God Is An Astronaut – Ghost Tapes #10, recensione

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Dalle profondità dello spazio ritornano God Is An Astronaut, dopo un’attesa di tre anni la band presenta il loro decimo album: Ghost Tapes #10. Già dalla cupa copertina l’album promette di essere un’esperienza d’impatto emotivo devastante, come giustamente ci si aspetta da dei giganti del post-rock.

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la copertina disegnata da David Rooney

Ghost Tapes #10 non perde tempo a colpirci

Ghost Tapes #10 non perde tempo a colpirci, già la prima canzone “Adrift” inizia con un bel complesso giro di batteria ad opera di Lloyd Hanney che fa poi spazio ad un veloce riff di chitarra dissonante che a mano a mano introdurrà tutti i God Is An Astronaut. Quel che salta alle orecchie subito, è la cupezza e durezza del suono scelto dalla band, definitivamente il più triste di sempre, cosa che non sorprende visto l’anno orribile che è stato il 2020 per tutto il mondo. Il suono di Ghost Tapes #10 rimane comunque malleabile grazie alla capacità compositiva e tecnica dei God Is An Astronaut. La band riesce ad accostare già nella prima canzone durezza freddezza“metallare” a malinconia e momenti eterei a cui ci avevano ben abituato, così come riesce a far confluire in un flusso continuo tempi e soluzioni ritmiche molto diverse tra loro creando un vero e proprio viaggio d’emozioni.

Il primo singolo estratto di Ghost Tapes #10

Il brano seguente è il primo singolo estratto “Burial”: è di sicuro il brano più cupo di Ghost Tapes #10. A partire dal synth inquietante dell’intro per poi continuare con il pianoforte a cura di Torsten Kinsella e Jaime Dean, i God Is An Astronaut creano subito un’atmosfera pesante e triste di disperazione che perdurerà per tutto il brano. La parte centrale è però più ritmica, scandita da un riff di basso distorto. Il timbro scelto da Niels Kinsella è spettacolare, veramente esaltato dal resto del mix, ricorda molto l’ultimo album dei The Ocean.

Il resto di Ghost Tapes #10 segue l’idea proposta da Adrift”: Da un inizio molto cupo si va verso una parte centrale più malinconica che sfocia infine in un momento di serenità. Andando in ordine abbiamo canzoni come “In Flux” che col suo intro di synth evoca un’atmosfera di orrore cosmico, I God Is an Astronaut sembrano degni di comporre una colonna sonora di film quali Alien o Annientamento. La canzone sfocerà gradualmente nel caos passando per riff di chitarra sempre più incalzanti fino alla fine del brano, come a portare tutto verso un flusso.

Segue “Spectres” che con gli interessanti riff non armonici dissonanti del pre-chorus e chorus creano un’atmosfera incerta, instabile. Il brano è breve e fa da ponte perfetto per la sezione successiva di Ghost Tapes #10.

Il secondo singolo estratto da Ghost Tapes #10

C’è poi “Fade”, il secondo singolo estratto che con il suo riff serrato di basso e chitarra ed il synth melodico sembrano evocare l’immagine di star sfrecciando su un bolide in mezzo ad una distopica città futuristica, alla Cyberpunk 2077 o alla Akira per i più nostalgici.

Gli ultimi due brani “Barren Trees” e Luminous Waves” sono la frenata finale usciti dal caos delle sezioni precedenti. Qui i God Is An Astronaut vogliono mostrare che Ghost Tapes #10 non è solamente disperazione e tristezza, ma è un viaggio alla ricerca di una speranza o forse di una luce, una serenità come suggerisce il titolo dell’ultima canzone.

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Questo si riscontra nell’andamento più rilassato di “Barren Trees” rispetto al resto dell’album, dalla chitarra melodica aggiunta di Jimmy Scanlan. Si traduce nelle parti di voce sparse in tutti i brani che alleggeriscono la cupezza generale. Bellissimo anche il violoncello di Jo Quail in “Luminous Waves”, unico brano veramente etereo di Ghost Tapes #10.

I God Is An Astronaut riescono a trascnarci in uno spettacolare viaggio emotivo

I God Is An Astronaut riescono a portarci in uno spettacolare viaggio emotivo in poco meno di tre quarti d’ora, l’album riesce a far sentire tutta la potenza compositiva di questa band leggendaria. Nonostante la cupezza all’ascolto Ghost Tapes #10 rimane comunque estremamente godibile ed evocativo.

Eugenio Gabrielli
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