Cos’hai nel sangue, di Gaia Giovagnoli

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La madre è lì, distesa, nell’ombra oltre la tenda. È aperta sotto ai suoi occhi, la carne spalancata come quella di un coniglio. Nel chiaroscuro della stanza una ferita, umida e scura – la bambina la fissa, rossa, e non capisce. La vagina della madre le si imprime dentro agli occhi.

Così inizia il romanzo d’esordio di Gaia Giovagnoli, Cos’hai nel sangue, edito da Nottetempo; con quest’immagine della madre, aperta e disturbante, insolita e traumatizzante, per una bambina che guarda e non capisce. Nell’ombra oltre la tenda, nel chiaroscuro della stanza, avviene qualcosa che segnerà tutto il corso della storia; il lettore lo scoprirà solo verso la fine, insieme alla protagonista, Caterina.

Di lei non si sa molto, tranne una cosa: il suo nome è quello di una santa – Santa Caterina da Siena – ma anche quello di una strega – Caterina Foschi. Chi delle due è? E sua madre, il rapporto conflittuale con la quale è il cuore del romanzo, che madre è? Una di quelle che salva o una di quelle che condanna? Gaia Giovagnoli, con molta bravura, lavora sul confine senza prendere o far prendere parte.

Osserva, descrive, riporta, come fosse un’indagine antropologica. E l’antropologia – che interessa gli studi della scrittrice, laureata in Lettere moderne e in Antropologia culturale all’università di Bologna – c’entra anche nella storia e si concretizza nel personaggio di Alessandro Spina, antropologo appunto, che sta conducendo ricerche sul paese natio della madre di Caterina e fornirà a quest’ultima, involontariamente, gli strumenti per scoprire il passato ombroso di sua madre, che ora ha problemi mentali.

Cos'hai nel sangue, di Gaia Giovagnoli 1
Gaia Giovagnoli, Cos’hai nel sangue, nottetempo

Attraverso il diario di campo di Alessandro Spina e le cassette da lui registrate, Caterina otterrà informazioni su Coragrotta, paese dal nome evocativo, da cui la madre da giovane è fuggita senza mai più tornare, proibendolo – indirettamente e non, con una serie di parole non dette e fatti nascosti – anche a Caterina. Ma è quasi sempre certo che ciò che ci viene proibito, soprattutto se senza una motivazione, finisce per attirarci a sé. È così che Caterina arriva a Coragrotta, come attirata da un magnete, come spinta da un desiderio e un bisogno atavici. Quello è il suo paese, il legame-catena non può spezzarsi.

In questo modo, ciò che la madre di Caterina ha – con le buone e con le cattive – evitato per la figlia, si compirà. Il destino, ci dice il libro e con lui Gaia Giovagnoli, si compie inevitabilmente. Se il contesto ci vuole in un determinato modo, se la matrice è in un determinato modo, è difficile se non impossibile cambiare il corso delle cose. Ce lo insegna già il senza tempo mito di Zeus, o la storia di Edipo: andiamo sempre incontro al nostro destino. A Coragrotta, Caterina conoscerà un luogo dalle usanze estreme e dalle tradizioni che si perpetuano da nessuno sa quanto tempo; da sempre. Non può evitare di farne parte.

In questo luogo la scrittrice riunisce molti degli elementi classici della fiaba, o meglio, del folk horror: i lupi – sebbene con sembianze insolite e inquietanti –, le streghe, il bosco. Come sopra, però, il confine tra santo e diabolico, tra cura e maleficio, non è netta:

“Cos’era quell’odore durante la… preghiera? Non so se si può chiamare così,” riprendo accennando un sorriso, cercando di recuperare il clima di confidenza.
“Ho sentito una puzza strana”.
Barbara sbadiglia e si sfrega un occhio.
“L’angelo,” risponde netta. “Fa l’odore che fanno le cose benedette”.
“Di cane bagnato?” le chiedo, non riuscendo a trattenere un po’ di ironia. Lei però resta seria.
“Di selvatico. Le cose sacre hanno sempre odore di selvatico”.

pag. 161
Cos'hai nel sangue, di Gaia Giovagnoli 2
Gaia Giovagnoli

Al di là della storia, che è molto interessante e intensa e di cui spero di non aver svelato troppo, l’abilità di Gaia Giovagnoli sta nel saperla scomporre come un puzzle per poi consegnare a chi legge un pezzettino per volta, nel momento giusto. Il puzzle riguarda anche i piani temporali e narrativi: presente, passato, futuro si alternano e così anche realtà, sogno e immaginazione.

Alla voce della protagonista narratrice, poi, si unisce quella di Alessandro Spina, per mezzo del diario e delle registrazioni, e questo contribuisce a mantenere il ritmo, l’attesa e l’attenzione del lettore. Lettore che, all’inizio, alle prese con i pezzi del puzzle tutti mischiati, fatica a comprendere chi dica cosa e se lo dica per davvero o in sogno. È d’altronde la stessa confusione che prova Caterina. Alla fine, sarà tutto un comprendere, un collegare i pezzi, un accettare sé stessi e cosa si ha nel sangue.

Federica Gallotta
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