Siamo nel 1951, quindici anni prima dei movimenti di protesta delle comunità afroamericane, sedici anni prima dell’ascesa della New Hollywood, diciassette anni prima dei moti europei dei giovani studenti. Quello che potrebbe passare come un qualsiasi anno di transizione nell’epoca post-bellica americana è, in realtà, il momento di uscita di uno dei libri più anticonformisti e premonitori della Storia della Letteratura di matrice USA: parliamo dell’opera prima di J.D. Salinger, Il Giovane Holden
Al pari di Grace Slick al Festival di Woodstock, con Il Giovane Holden Salinger ha rappresentato un vero e proprio inno generazionale, il quale ha dato voce a tutti quei giovani che si trovavano ingabbiati all’interno del becero moralismo americano.
The Catcher in the Rye, titolo originale dell’opera di Salinger, rimanda il suo significato ad una canzone di Robert Burns, la quale non ha possibilità di traduzione in altre lingue, compresa quella italiana
Tuttavia questa frase non necessita di una traslitterazione per poter essere analizzata; d’altro canto lo stesso Calvino, nel suo articolo L’italiano, una lingua tra le altre lingue, approfondisce ulteriormente l’aspetto dell’intraducibilità di un testo, affermando che «Chi legge letteratura in traduzione sa già di compiere un’operazione approssimativa. La scrittura letteraria consiste sempre di più in un approfondimento dello spirito più specifico della lingua, e come tale diventa sempre più intraducibile.» È palese come la forza della scrittura risieda nient’altro che in se stessa, la sua necessità di rappresentarsi autonomamente.
Ed è proprio sulla base del concetto di libertà che si pone la base della caratterizzazione del protagonista, Holden Caulfield, membro onorario del Club dei personaggi incompresi della storia della Letteratura, al pari di Benjamin Braddock de Il Laureato. Egli non ha uno scopo nella vita, non ha ambizioni: è un sedicenne con insicurezze e debolezze tipiche di questa età ma che, in realtà, nascondono e opprimono la sua gigante forza d’animo, comandata inconsciamente dalla sua diversità.
Il giovane Holden riconosce più e più volte di non essere perfetto, addirittura molte volte si definisce come un matto, ma a lui questo non importa
Egli non vuole immedesimarsi nelle altre persone, è restìo nel mostrare empatia, non vuole essere un qualsiasi ingranaggio che compone la macchina del mondo urbano: lui vuole solo essere il suo Io e il suo Sé, l’universo che vuole abitare è quello che lui pensa (e quindi vive) nella sua mente.
Dopo essere stato espulso da un collegio pullulante di avidi giovani e vecchi professori, tale Istituto Pencey, Holden inizierà un viaggio fisico e spirituale che lo porterà ad intrecciare luoghi sconosciuti con le strade percorse nella sua vita. In questo caso la bravura di Salinger prende il sopravvento, poiché lo scrittore, con forte delicatezza, ci catapulta insieme al protagonista nei suoi ricordi d’infanzia: la morte del fratello minore Allie, il suo primo amore, il rapporto con i genitori e la sorellina.
Tutto questo aiuta Holden, il quale troverà la forza di continuare il suo Viaggio, ma soprattutto aiuterà noi lettori, che finalmente arriveremo a capire qualcosa di più sul protagonista del racconto.
La “piccola Rivoluzione” che però viene portata sul campo da Salinger nelle pagine de Il Giovane Holden non prende forma con la struttura narrativa del racconto, bensì con il linguaggio utilizzato all’interno di questo. Con i continui e dissacranti pensieri di Holden nei confronti di tutti i personaggi Salinger trasforma il protagonista del libro, rendendolo il portavoce della sua personale critica nei confronti dell’uomo contemporaneo; quello che veniva visto da tutti (Almeno negli Anni Cinquanta) come il Modus Operandi del cittadino modello, per Holden, e quindi de facto per Salinger stesso, rappresenta nient’altro che un motivo per odiare e disprezzare l’effimera vita del consumista moderno.
Le continue digressioni del protagonista lo porteranno a scontrarsi con tutti: professori, compagni di stanza, amici, ex-amici, ragazze
Sperare di poter cambiare Holden è un’impresa donchisciottesca, ma questo loro non lo capiscono perché fanno ormai parte di quel mondo futile e materialistico tipicamente statunitense. Il giovane pare che voglia far scatenare le ire di tutti quanti, che si aprono ai loro più feroci istinti animaleschi: d’altra parte come fai a non reagire in maniera impulsiva quando qualcuno, nel bel mezzo della notte, ti chiama per sapere cosa fanno le anatre quando il laghetto di Central Park è ghiacciato?
I dialoghi che si creano tra Holden e due tassisti newyorkesi si divincola in un misto di incredulità per quanto sta accadendo e compassione per l’incompresa mente di Holden e per gli sciagurati tassisti, incolpevoli di essersi trovati di fronte ad un personaggio mai visto prima. Nonostante tutto questo, come in ogni buon romanzo di formazione, anche il nostro protagonista sarà destinato a cambiare; grazie alla funzione catartica dei ricordi Holden verrà aiutato astrattamente dal fratello Allie e in maniera tangibile dalla sorellina Phoebe; grazie a loro due il protagonista ritroverà quella fiducia nell’uomo e nella vita che, negli ultimi anni della sua vita, lo avevano abbandonato.
In un ultimo e disperato tentativo di fuga Holden capirà finalmente, vedendo la sorellina andare sulle giostre di Central Park, che la felicità è alla portata di tutti, anche per una persona come lui. Con le ultime due pagine de Il Giovane Holden notiamo il cambiamento definitivo del protagonista, che debilitato da una malattia che lo costringerà per un po’ alla sedentarietà del letto, avrà finalmente, per citare le parole di una poesia di Edgar Allan Poe, «Accordato il cuore alla gioia di chi gli stava accanto».