GEOLIER: il ragazzo di Scampia si prende il Palapartenope

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Una coda umana interminabile si distingue nitidamente lungo via Giochi del Mediterraneo, la generazione Z, ma anche bambini e adulti, si raccolgono stipati in fila con trepidante attesa lungo strada che nel quartiere Fuorigrotta di Napoli accompagna all’ingresso verso la data tre su quattro sold out di Geolier allo storico tendone-palazzatto Palapartenope

Quello di Emanuele Palumbo non è un qualsiasi concerto che vale la tappa promozionale di un nuovo disco, ma la consapevolezza nell’assistere a un piccolo miracolo, uno di quei fuochi la cui inerzia dirompente può cambiare il corso di una storia musicale, territoriale e del tessuto sociale di una terra che si sente rappresentata dalle barre che gridano rivendicazione e sentimento giovanile.

Geolier è infatti la massima rappresentazione dell’underdog, un ragazzetto rotondo e occhialuto nato in uno dei quartieri più difficili del mondo, tra gli agglomerati urbani della periferia nord della città, agglomerati urbani dissipati di possibilità come Scampia, tanto iconica quanto ripudiata, lui cresciuto a pane e Co’Sang da famiglia operaia.

Tante rime, il freestyle, qualche anno di gavetta, una cerchia che ha costantemente creduto nella sue doti (Luchè, Lele Blade, Dat Boi Dee, Chiummariello, Nicola Siciliano, tra gli altri e non solo) e la consacrazione che lo incoronano come astro nascente assoluto della scena urban e hip hop. Dal punto di vista sociologico e linguistico il passo è stato addirittura ulteriore, con “Il Coraggio dei bambini”, infatti, suo ultimo disco (uscito poi anche in versione deluxe) Geolier ha sdoganato definitivamente il dialetto napoletano come lingua e flow unico di genere, almeno musicalmente il riconoscimento interazionale che porta Geolier in cima alle global chart mondiali.

Quattro palazzetti sold out nella sua città, l’aria è fitta dei fumi di scena e del calore di una notte d’Aprile, il parterre sembra distinguersi in un mare di mani che spingono verso lo stage del palco e le luci finalmente si spengono.
Cominciano in successione “Ricchezza”, “Poco/Troppo”, “Me vulev fa ruoss”, tutti brani del nuovo disco che per numeri e riconoscibilità sembrano singoli a tutti gli effetti e sono incorniciati dal mare di cellulari che filmano nella riproposizione di video che ricalcano quella viralità già consacrata su Tik Tok, il social che ha spesso scelto la musica per raccontare frammenti di quotidianità di quella generazione.

Il concerto è costruito su quell’hype che accompagna l’internazionalità di certi live, visual che con giochi di luce e immagini in 3D fanno da coreografia alle atmosfere della tracklist di brani, i dj nelle loro postazioni in alto che dominano il palco e l’alternarsi di amici e ospiti di Geolier.

Mv Killa, Lele Blade e Luchè appunto, Roshelle e infine Paky e Rocco Hunt. Due artisti, gli ultimi, che sanciscono per l’appunto il peso della storia sociale musicale di questo evento e momento, quello della congiunzione con la scena milanese, le due capitali hip hop nazionali, e con il passaggio di testimone con il rapper salernitano, Rocco Hunt, che quasi dieci anni fa(nel 2014) con “Nu juorno buono” vinse tra le nuove proposte a Sanremo, un brano parzialemente in dialetto, sembrava anacronistico allora come proposta, oggi il napoletano, sopratutto nel rap, è realtà acclarata.

Napoli è nella sua nuova fase di rinascimento tra sport, arte, turismo ma soprattutto e anche musica, meridione dove il rap scrive le attuali regole e domina le classifiche e se questo è realtà lo dobbiamo anche a Geolier, in una notte tra quatto sold out da ricordare a lungo e attestare nella storia urbana di questa città.

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