Era l’estate del 2002, avevo 9 anni e allo stabilimento balneare in cui andavo, ogni giorno e più di una volta, dal jukebox – altro che Spotify, all’epoca la musica si condivideva – facevo orgogliosamente riecheggiare sempre una canzone: Fiori d’arancio. Da lì Carmen Consoli è diventata la mia colonna sonora, capace di raccontare stracci di vita reale, dai “lunghi ed ostili silenzi” alle “nuove esaltanti vittorie”.
È proprio vero che per ritrovare la pace psicofisica bisogna tornare a dove si è stati bene. Ed io torno sempre lì, nello stesso posto, a quell’estate del 2002, da quella stessa persona, da Carmen Consoli.
Pescara, 13 novembre 2021. Il Teatro Massimo è pieno come non me lo ricordavo più. Posto 20. Ore 21.14. Le luci si spengono. Una voce familiare inizia un monologo. È Carmen Consoli che introduce quello che sta per raccontare. “Dovremmo vivere la vita come la nostra più grande storia d’amore”. Perché il suo non è un concerto, è una narrazione della sua e di molteplici storie, è l’esaltazione del bello e del magnetico.
E all’improvviso arriva Il Sogno. Un primo atto interamente dedicato al nuovo progetto musicale, Volevo fare la rockstar, l’unione perfetta tra la “cosa pubblica” ed il privato più intimo della cantantessa. Una penna minuziosa, graffiante, autentica, letterale, sommersa di racconti, eventi, persone passate, presenti e future.
Il via alle danze è dato da Sta succedendo, poi spazio a tutte le tracce del disco: i sogni raccontati in L’Aquilone, il grido di Una domenica al mare, l’ironia critica del Mago Magone (qui si spezza una corda della chitarra, ma lei, Carmen, come una grande professionista prosegue e la platea, battendo le mani a ritmo, si fa suo strumento), l’emozionante lettera al figlio Giuseppe in Le cose di sempre.
E poi tutta la speranza in Qualcosa di me che non ti aspetti, il ricordo del pare in Armonie Numeriche, il coraggio nell’Imparare dagli alberi a camminare, la retorica fascista sventrata in L’uomo nero, la storia di Carmen in Volevo fare la rockstar che poi non è altro che una narrazione agrodolce collettiva dei sentimenti e della storia di questo Paese.
E poi il silenzio, prima di dare inizio alla seconda parte che raccontano Gli anni mediamente isterici dove Carmen sfoggia il suo essere rock, accompagnata dalla batteria di Marina Rei che interpreta magnificamente la sua Donna che parla in fretta, dove la cantantessa diventa sua chitarrista. Incredibile la sintonia che le due artiste dimostrano di avere sul palco. Le parole, i testi, la musica squarciano, perforano, attraversano l’anima.
Le storie sono intense, crude, autentiche. Si parte con la ribelle Per niente stanca per poi passare alla vulcanica Basame giuda (cavolo che versione che ci ha consegnato), poi ancora una rabbiosa Geisha, una tagliente Fino all’ultimo, il mood rockeggiante di Confusa e Felice, la prorompente Contessa miseria e la graffiante Venere. È tutto così bello che non può finire.
Ancora silenzio. Sta per partire L’Amicizia, dove ad accompagnarla torna sul palco Massimo Roccaforte con il mandolino, che l’aveva seguita nel primo atto del concerto con la chitarra. C’è spazio per i grandi successi, per un ritorno ad un passato così prepotentemente presente che ci mostra quanto siamo privilegiati nel dire che Carmen Consoli è una cantautrice tutta italiana. E che cantautrice.
L’ultimo atto si apre con un omaggio commovente al Maestro Franco Battiato. Stranizza d’amuri è interpretata splendidamente, con le parole del cantautore che scorrevano sullo schermo alle spalle di Carmen Consoli. Poi via ai momenti più intimi e profondi con brani che sono diventati di diritto patrimonio della musica italiana. Parlo della pregevole In bianco e nero, dell’ammaliante L’ultimo bacio, della delicata Blunotte, dell’ironia di Fiori d’arancio, della spinta di Orfeo, dell’avvolgente Parole di burro e della carica esplosiva di ‘A Finestra.
Carismatica e suadente, ispirata e impertinente, consolatrice ed inquisitrice, compiacente ed inaspettata, determinata ed ipnotica, delicata e sincera, dolce e schietta.
Non poteva mancare il bis, richiesto a gran voce dal pubblico. “Ma come posso dare l’anima e riuscire a credere che tutto sia più o meno facile quando è impossibile” inizia ad intonare la platea. Carmen Consoli, dopo aver salutato il pubblico che l’ha amata per quasi due ore e mezza intensamente, torna sul palco del teatro da sola, imbracciando sempre la sua fedele chitarra. Tutti in piedi, gli occhi lucidi per la meraviglia a cui si stava assistendo e partono le note della magnifica Amore di plastica, dimostrandoci che lei è quel fuoco che non stenta ad accendersi.
Bellissimi gli effetti delle luci che hanno reso ammaliante ed accogliente l’intero concerto. Menzione a parte per le illustrazioni video di Donatella Finocchiaro, che hanno trascinato il pubblico delle storie del primo atto del live. Carmen sceglie un abito lungo, non ha bisogno di cambi di outfit o di coristi. Lei ha già tutto lì quello che serve: voce, presenza scenica e quelle dita che toccano le corde della sua chitarra come solo lei – e pochi eletti in questo mondo – sa fare.
Ore 23.36. Cala il sipario sull’incanto, l’energia e la sublimazione. Le luci si riaccendono. I volti sorridenti e sodisfatti. È solo un arrivederci. “Grazie di questa ritrovata vertigine”.
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