappresi in una recitazione corale che resta inno alla vita. Grazie.
bellissima poesia, indossiamo maschere con corazze per proteggere noi stessi ci nascondiamo e poi usiamo le stesse corazze per fare male, impariamo l’ insostenibile leggerezza di vivere imparare le sfumature della delicatezza, la gentilezza , la dolcezza, e l’ amore che leverà tutte le paurose e ipocrite maschere