Era già virale da giorni il video della caduta a Milano e sui social ci si chiedeva soltanto se all’ultima data in Italia sarebbe riuscita a regalare il solito show. L’Unipol Arena di Bologna era già piena da ore quando Griff, l’ultima delle tre cantanti ingaggiate per l’apertura, ha finito di cantare: si è dovuta persino scusare per avere un’ultima canzone, ha detto “Ve lo giuro che dopo arriva Dua Lipa!”. Dopo mezz’oretta al massimo, infatti, la canzone funky che si stava trattenendo da fin troppi minuti ha lasciato spazio alle prime note famigliari a tutti e le luci si sono spente per far cominciare il primo di una serie di video introduttivi alle varie fasi del concerto.
Sul maxischermo dell’arena appaiono infatti i nomi di tutte le ballerine, i rarissimi ballerini, e le coriste accompagnati dai soprannomi e la rappresentazione della loro versione fumetto. Fin da subito ognuno di coloro che sono parte dello show ha il suo momento di gloria, è chiaro che Dua Lipa è il centro ma che si sorregge sulle spalle di giganti. Come dice Lizzo, if I’m shining, everybody’s gotta shine: questa introduzione corale non fa che aumentare l’aura splendida della diva. Sale sul palco dalla piattaforma situata sul palco e comincia subito a ballare mentre introduce con l’inconfondibile timbro basso e caloroso Physical.
Tutta l’arena è in fermento, impossibile non conoscere le parole che sono risuonate in tutte le radio per mesi durante il lancio del suo secondo album. Dua Lipa indossa una tutina rosa shocking che la fa sembrare la più bella delle Barbie e che terrà per la prima parte del concerto: la coreografia passa dal fondo palco accompagnata da una barra da ballo classico fino al palchetto al centro del parterre.
Il benvenuto è calorosissimo: sin dalla prima canzone regala al pubblico una versione allungata con il ritornello ripetuto e la carica della folla non fa che aumentare. Da un successone del secondo album passa subito all’indimenticabile New rules: la coreografia riprende l’iconico video con protagonista la cantante e le ballerine che si fingono amiche si appoggiano l’una all’altra per evitare di ricascare in errori del passato. Un singolo dolceamaro per la cantante, sempre bellissimo da urlare, con le amiche in macchina e con lei, grintosissima sul palco.
Love again continua il susseguirsi di singoli bomba che tutta l’arena conosce a memoria volente o nolente e che canta a squarciagola, lei non sbaglia nemmeno una nota ma non importa a nessuno: queste canzoni sono l’emblema del pop, canzoni che hanno accompagnato ognuno nei momenti più improbabili della vita degli ultimi anni, in riproduzione a qualsiasi ora si accendesse la radio o la tv.
Non è durante questi video che si vive il rapporto con l’artista o si giudica la sua performance, durante queste canzoni si urla e si balla come si è solo sognato di fare quando le si ascoltava a palla durante la quarantena. Da Cool cominciano i brani meno conosciuti: la scenografia è sempre pazzesca, con una discoball nello sfondo e l’artista che canta sola sul palchetto: solo lei e il microfono, la musica sempre orecchiabile e le parole che anche chi non conosce può imparare alla velocità della luce per poterla accompagnare.
Anche Pretty please viene dal secondo album e non è stata un singolo, ma è forse la coreografia più iconica del concerto per cui i veri fan l’hanno imparata a forza di vedere compilation di best of delle esibizioni. L’artista e le ballerine riprendono coreografie iconiche con gli ombrelli trasparenti e a metà canzone Dua Lipa viene sorretta sulle spalle dei colleghi: la seconda parte della canzone viene cantata quasi tutta da sdraiata mentre viene trasportata per il palchetto.
C’è qualcosa di più iconico? Sì: il brano successivo, Break my heart. È quasi impossibile riuscire a sentire la voce dell’artista sotto la folla, come è impossibile rimanere fermi e non perdere il controllo urlando. Tutto questo Dua lo sa, infatti aspetta la fine della canzone per dire le prime parole al pubblico, come a dire “ora che ci siamo tolti questa, passiamo alle cose serie”. L’accento posh inconfondibile risalta ancora di più visto che è introdotto da un allegrissimo “Ciao Bologna!”.
Avendola vista così felice in Italia tra tagliatelle, scampagnate al lago e agli Uffizi, probabilmente molti si aspettavano avesse imparato anche qualche altra frase in lingua, ma l’introduzione a Be the onestonerebbe se non fatta con quel british vibe che l’ha lanciata. “Questo è il mio primo successo, lo cantate con me vi va?” E chi le dice di no a Dua Lipa? Le prime note della prima hit sono inconfondibili e anche questo brano viene prolungato per oltre cinque minuti senza che scenda mai il volume delle urla dal pubblico.
La prima parte del concerto si chiude e viene mostrato un altro breve video mentre alcuni ballerini pattinano in una armoniosa coreografia sulle note di IDGAF (in versione strumentale). Questo è uno dei brani più amati e una sofferta rinuncia per i fans, ma quando alla fine del breve video riappare la cantante con un vestito trasparente pieno di brillantini a nessuno interessa più di lamentarsi.
We’re good è l’ultimo singolo tratto da Future Nostalgia, il video è ambientato all’interno di una nave che affonda per ricordare una relazione che affondata lo è già da tempo e l’atmosfera che si crea con le sceneggiature riprende le vere icone protagoniste, ovvero due aragoste che grazie al disastro riescono a liberarsi in mare. Il vestito da elegante anni ’20 diventa un body quando cominciano le note di Good in bed, seguita da Fever ed entrambe coreografate senza un secondo di pausa.
Tutto si ferma per Boys will be boys: torna vestita elegante, ferma sul palchetto per stare al centro dell’arena mentre canta una canzone poco conosciuta, purtroppo. Erano già fuori luogo fin dall’inizio i gruppi di uomini bodybuilders che si davano i pugni a vicenda ogni volta che veniva inquadrato il corpo della cantante e si facevano i selfie cercando di inquadrarle il posteriore per mostrarle agli amici del calcetto, ma durante questo brano li ha salvati la loro chiaramente inesistente comprensione della lingua inglese.
Mentre la cantante cantava “Boys will be boys, but girls will be women”, l’arena si illuminava di luci dei cellulari e nonostante la canzone non sia una delle più famose è stato molto bello sentire l’energia del pubblico che non ha abbassato il volume nemmeno per una nota. Chiaramente la maggior parte del pubblico sa cosa vuol dire dover essere la persona matura perché non ha chi lo difende e comprende il tono sfiancato della cantante: fortunatamente è un’imbarazzante minoranza quella a cui la canzone è dedicata, chissà se lo sanno!
La canzone è seguita da una pausa in cui in un medley si susseguono hits come Hollaback girl ballate alla perfezione come sempre dall’artista e la crew di ballerini. Alla fine parte l’inconfondibile incipit di One kiss, la prima collaborazione dell’artista con Calvin Harris. Proprio in questi giorni, tra l’altro, hanno insieme rilasciato Poison per il nuovo album del famoso dj. Un’altra hit che tutti conoscono alla perfezione, come Electricity che arriva subito dopo (collaborazione con Mark Ronson, Diplo e Silk City).
Hallucinate è un altro pezzo bomba del secondo album che si sposa perfettamente con le collaborazioni cui si accompagna, ma il vero clue di questa parte è Cold Heart (PNAU remix). La collaborazione tra l’artista e Elton John è un’altra occasione per l’artista di mostrare al pubblico non solo come divertirsi e quanto si deve essere iconici per vantare di una collaborazione con un pilastro del genere, ma anche i suoi valori.
La bandiera LGBTQIA+ è infatti sfoggiata dall’artista con veemenza e viene messa al centro della coreografia corale riservata alla canzone: le luci arcobaleno, la bandiera, Elton John proiettato con uno dei suoi outfit iconici, tutto è coordinato e il pubblico è sempre più innamorato della diva, che non ha bisogno di interagire e perdersi in discorsi per mostrare tutto ciò che vuole al pubblico.
Un’altra pausa per il cambio d’abito è introdotta dalla piattaforma che dall’alto dell’arena si illumina come una navicella spaziale e si abbassa per far salire la cantante. È infatti direttamente in aria che Dua Lipa canta Levitating, mentre la piattaforma la sposta a destra e a sinistra avvicinandola anche agli spettatori dei primi anelli. La canzone è stata un vero e proprio successo ed oltre ad allungarsi per svariati minuti viene anche completata di uno dei numerosi remix con cui è stata lanciata durante la promo.
Potrebbe durare anche mezz’ora, nessuno si stancherebbe di cantarla e anche le parti più veloci vengono cantate da tutti senza nessuna sosta, tutte le parole a memoria, come l’inno nazionale. La hit è seguita dal brano che dona il nome all’album e al tour, Future Nostalgia, forse una delle sue canzoni peggiori nonostante il ritornello ritmato e l’atmosfera anni ’80 promettenti.
Il concerto si chiude nell’unico modo in cui si poteva chiudere: con la hit suprema, Don’t start now. “Did a full 180” è l’incipit che ha cambiato la traiettoria della colonna sonora del 2020 per gli amanti del pop, se qualcuno è riuscito a sfuggire al ritornello o al balletto di Tiktok diventato istantaneamente virale, merita tutto il rispetto.
La canzone è introdotta da un’ulteriore ringraziamento alla crew, che è effettivamente spettacolare, e si protrae per oltre 5 minuti che sembrano molti di meno perché nessuno vorrebbe andarsene. Senza troppe cerimonie la cantante torna da dove è venuta e lascia il pubblico con le note finali della hit a disperarsi come ci si dispera quando si ha vissuto la festa più bella della stagione o l’ultimo giorno di vacanze in agosto.
Dua Lipa può piacere o non piacere, ma è la diva di questa generazione e poche altre sono alla sua altezza. Non le interessa di creare testi più profondi del dovuto, le basta far cantare le persone e comunque quando vuole concedersi al pubblico per ciò che le sta dentro e le cose a cui tiene sa come farlo: non le si può dire nulla.
Sa di essere ingranaggio di una catena, di avere un lascito ma rappresentare anche quello di altre, così rende evidente omaggiando Gwen Stefani con una cover, collaborando con Madonna e soprattutto lasciando il pubblico in buone mani: appena il palco si svuota, parte infatti a palla I wanna dance with somebody di Whitney Houston. È un po’ come l’ennesima strizzata d’occhio che la cantante fa ai fans: non sarò la prima, non sarò l’ultima, ma vi sfido a scordarmi.
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