Complicazioni di altra natura, il nuovo libro di Gianni Marcantoni [Intervista]

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Complicazioni di altra natura” è l’ultimo libro, forse il più significativo, sicuramente il più maturo, del pluripremiato poeta marchigiano Gianni Marcantoni.


Una poesia, la sua, che indaga, sin dagli esordi, ma qui con forza superiore, paradossalmente appoggiandosi ad un liguaggio meno estemporaneo, le contraddizioni più disparate, con al centro Uomo e Natura, per l’appunto, ma visti con altre lenti.

L’inizio folgorante recita:


“Il pensiero dell’abisso è asfissiante,
il suo fluido insidioso scende arido
a travolgere come valanghe; […]”



In questi tre versi, l’occhio di Gianni Marcantoni, osserva, astraendo un’immagine dal quotidiano, ma rendendola ugualmente palpabile con quelle “valanghe” che travolgono, una necessità di oltrepassare muri e condizionamenti, quasi percorrendo un ideale che è inopinabilmente, vertigine, vuoto che sommerge.
Questa è “l’altra natura” per Marcantoni, laddove i pensieri, gli ideali, lo sguardo, ma anche le cose, viventi e non viventi, si spogliano del loro significato, o ancora, sono spogliate del loro significato dall’occhio di chi guarda.
Dunque una poesia, quella di Gianni Marcantoni ne “Complicazioni di altra natura”, che si fa espressione della soggettività.


Per l’appunto “l’abisso” è un “pensiero”, l’abisso non è abisso in quanto tale, ma esiste dal momento in cui il soggetto formula l’idea d’abisso. Questo, diventa, allo stesso tempo, privilegio e condanna. Il poeta può, come detto sopra, travalicare muri e condizionamenti, ma, per citare il Nietzsche de “Al di là del bene e del male” :”Quando guardi a lungo nell’abisso, anche l’abisso ti guarda dentro”. Un gioco di sensibilità e necessità, quello di Marcantoni, innanzitutto una missione come poeta, ma anche un’etica ed un’estetica profondamente umane. Il lavorio di vivere e “vedere” sé stessi, gli altri e la Natura che tutti ci contiene, è il diktat di Complicazioni di altra natura“.

Leggendo Marcantoni si percepisce una saggezza e una maturità, non solo dal punto di vista stilistico; è l’uomo che accarezza il reale con la levità di chi muta sempre ostinatamente lo sguardo. Sembra, leggendo questo libro, di fluire con la vita, anche nel terribile, alla giusta distanza sancita dalla penna del poeta.


P: Buongiorno, Gianni. Innanzitutto grazie per la tua disponibilità di concederci quest’intervista. Volevo cominciare chiedendoti due cose semplici, ma a mio avviso nodali per capire meglio il senso della tua Opera: come è nato questo libro e cosa significa per te, anche alla luce degli altri sei che hai pubblicato in precedenza?


M:Buongiorno Domenico, questo settimo lavoro lo avevo già in mente mentre stavo preparando “Ammessi al paesaggio”, come esigenza di confrontarmi con un’opera ancora nuova, all’interno di un mio personale percorso di maturazione stilistico-letteraria. “Ammessi al paesaggio” è un’opera che doveva essere proposta necessariamente in quel modo, in quel preciso momento, senza poter subire modifiche, in cui dovevo sperimentare sulla metrica e su vari aspetti innovativi della poesia, “Complicazioni di altra natura” è nato invece come modo di confrontarmi con una scrittura breve, un verso forse meno ostico e con uno stile stavolta più classico.

Sentivo la necessità di comporre dei versi inediti rispetto ai miei precedenti lavori, e mi sono concentrato molto più su un linguaggio ridotto, seppure sempre enigmatico, che in meno parole potesse comunque dire molto, anche se è pur vero che all’interno del libro, ci sono tre poesie risalenti al 2002 che ben si inserivano nel suo interno.


P: Quando scrivi, cosa fa in modo che in te parta la scintilla creativa e se gli input sono cambiati nel tempo?


M:Nel mio caso non ci sono di solito momenti ben precisi, nel senso che la poesia mi provoca un sentore che avverto più o meno continuo, ma è solo in alcune circostanze che da questo sentore riescono ad emergere quelle parole che poi compongono la poesia, occorre quindi aspettare il momento opportuno, altrimenti anche insistendo, non si riuscirebbe a scrivere la cosa esatta che volevi esprimere. Spesso difatti la completezza di una lirica arriva dopo alcuni giorni, poiché devono necessariamente arrivare quegli attimi esatti che conducono alla conclusione di un testo. Quanto agli input, non credo siano particolarmente cambiati nel tempo, credo forse che si siano ampliati, ma partendo sempre dalla stessa base esistenziale.


P: Quali sono gli autori, poetici e non, che hai o hai avuto come riferimento?


M:Ce ne sono diversi, ancora prima che scrivere, amo leggere la poesia, ma da semplice lettore, e non come scrittore dello stesso genere. C’è stata in un primo momento Alda Merini con la prosa poetica di “La pazza della porta accanto”, poi successivamente mi hanno appassionato alcuni autori, come, solo per citarne alcuni, Plath, Cvetaeva, Szymborska, Bukowski, Pessoa, e qui torna la prosa poetica de “Il libro dell’inquietudine”, Ferlinghetti, Baudelaire, Pound, Neruda, Artaud, Majakowskij, Brecht, Eluard, Hesse, Rilke, e poi qualche alro italiano come Campana, Toma, Pavese.


P: Hai mai pensato di cimentarti in altre forme: il saggio, il romanzo?


M: Al momento no, non sono stili che sento appartenermi, anche perché ritengo che occorra una preparazione specifica ed appropriata che fino ad ora non ho mai approfondito per mancanza di interesse, preferisco la libertà che ti offre la composizione di un verso. Aggiungo però che un elemento inedito presente in “Complicazioni di altra natura” è un brano scritto in prosa poetica, un nuovo stile su cui mi sono cimentato per la prima volta. Al momento è rimasto un episodio isolato, non so se in futuro potrebbe di nuovo ripresentarsi, vedremo.


P: E ancora, una domanda probabilmente inesauribile e sfaccettata come poche: cosa è per te la poesia?

La poesia è un modo di comunicare la propria interiorità attraverso un linguaggio poetico, quel linguaggio che dovrebbe essere personale, distinto da quello corrente con cui normalmente parliamo. Ciò che deve esserci sotto alla poesia è la poetica, mentre laddove si scrivono versi senza avere una propria poetica, la parola scritta non risulta a mio avviso comunicatrice di nulla.

Un poeta per scrivere deve avere, e dunque esprimere, la propria individuale visione del mondo, altrimenti è uno scrivere versi che con un po’ di abilità e impegno, molti sarebbero sempre in grado di fare, ma poi ci si dovrebbe chiedere: perché mai una qualsiasi altra persona dovrebbe leggere i miei versi? Occorre esporsi, esplorare, contestare, denunciare, anche provocare, con la giusta compostezza e senza scadere nella volgarità, anche a rischio di essere contestati, ma non importa. Libertà quindi, e coraggio, sono ottimi elementi per la poesia

P:E quanto conta per te?

M:Per me la poesia è tutto, poiché è quella relazione esclusiva che instauro tra me ed essa in cui nessuno può interferire, o intromettersi. E’ come un richiamo primordiale che sento nelle viscere quando è il momento di comporre, e in quei casi io devo isolarmi, tutto il resto slitta in secondo piano poiché quando scrivo, sento di compiere la cosa più significativa della mia vita. Non ci sono impegni o adempimenti di altro genere che possano essere maggiori rispetto alla scrittura.

Il dato forse preoccupante è che la mia poesia riempie talmente a sufficienza la mia vita, che anche la mia stessa vita risulta trascurata sotto molti altri aspetti, senza neanche curarmene ancora abbastanza. Chissà forse una pausa, dopo questa settima pubblicazione, potrebbe servirmi per provare a cercare di riprendere in mano la mia vita anche in altri aspetti, vedremo se ci riuscirò, me lo auguro.
Grazie mille per la tua attenzione e grazie a tutti i lettori. 



In fondo al corridoio (ricovero d’urgenza) di Gianni Marcantoni


La finestra restava spalancata
sul piazzale pieno di edera,
era appena piovuto e trasudava
molta condensa dai muri.
Il sole ancora colava dietro le recinzioni
e le ore ritagliavano lenti i minuti
che si scomponevano rovinosi sulle grate.
Sentivo le mani staccarsi dal corpo,
il tempo diveniva una spia accesa
sui folti piloni che sembravano statue stanche.

Eravamo sottili federe bianche
stese all’aria supplichevole della notte,
e non bastava uno strappo
a farci scordare che eravamo nati vivi
nel reparto dell’esistenza,
che una volta fummo ricoverati d’urgenza
nella camera in fondo al corridoio
e che poi vi respirammo dentro
ogni giorno, come esseri dimenticati
che non fecero più ritorno.



Terre bianche di Gianni Marcantoni


Berrò dall’amarezza di questa terra
troppo stanca, le lampare navigano
piene di terre bianche
sulle praterie di inutili estensioni.
V’è una somma di indicazioni
che demarcano l’ombra del passato
e tu smetterai di incutermi timore,
riconoscerai che il tempo è soltanto
una sensazione fra le reminiscenze,
che questa essenza termina in uno scavo
in cui cedono le nostre percezioni.

E non ho paura di ritrovarti come sarai,
resterai per me l’ultima figura nemica,
varcherò ogni attimo indecifrabile
perché tu possa riavere le tue dita d’oro,
le terre saccheggiate nel fuoco,
le nostre solitudini stropicciate
tra le pagine annerite in un rogo.




Carne scalfita di Gianni Marcantoni


Sono state aperte tutte
le macellerie del mondo
e tutto il sangue innocente
è finito cosparso per il mondo.

Noi restiamo pezzi appesi
nelle macellerie, la carne scalfita
sulla linea scarna resta pulita
nell’immediatezza di una ferita.

Ma hai avuto troppo amore per me
ed è stato come soffrire senza un corpo;
il segnale di una voce senza ghiandole
occlude per sempre la veduta
e un bicchiere di miserie ho bevuto
da questo ingombrante nulla,
tra i vapori dissipati di un’umana indolenza.

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