I Boschi Bruciano sono una band cuneese composta da Pietro Brero – voce e chitarra, Giulio Morra – chitarra, Maurizio Audisio – basso, piano e synth e Vittorio Brero – batteria. “Ci pesava” è il loro album di debutto, pubblicato il 4 ottobre per Bianca Dischi/Artist First. Per sapere qualcosa in più riguardo l’album abbiamo deciso di fare quattro chiacchiere con loro:
Come “I boschi bruciano” ormai suonate e scrivete assieme da qualche anno, tuttavia questo è il vostro primo album ufficiale: cosa vi ha spinto a questa decisione? Cos’è cambiato? E cosa cambierà?
Abbiamo iniziato a suonare insieme che eravamo molto giovani, ci è voluto del tempo per riuscire a capire anche solo come doveva suonare una band a livello di organico. La scrittura di inediti è iniziata da subito, in qualche mese erano già usciti dei brani che poco dopo sono entrati a far parte di un Ep autoprodotto con il solo scopo di aver qualcosa da far sentire ai locali. La preparazione vera e propria di Ci Pesava ha avuto inizio circa un anno e mezzo fa con l’ingresso di Maurizio Audisio nel gruppo. Abbiamo affinato il sound con l’aggiunta di tastiere, synth e una nuova consapevolezza tecnica e del nostro ruolo all’interno del gruppo. Per quanto riguarda il futuro non ci poniamo alcun limite dal punto di vista artistico ma di una cosa siamo certi, l’attitudine sarà la stessa che ci ha portato a imbracciare le chitarre, il rock ‘n roll.
Mi parlate un po’ del titolo? Da dove è nata la scelta?
Fondamentalmente è la nostra quotidianità a pesarci. Il tempo passato è un augurio a noi stessi per questo disco, con la speranza che sia un passo avanti nella direzione per cambiarla. Il titolo fa inoltre riferimento al percorso travagliato che ci ha portato a stringere l’album tra le mani, a cui abbiamo dedicato senza riserve un paio di anni di vita.
Parlando della prima traccia dell’album, “Grigio”; è un pezzo poliedrico: malinconico, vitalista, nichilista allo stesso tempo; e in un certo senso è l’emblema della vostra poetica. Per cui è importante comprendere quale spirito l’abbia animato, qual è il messaggio di fondo?
E’ un po’ la condizione umana. Nessuna certezza sul futuro da una parte, la tendenza a non imparare dai propri errori dall’altra. Grigio è l’unico brano del disco in cui non esorcizziamo la malinconia o il nichilismo nel corso della canzone, ma bensì una semplice affermazione sulla quale si può essere d’accordo o no e che necessita tutto un disco per essere argomentata. Per trovare il messaggio di fondo occorre ascoltare l’album nel suo insieme, noi semplicemente mettiamo le mani avanti sugli argomenti trattati che perdono importanza se paragonati ai temi su cui fa riflettere questo intro, animato dal nostro bisogno di concederci una tregua e smetterla di prenderci troppo sul serio.
Quali sono le vostre influenze maggiori, musicalmente parlando, sia italiane che estere?
Le due anime musicali de I Boschi Bruciano sono senza ombra di dubbio il post-rock e il punk. Per quanto riguarda le band potremmo andare avanti all’infinito, su due piedi di italiani sicuramente Ministri, Fask, The Zen circus, FBYC, Verdena, Il Teatro degli Orrori e Gazebo Penguins. Per quanto riguarda gli artisti stranieri Biffy Clyro, Mogwai, Foo Fighters, Arcane roots, Sunny day Real Estate, Russian Circle e Smashing Pumpkins.
Attualmente la scena musicale italiana ha relegato alle note, quantomeno negli ascolti mainstream, la gran parte del panorama Rock e Punk: perché è successo secondo voi? Come la vivete? C’è spazio per una seconda giovinezza di questi generi?
Che le chitarre elettriche siano tenute in sordina oggi giorno in Italia è un dato di fatto. Siamo molto fiduciosi che ritorneranno, è sempre stato cosi nella successione delle ere musicali, ma spiegare il motivo di tale silenzio è molto difficile. Probabilmente il rock non è quello che serve alle persone di questa generazione, parlando di grande pubblico ovviamente. Noi siamo di parte, non riusciamo ad essere oggettivi su un’analisi di questo tipo ci vorrebbe un sociologo. Sicuramente a livello underground si stanno muovendo diverse situazioni interessanti e di questo siamo contentissimi dato che abbiamo sempre patito la mancanza della cultura della “musica suonata” dalle nostre parti.
Che rapporto avete con la realtà Cuneese?
Penso che amore-odio sia la parola giusta. Nessuno sceglie dove nascere ed è innegabile che il luogo in cui siamo cresciuti abbia avuto un impatto importante sulla nostra formazione musicale. Se vorremmo essere una band di una grande città piena di locali? Certo che si, a livello di possibilità, visibilità e scena musicale non ci sono paragoni per un gruppo agli inizi.Vivere in provincia ti mette nella condizione di doverti sbattere il doppio, senza il seguito solido che può darti un posto come Roma, Milano o Bologna. Detto ciò non rinneghiamo il luogo da cui veniamo, questo spirito combattivo sta alla base del rock e non lo cambieremmo con nulla al mondo. Non avremmo alle spalle una città, ma ogni volta che suoniamo in giro in provincia ci sentiamo a casa.
Gli ultimi anni di Italia sono segnati da un montante ritorno dei localismi, non solo a livello politico: credete che si sia riflesso anche nella musica? Può essere qualcosa di positivo?
Pensiamo che locale e estero in una scena musicale hanno bisogno del giusto equilibrio. Molta della musica che funziona qui non funzionerebbe all’estero e viceversa ma una sana contaminazione non può che far bene, anzi probabilmente si è resa necessaria, in musica come nella politica.
Infine, proiettandoci verso il futuro, come pensate di traslare questo album nella sua versione live? Le canzoni del disco potenzialmente possono rendere molto, quale impatto potrà avere secondo voi?
Ci Pesava è un album pensato e sviluppato per essere suonato dal vivo. Il concerto è il fine ultimo dei nostri sforzi, è naturale quindi che i brani troveranno in esso libero sfogo. Facciamo di tutto per andare in giro a suonare, perché questo è quello che siamo e se trasparirà all’ascoltatore, tra i volumi le chitarrone e il sudore, ne sarà valsa la pena.
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