Gli Iron Maiden sono una band storica, leggendaria nel mondo dell’Heavy Metal. Una carriera quarantennale, costellata di grandi successi e stadi pieni. Generazioni e generazioni di stadi pieni.
E sicuramente uno dei maggiori punti di forza della band è il vocalist, Bruce Dickinson. Voce assolutamente perfetta del genere in questione, ha letteralmente lanciato un modo di cantare il Metal da cui poi praticamente chiunque ha tratto ispirazione. Tuttavia, Dickinson non è sempre stato negli Iron Maiden. Durante gli anni Novanta, dopo l’uscita dell’album Fear of the Dark, il frontman decise di prendersi una pausa dalla band a tempo indeterminato, per dedicarsi a progetti solisti e ad altre passioni (divenendo tra l’altro pilota di aerei di linea britannici).
La band doveva trovare una soluzione non da poco per continuare a macinare successi discografici e issarsi nell’Olimpo musicale.
La scelta del sostituto cadde sul giovane Blaze Bayley. Voce estremamente differente da quella di Dickinson, ha avuto lo sciagurato destino di ereditare un patrimonio artistico straordinario e di difficile gestione. La band tra l’altro decide di virare drasticamente percorso musicale, modificando il proprio sound. Una scelta figlia del periodo infausto per il Metal, in una decade in cui viaggiavano forti le band grunge e alternative. Ma anche della stessa voce di Bayley, particolarmente profonda e cupa.
Ecco quindi che la band nella nuova formazione sforna due album.
The X Factor e Virtual XI. Molto diversi tra loro e, soprattutto, dal resto della discografia della Vergine di Ferro. L’unico vero denominatore comune tra le due pubblicazioni è il mood cupo, drammatico, pessimista che le caratterizza. Tuttavia, il primo album è principalmente una disamina disillusa e disincantata del mondo, della guerra, della società. Il secondo invece analizza in maniera preoccupata e spaventata l’interiorità dell’ego nel rapporto con l’esterno.
Virtual XI è un album carico di ansie, di paure, di tristezza.
Mentre il precedente osservava i mali del mondo con la consapevolezza che ben poco si può fare per raddrizzare la situazione, quest’ultimo è un balzo profondo nell’abisso della disillusione. Come un male oscuro che si diffonde all’interno del gruppo, una sorta di depressione sottile.
Per la quasi totalità, l’album è caratterizzato da un sound piuttosto scarico, arrancante, a tratti noioso. E chiaramente questo è dovuto a un difetto nel processo di composizione.
Si percepisce un po’ di fatica tra i vari brani, una scarsa originalità generale, una serie di aspetti che rendono Virtual XI un album di serie B nella discografia degli Iron Maiden. Tuttavia, ben consapevoli dello scarso valore della sua tracklist, possiamo percepire attraverso il suo svolgimento un processo di ingenua autoanalisi da parte del gruppo. Ogni traccia parla apparentemente di un argomento caratteristico che la distingue dalle altre.
L’ingresso in una realtà sempre più virtuale e meno reale (Futureal), lotta per la libertà (The Clansman), catastrofi astronomiche (When Two Worlds Collide), la Guerra delle Falkland (Como estais amigos). Nel profondo ogni brano tratta invece di un certo smarrimento, di una certa sconfitta per l’essere umano in quanto tale.
Facendo attenzione, ci si rende conto che questo è l’unico album della discografia degli Iron Maiden in cui non ci si scalmana mai.
Non ci sono mai grandi corse, non ci sono mai cavalcate alla Steve Harris, il bassista del gruppo che tanto ne ha caratterizzato lo stile. Tranne forse in Futureal, non ci sono punti di grande agitazione tipici della discografia maideniana. Virtual XI non è un album composto per far agitare il pubblico. Piuttosto è un momento di profonda riflessione nella carriera della band, forse l’unico.
Futureal invita a interrogarci sulle nostre sensazioni e a riflettere sulla loro effettiva esistenza. Laddove le canzoni d’apertura degli Iron Maiden sono sempre state piuttosto energiche, coinvolgenti e pregne di messaggi di vittoria o comunque di rabbia e protesta, qui si invita alla riflessione. Non si forniscono risposte, non si invita a combattere per qualcosa in cui si crede. Anzi ci si chiede se quello in cui si crede sia effettivamente vero.
The Angel and the Gambler, lunghissimo brano fiaccato da una struttura debole e da un ritornello ossessivo e insipido, demolisce una delle credenze popolari della cultura occidentale: la bontà degli angeli.
Anche perché questo angelo, che dovrebbe redimere un povero giocatore d’azzardo, in realtà si guarda bene dal soccorrerlo (Don’t you think I’m a savior, Don’t you think I could save you, Don’t you think I could save your life). Come a dire che anche quando una definitiva salvezza arriverà dal Cielo, essa in realtà non si presenterà.
Lightning Strikes Twice è la canzone che probabilmente meglio rappresenta il mood del disco. In particolare il testo, che sembra parlare banalmente di un lampo che annuncia un imminente temporale. In realtà, attraverso una descrizione quasi cinematografica dell’evento atmosferico e della sua preparazione, il brano sembra raccontare soprattutto le dinamiche di una tempesta interiore. Quasi un ritorno all’infanzia, con i suoi traumi e la vulnerabilità che la caratterizza. Ecco perché il lampo colpisce due volte: una all’esterno col bagliore, una all’interno con la paura.
The Clansman è una delle tante canzoni di guerra della band. Ma in questo caso i protagonisti sono scozzesi che lottano per la propria indipendenza (grazie, Braveheart).
Ed è curioso che a farlo sia una band che si è sempre sentita orgogliosamente inglese, decantando le glorie della RAF nella Seconda Guerra Mondiale (come in Aces High) o della vittoria in Crimea (The Trooper). Eppure qui si prendono le parti della Scozia contro l’Inghilterra. Di un popolo che lotta per la propria libertà contro un altro che gli sta prendendo la terra che apparteneva ai clan. Chi parla si trova in una posizione di inferiorità: sa di dover lottare per qualcosa che gli è stato portato via e che gli spetterebbe di diritto. Non è una canzone di celebrazione della conquista o di onore della lotta, ma un inno per una libertà perduta.
When Two Worlds Collide apparentemente sembra trattare di collisioni planetarie. In realtà, descrive la difficoltà nel conciliare due tratti contrastanti della propria vita. Nello specifico, la canzone descrive le difficoltà di Blaze Bayley nel ritrovarsi catapultato dal mondo dell’underground musicale con i Wolfsbane al massimo del mainstream con gli Iron Maiden. E come dargli torto. Il brano si snoda attraverso parti piuttosto drammatiche, quasi apocalittiche, come se effettivamente la collisione sia imminente e tutto quanto sarà presto spazzato via. Qualcosa che effettivamente accade nella vita di Blaze, che verrà licenziato un anno dopo l’uscita dell’album, tornando nell’underground dopo essere stato il cantante della più grande band Heavy Metal di sempre.
The Educated Fool si snoda attraverso la disamina dell’eterno contrasto tra volontà e dovere.
Si arriva a pensare che forse solo chi è pazzo può permettersi di vivere la propria vita senza restrizioni di sorta stabilite dalla società, dalla morale, dalla religione. La canzone descrive appunto la vita dal punto di vista di qualcuno che non vorrebbe porsi limiti per decidere autonomamente il proprio destino.
Don’t Look to the Eyes of a Stranger. Non guardare negli occhi di uno sconosciuto. La raccomandazione per eccellenza che i genitori fanno ai figli. Questo brano articola tutti i timori di un genitore, descritti e delineati in maniera quasi paranoica.
Como estais amigos è una delicata ballad sulla Guerra delle Falkland. Piccolo conflitto dal significato simbolico immenso, trampolino di lancio che ha rafforzato la figura di Margaret Thatcher in Inghilterra. Anche questa canzone di guerra non presenta grandi celebrazioni e fasti, ma è piuttosto una triste ode ai morti di entrambi i fronti, nella speranza vana che non vi siano più conflitti.
Virtual XI è questo. Una summa di emozioni tristi, permanenti, di quelle che non fanno neanche piangere, ma che opprimono il cuore.
Gli Iron Maiden in questo disco mostrano il loro lato più vulnerabile, ingenuo, interiore. Non è un disco in cui ci si scalmana perché è la rappresentazione della fine di un periodo della vita. Tutta la band, nel lontano 1998 in cui questo album ha visto la luce, ruota intorno ai quarant’anni, soffrendo chi più chi meno di una crisi di mezza età.
Non si ha più voglia di scalmanarsi, ma di riflettere sulla propria vita, sugli obiettivi raggiunti. Si tirano un po’ le somme e si comprende di essere incredibilmente in difetto. Alla vita è stato dato tanto, ma si è ricevuto poco. Perché la fama e il successo non proteggono dalle paure più elementari della vita: non salvano dalla morte, non durano per sempre, non sono la vera rappresentazione della realtà.
A livello metamusicale, Virtual XI è un album importantissimo. Mostra degli Iron Maiden deboli e insicuri, ce li mostra per le normali persone che sono.
E’ l’ultimo album della band come quintetto, l’ultimo degli anni Novanta, l’ultimo con Bayley. Non chiude solo una parentesi breve, quella senza Dickinson alla voce, ma tutta una parte della loro carriera e della loro vita. Dopo gli Iron Maiden diventano una band leggendaria, profondamente autocelebrativa, forte di una formazione numerosa e con due dei membri più rappresentativi (Dickinson e il chitarrista Adrian Smith). Il sestetto ha poi avuto la strada spianata grazie al ritorno al successo del Metal come genere musicale, dopo una decade d’ombra.
Insomma, Virtual XI è qualcosa di strano ed enigmatico.
Un mostro misterioso di cui tutti sentono parlare, ma al quale pochi osano avvicinarsi. Forse perché il disco in sé musicalmente è molto debole, ma forse perché è anche rappresentazione di un’immagine degli Iron Maiden a cui non si è abituati e che non si vorrebbe mai vedere. Perché la loro musica serve a caricare, a dare la forza di combattere e vivere. Quando si ascoltano le loro canzoni, si vuole entrare in contatto con qualcuno di forte, di vigoroso, che possa trasmettere per osmosi musicale quel potere all’ascoltatore. La musica degli Iron Maiden aiuta a risollevarsi, aumenta l’adrenalina.
Virtual XI questa forza non ce l’ha, non è proprio nato per averla, non l’ha mai voluta. Ascoltare questo album non fornisce i mezzi per risollevarsi, non trasmette un senso di potere. Piuttosto fa sentire deboli, insicuri, spaesati e soli. Di certo non è l’unico disco della band ad essere stato criticato profondamente. Ma se è quello che viene ricordato meno volentieri, forse è proprio questo il motivo.
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