“Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so”.
Comincia così uno dei romanzi più originali, sconvolgenti, profondi e rivelatori del ventunesimo secolo. Ancora forse in debito con qualche retaggio del passato, ma capace di individuare, già da questa prima frase, e ancora più in profondità, dalla forma netta di ogni periodo, lo smarrimento nevrotico dell’uomo di là da venire, il romanzo, che a ben vedere è entrato nell’immaginario collettivo, è “L’Etranger” (“Lo Straniero” 1942) e l’autore è l’algerino Albert Camus.
Di Albert Camus potremmo dire che è stato uno dei massimi scrittori del novecento; potremmo dire che è stato una dei massimi filosofi del novecento; potremmo dire che egli ha incarnato perfettamente la figura di attivista impegnato nella guerra d’indipendenza in Algeria ma anche nella lotta anarchica al comunismo marxista e al capitalismo occidentale.
Intellettuale a tutto tondo e figura di spicco dell’esistenzialismo ateo francese, insieme a nomi quali Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir su tutti ,l’impronta che Camus ha lasciato, nella sua breve vita (cui l’apice da ricordare è il premio Nobel per la letteratura nel 1957 – qui il discorso che pronunciò) al mondo culturale travalica parziali schieramenti e s’innalza al di sopra del cicaleggio politicante dalla dimensione macchiettistica; essa è un lascito universalmente ripartito, una smorfia di dolore della vita che svela la vita e che guarda alla cura e si fa testamento dell’angoscia umana nel deserto dell’assurdo.
Ma ancora cercando di focalizzare la vera natura del pensatore di Algeri, possiamo emancipare costui dai fissi sintagmi esistenzialistici, ed elevarlo a quell’attivismo umanista che con “L’uomo in rivolta”, trova il suo compimento, in un pensiero multiforme e tentacolare, che forse come nessun altro nella sua epoca ha saputo raccontare il sentimento dell’assurdo e le sue scappatoie.
È proprio l’assurdo il tema centrale in Camus. Assurdo come assurda è l’epopea di Mersault (protagonista de “Lo straniero” di cui sopra) prototipo lungimirante dell’uomo che sarebbe venuto dopo la mattanza della Seconda Guerra Mondiale e profetica proiezione dello smarrimento atomizzante nella realtà del tecnicismo e della decadenza.
Mersault de lo Straniero è l’uomo d’oggi: impiegato modesto e senza ambizioni; uomo dalla cultura media; potrebbe avere un figlio come no; potrebbe essere solo o non esserlo.
In lui, così distrattamente vitale e funereo, non filtra alcuna ideazione, tra la realtà e il suo mondo emotivo. Mersault vive automaticamente, si trascina nella vita, non ha guizzi e nella subordinazione e nella nevrosi si gioca la sua battaglia.
Ogni azione, dunque, è dettata dal peso dello smarrimento, ne Lo Straniero. Tutto accade fatalmente privo di controllo. Il raggio di sole che lo accecherà, per un momento, e lo porterà senza volere a premere il grilletto e a uccidere, è la metafora del mondo accecato da una società liquida di oggetti, virtualità e assenza di contatto.
Ecco la grandezza di Camus: egli intercetta agli albori la disgregazione valoriale e l’anestesia emotiva di un mondo che non sente. È assurdo il deserto in cui scheletri dalle voglie elementari- il consumo- si muovono, anelano al piccolo, senza eroismo, sempre più rimpicciolendosi.
Ma Mersault ha in sé tutta la tragedia dell’eroe. E in particolare dell’eroe assurdo. Egli è assurdo perché innocente. E rispetto a ciò la grande idea di Camus è quella di proporre le due versioni: quella di Mersault dapprima e quella dei personaggi che popolano il processo, in seguito; con le conseguenti mezze verità, accuse e prese di coscienza. Ecco, Camus ne Lo Straniero ci parla della labilità tra il vero e il falso; tra il soggettivo e il soggettivo. E chiude all’idea di un parere super partes, perché se Dio non c’è, non c’è neanche assolutezza.
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