Il cammino dell’anima, Angelo Branduardi [Recensione]

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Il cammino dell’anima è il nuovo progetto discografico del cantautore italiano Angelo Branduardi, e noi di Shockwave Magazine lo abbiamo recensito per voi

Conoscete Ildegarda di Bingen? Chiedete della santa, la mistica, la teologa, ma anche la botanica, la musicista, la linguista, la filosofa. Troppo in un unico corpo? Perché, allora, non cercare più spazio in quella terra senza confini che è l’anima? Ildegarda fu monaca benedettina al tempo in cui la Chiesa conduceva le sue battaglie al di là del mare, contro un nemico che, a detta di papi e re, minacciava la cristianità. Ma lei era lontana, perché tutta proiettata verso l’esaltazione di Dio e, forse, più desiderosa di ragionare di pace che di diffondere, anche solo a parole, ombre di guerra. 

Il suo è un nome noto per chi conosce i Dottori della Chiesa ed altre personalità della dottrina cattolica. Dunque, dobbiamo concludere che abbia senso parlarne solo per professare un certo credo religioso? Allora eliminiamo San Francesco dai manuali di letteratura e Mendel da quelli di biologia. Ma elimineremmo, così facendo, anche la doverosa riconoscenza che si impone a chi ha tratto almeno una volta nella vita beneficio dalle migliori intuizioni e scoperte che l’hanno preceduto nei secoli.

Ildegrada musa di Angelo Branduardi

Angelo Branduardi, con il suo ultimo album uscito il 4 ottobre 2019, va oltre le discussioni di parte. Il cammino dell’anima, un disco composto di nove brani, brevissimo nel suo insieme – il disco non raggiunge il traguardo della mezz’ora di durata – trova ispirazione nell’opera di Ildegarda e se ne fa tramite. Non perché il cantautore intenda celebrare un mito della cristianità per ragioni ideologiche, ma perché nella figura di Ildegarda riscontra qualcosa di sé che gli è estremamente caro.

Nel corso della sua carriera artistica, Branduardi ha tratto spunto da molte storie, spesso ispirate alla tradizione popolare delle leggende e delle ballate. A queste forme, diciamo pure “profane”, ha affiancato soggetti ripresi dalla tradizione sacra. Non dimentichiamo, per esempio, che il capolavoro de L’infinitamente piccolo, risalente al 2000, fa della vita di un santo, in questo caso il   poverello d’Assisi, un’ottima fonte d’ispirazione, a cui Branduardi si dedica con entusiasmo e rigore filologico.  A quasi vent’anni prima, al 1983 per l’esattezza, risale, invece, State buoni se potete, l’album tratto dall’omonimo film di Luigi Magni e ispirato alla vita di san Filippo Neri, che vede Branduardi alle prese con la sua prima esperienza da compositore di colonne sonore.

Come si può notare, quindi, l’ultimo lavoro del menestrello non apre filoni inesplorati nella sua produzione, che continua a beneficiare delle sonorità e delle atmosfere a cui da tempo siamo stati abituati. Ma approfondisce dei concetti che creano un ponte tra la monaca del XII secolo e il cantore del XXI.      

Ildegarda era una mistica e occorrerà partire da qui per comprendere quanta intimità si sia creata tra lei e Branduardi dal momento del concepimento dell’album. “Mistico” è termine che proviene direttamente dal greco e indicava l’iniziato ai misteri, vale a dire, nel linguaggio della teologia cristiana, a quelle verità soprannaturali che non possono essere conosciute per mezzo dell’intelligenza umana. “Mistero” viene dal verbo myein, cioè “chiudere, serrare”. Cosa? L’opinione più diffusa suggerisce gli occhi e la bocca, vale a dire le parti del volto che catturano gli stimoli e le informazioni esterne per restituirle rielaborate alla luce di un filtro interno. Il mistero sarebbe quindi la volontà di tacere ciò che si sa, serrando ben strette le labbra e imponendosi ciò che di solito si chiede ad altri nell’atto di portare l’indice alla bocca: il silenzio.

Ma se è il silenzio che cercate, nell’album non lo troverete. Ogni brano, strumentale o cantato, è un flusso ininterrotto di suoni, suoni dolcissimi, come quelle ninna-nanne che ci intonavano la sera prima di perdersi sotto le coperte; suoni festosi, di quelli che accendono la voglia di stare insieme e ricordano quanto sia bello condividere e avere qualcosa da condividere; ma anche suoni rapidi, veloci, di quelli che è difficile afferrare o salvare. Perché? Perché la vita di una santa, come quella di un musicista del nostro secolo, è piena di tentazioni che possono tramutarsi in insidie. E serve scansarle, evitarle, darsela a gambe se si è incapaci di affrontarle.

angelo branduardi il cammino dell'anima recensione

Ma facciamo un passo indietro. Si può dire che Branduardi si senta un po’ mistico?

Sì, nel senso etimologico della parola. Anche lui vive il suo rapporto con la musica come se vivesse un mistero. Anche lui serra le labbra, conserva il segreto e questo lo rende ai nostri occhi un inguaribile malandrino.  Di che segreto si parla? Dell’indicibile moto interiore che conosce l’artista ogni volta che ha da confrontarsi con la sua materia. L’ispirazione, quella sì che è qualcosa di misterioso. Come misteriosa è la sensazione che sale su ogni volta che l’iniziato si trova a tu per tu con il mistero. Lui possiede la chiave. Ma non ne può fare una copia per gli altri, né dargliela in prestito perché rischierebbe di vedersela svanire una volta per tutte. La musica è mistero. Chi la pratica sa quanto tempo richieda accordare le corde dell’anima per trovare il suono perfetto, la giusta sintonia. Branduardi, forse, ha la chiave. Ma, fosse anche così, non ce lo vuole dire.

Appurato che sia Ildegarda sia il nostro cantautore custodiscono un segreto, le affinità non si fermano qui. Tutto nasce dal modo con cui vivono le rispettive vocazioni. Ci provano a tenerselo  per sé quel segreto, ma proprio non ci riescono. E in questo sono malandrini entrambi, Branduardi due volte tanto. Come la santa tedesca avrebbe tranquillamente potuto vivere l’intimità col Signore al chiuso del suo monastero, così il cantautore avrebbe potuto ritirarsi in meditazione, coltivando un rapporto altrettanto intimo con la musica. Non l’hanno fatto. Hanno preferito uscire, andare tra la gente, parlare alla gente. Lei autorizzata dal papa – anche la libera iniziativa, in certi contesti, ha bisogno di permessi – lui autorizzato dalla coscienza.

Per entrambi non si tratta soltanto di conservare il segreto, ma di partire ogni volta alla ricerca di qualcuno che abbia interesse per quel segreto. Non cercano altri mistici, anche se la loro vicinanza sarebbe sicuramente tollerata. Cercano la gente comune, quella che vuole conoscere e apprezzare quello che hanno da dire.

Le tracce de Il Cammino dell’Anima

In Branduardi questa ricerca dell’altro trova espressione in tutte le canzoni dell’album. La prima traccia, Preludio, è un canto corale, di quelli in cui la stessa Ildegarda si era cimentata con risultati di tutto rispetto nella composizione di opere ancora oggi riproposte. Branduardi fa capolino a partire dal secondo brano, Il cammino dell’anima, Pt. 1. Ancora un pezzo a più voci che vuole riprodurre il lento incedere dei fedeli in processione. È alla giovane Ildegarda che si rivolge direttamente il nostro cantautore. Lei, la prescelta, la predestinata, la semplice donna sulle cui spalle gravano tante responsabilità.

La rete di relazioni in cui è inserito l’uomo detta la linea anche in tutti gli altri brani. Nella quarta traccia, Il cammino dell’anima, Pt. 3, un coro di bambini, come già era accaduto in Vanità di vanità, tratto dall’album dedicato a san Filippo Neri, mette in guardia la protagonista dalle lusinghe del serpente, arcaica rappresentazione del Male.  Persino nelle tracce solo strumentali, a cominciare dalla quinta, Gerusalemme, e dalla settima, Sinfonia, si odono voci di sottofondo. Ma, tutto sommato, non fanno che completare il quadro di una coralità di suoni che già formano un’armonia, interagendo tra loro. A questi si aggiunge la voce umana, che si fa canto in un perenne dialogo con gli strumenti, come accade ne L’estasi, la Donna e L’estasi, il Figlio, in cui le invocazioni di Ildegarda trovano nuovo vigore nelle parole di Branduardi.

Solo un brano non rispetta questa coralità: il terzo. Ne Il cammino dell’anima, Pt. 2, non c’ è spazio per le voci, non c’è spazio per il chiacchiericcio strumentale. L’unico ad aver diritto di parola è lui, il Maligno, l’Ingannatore. Con la sua voce cavernosa si profonde in un breve monologo che sputa veleno sugli uomini. A loro guarda con disprezzo, a loro promette fortuna e grandezza, se solo saranno capaci di seguirlo rinnegando Dio. E poi si rivolge a lei, Ildegarda, che troppo giovane ha abbandonato i piaceri della carne e del mondo per abbracciare una strada che non offre certezze.

E Ildegarda diventa qualcosa di più di quello che la sua vita mortale l’ha portata ad essere. Non più soltanto la santa, non più soltanto la mistica. Ma emblema, simbolo di tutte le donne e della grandezza delle donne.

In lei trova riscatto Eva, che alle tentazioni di quel serpente non seppe resistere agli albori dell’uomo. In lei trova il suo trionfo la Vergine, che proprio nella generosità offre il più grande dono. Questa, l’ultima grande trovata di Branduardi. Un album che ci svela qualcosa in più sul suo conto, che ci proietta in quella dimensione sacrale che, con la voce dell’uomo, o meglio degli uomini, celebra non un essere superiore, ma un sentimento superiore: il divino. Lo si può trovare in una passione, nella vita di tutti i giorni. E non è una questione di fede, sia ben chiaro. Perché la musica non conosce barriere e parla una lingua che continuerà a dire qualcosa se solo saremo disposti ad ascoltare. Basta cercare la chiave.

Massimo Vitulano
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