Abbiamo raggiunto telefonicamente il cantautonomo Massaroni Pianoforti, al secolo Gianluca, mentre suonava nel suo negozio di famiglia.
Lo scorso venerdì 5 giugno è uscito il videoclip di “Caffex”, nuovo singolo estratto dal suo quarto album in studio “Rolling Pop”. Oggetto dell’intensa chiacchierata, però, anche la difficile situazione della musica, in particolar modo quella dal vivo, Questo e molto altro, dunque, nell’intervista di Lorenzo Scuotto a Massaroni Pianoforti.
Ciao Gianluca, benvenuto su Shockwave Magazine…è sempre un piacere risentirti!
Ciao Lorenzo, un saluto a tutti i lettori di Shockwave Magazine!
Ti chiedo subito di “Caffex” (ovvero il caffè che non si nega all’ex) con una domanda un po’ “provocatoria”: negli ultimi giorni per promuovere l’uscita del videoclip sui social ti sei dovuto “sacrificare” a bere molti caffè…quindi hai iniziato anche a rifrequentare la tua ex?
La domanda ci sta tutta, è volutamente provocatoria perché son già io a essere provocatorio nel pezzo! “Caffex” è molto più che un semplice invito a bersi un caffè, ma piuttosto un pretesto per fare tutt’altro. Specialmente dopo questo periodo di quarantena che abbiamo attraversato tutti, mai come adesso c’è la voglia e l’esigenza, magari anche attraverso un gesto quotidiano e soprattutto economico di riallacciarsi agli amici e in questo caso anche magari a storie passata di cui si è sentito il bisogno e la mancanza. Ora come ora c’è il distanziamento, quindi al tavolino bisogna essere massimo in due quindi il brano tratta una condizione attuale più che mai. La prima cosa che ho fatto al termine del lockdown è stato proprio prendere un caffè al bar, in quel caso da solo con me stesso. Il videoclip è diretto da Claudia Palermiti, che ha sviluppato la mia sceneggiatura, è stato girato da Guido Malaguri e la protagonista è la sua ragazza Anna Andrea Casiroli.
“Popcorn (sei un bel film per tutti)” è a mio avviso l’altra punta di diamante del disco: ma è vero che alcune radio hanno fatto resistenza prima di lanciare il brano a causa dell’incipit “sono felice che stai bene e che hai ripreso a scopare”?
Beh sì è vero, andai in una radio a Roma e volevo eseguirla in diretta. Inizialmente avevo qualche perplessità, ma alla fine l’ho suonata ugualmente pianoforte e voce. In effetti purtroppo non ho sentito molti passaggi in radio di “Popcorn (sei un bel film per tutti)”, strano però perché i rapper che ne dicono di tutti i colori vengono passati ugualmente. Forse perché probabilmente nella musica “leggera” italiana le parole hanno più peso e quindi si sentono di più quando si tratta di qualcosa fuori dai canoni. Io in realtà piuttosto che “scopare” avrei potuto dire tante altre cose, però mi sembrava di tradire me stesso. Sembra di esser rimasti indietro di quarant’anni, quando per passare in radio eri costretto a modificare il testo, come avvenne per “Questo piccolo grande amore” di Claudio Baglioni, o addirittura ti censuravano l’intero brano, come accadde a “Disperato erotico stomp” di Lucio Dalla. Mi sembra assurdo che nel 2020 ci sia ancora questo tipo di censura e mi sorprende ancor più quando sento che in radio passano testi veramente volgari.
“Rolling Pop” è un concept album su un’adolescenza alla quale hai voluto dare un corpo e un’anima chiamandola Jennifer. In questo senso ti senti un po’ Peter Pan, un adolescente di 43 anni?
In un certo senso sì, ho voluto un po’ rivivere un’adolescenza che purtroppo non ho vissuto pienamente quando ne avevo le possibilità, forse anche perché son sempre stato proiettato sulla musica cercando di essere capito per quello che scrivevo. Quindi se la mia adolescenza l’ho trascorsa in maniera un po’ più introspettiva, invece con questo disco ho avuto l’occasione di rivivere appunto l’adolescenza e innamorarmi di un’adolescente da esterno e da persona più matura. Mi sembrava giusto farne un disco, dopo GIU mi ero tolto anche un peso e dunque ho colto l’occasione di fare un disco che parlasse di adolescenza, ma anche di un rapporto sentimentale: “Jennifer” presa come canzone a sé potrebbe essere intesa come la mia ragazza, invece in questo caso io mi riferisco all’adolescenza. Con “Rollingstone”, invece, si guarda avanti, ci si rende conto che non si può essere adolescenti per sempre e si affronta una nuova stagione della vita, non per forza peggiore dell’adolescenza, ma certamente più concreta e meno sognatrice.
Hai citato “Rollingstone”, l’hai scritta in soli dieci minuti, cosa alquanto inusuale per te: forse perché si tratta di un pezzo più “di pancia” rispetto agli altri, oppure stai diventando più efficiente e migliori invecchiando come il vino buono?
Beh ammetto che solitamente impiego mesi per chiudere definitivamente un pezzo, sicuramente l’idea iniziale, un qualcosa che mi colpisce alle spalle arriva subito e quindi lo butto giù, però sono molto pignolo, attento alle parole, a volte mi capita di mettere da parte una canzone e aspetto che mi ritorni indietro. Nel caso di “Rollingstone”, invece, avevo in testa questa melodia e questo testo appena sveglio e l’ho buttata subito giù, quindi è venuta propria di getto, anche se poi ovviamente qualche giorno ci ho lavorato su. Si tratta di una cosa molto rara per me, non so se mi ricapiterà o meno in futuro, me lo auguro, però non è il modo di scrivere. Forse anche perché non avevo scritto nulla nei mesi precedenti e avevo accumulato così tante informazioni che poi è nata d’istinto. Poi la mattina hai sempre le idee più chiare, infatti solitamente mi sveglio molto presto ed è proprio lì che elaboro pensieri un po’ più lucidi prima che poi inizino a svanire nell’arco della giornata. In fin dei conti credo che le canzoni le hai già dentro e bisogna solo trovare il modo e il momento per tirarle fuori.
“Ci siam sentiti indie come dinosauri estinti, fino ad alleggerirci con la musica leggera pop, se prima erano i vinti ora sembrano i più finti”, sei riuscito a riassumere in due righe ciò che è avvenuto in questi ultimi 4-5 anni nel panorama musicale italiano…
Non ho mai creduto nell’indie inteso come genere musicale, forse fino a qualche anno fa indie poteva essere un attitudine, la ricerca di una determinata musica e un determinato testo. Ad esempio i Marlene Kuntz piuttosto che i primi Subsonica proponevano un tipo di musica che si discostava veramente della musica leggere, adesso invece l’indie, che è diventato mainstream, corrisponde a canzoni caratterizzate da una non particolare ricerca del linguaggio e del testo. C’è un artista di punta e tutti gli altri che gli vanno dietro su pressione delle loro etichette: se c’è un particolare tipo di domanda, le case discografiche si muovono di conseguenza. Alla fine solo il tempo potrà decretare quali artisti hanno meritato di andare avanti e pubblicare album e quali invece si sono fermati solo al singolo. Non tutte le etichette aspettano un artista, ma magari lo provano e se funziona lo supportano, altrimenti non lo seguono più. Se noi avessimo avuto tale atteggiamento anche quaranta-cinquanta anni fa, Lucio Dalla non sarebbe mai diventato quello che è diventato: la gente si è accorta di lui solo dopo il quarto-quinto disco. Quindi sai quanta buona musica rischiamo di perderci a causa del fatto che diversi artisti, spinti sempre dalle loro case discografiche, puntano solo alla hit. Ci mancherebbe, una canzone che mette d’accordo tutti serve, perché se anche pensiamo a un qualsiasi grande cantautore, lo identifichiamo subito con una canzone che gli ha consentito poi di sviluppare tutta la sua carriera.
Una marea di singoli e una manciata di album (tra cui pochissimi concept), il lockdown ha ancor più accentuato questa condizione discografica del tutto discutibile…
Io sono sempre più per i concept, preferisco selezionare il materiale giusto per un disco e non raccogliere canzoni a caso. Chissà come si muoverà la discografia, purtroppo credo che in futuro avremo un numero ancor più ridotto di album, quindi bisognerà puntare pezzo per pezzo, singolo per singolo. Ho notato che la gente, a meno che non ti segua da tempo, non ascolta l’album per intero, ma si accorge di un singolo, in questo caso “Caffex”, quando poi in realtà è uscito a ottobre con tutto il disco. Forse perché magari, concentrandosi unicamente su un brano per volta, le persone hanno più tempo per metabolizzarlo.
Dopo Eros Ramazzotti e Giovanni Gulino (Marta sui Tubi) è toccato a tuo fratello Andrea e a Davide Boosta Dileo (Subsonica) supervisionare il tuo lavoro. Come ti sei trovato a collaborare con loro?
Benissimo, finalmente sono riuscito ad avere la produzioni mio fratello che proviene da un altro genere (punk/rocksteady). Unire la mia scrittura e il suo suono ha creato una bella empatia! Non dimentichiamoci che anche questo quarto disco è venuto fuori, appunto, con una raccolta fondi, grazie alle persone che hanno creduto in me investendo nel crowdfunding: è sempre una bella soddisfazione, anche se vorrei pensare solo alla musica, invece devo anche badare a tutto il contorno. Solo dopo sono arrivati l’etichetta e Boosta, che è co-autore del ritornello del primo singolo estratto “50 settimane” registrato a Torino da lui. Mentre sulle altre tracce ci ha messo mano solo alla fine, compiendo più che altro un lavoro di missaggio. Gli arrangiamenti, invece, li abbiamo curati io e mio fratello in negozio.
Il disco suona molto pop d’autore, è arrangiato molto bene e tutte le tracce possono essere cantate a squarciagola: se vale il proverbio “squadra che vince non si cambia”, anche il prossimo progetto sarà prodotto da loro?
Mi auguro che anche per il prossimo disco mi affiderò a loro due per quanto riguarda la produzione artistica, mai mi ero trovato così tanto a mio agio come con loro! Poi chiaramente dipenderà anche dalla tipologia e dal mood dei pezzi, i miei dischi son tutti diversi l’uno dall’altro, oltre che brano per brano, non mi piace ripetere le solite canzoni. Quindi ti dico che sicuramente lavorerò in coppia con mio fratello, ormai ho un’equipe si può dire dentro casa, nel nostro negozio-studiolo, ed è inutile andare a cercarla altrove.
Veniamo da mesi molto difficili, come hai occupato il tempo durante il periodo di quarantena forzata? Tra un hobby e un altro magari sono nate altre canzoni…
Guarda ti dico la verità, la quarantena l’ho passata da solo in casa a Pavia, ho pensato tantissimo e mi son reso conto che una volta finito il lockdown avrei dovuto fare qualcosa per svoltare ancora un po’ di più: non mi è arrivato alcun bonus, lo Stato ha lasciato nel dimenticatoio gli artisti, c’era sempre un piccolo cavillo che facesse in modo che i soldi non arrivassero. Tornando alla domanda, me la sono vissuta per i cavoli miei, facendo pochissima spesa anche per la paura di frequentare luoghi affollati come i supermercati, forse mi son fumato qualche sigaretta di troppo. E ho sviluppato una canzone! L’ho intitolata “Finestre” e parla appunto di questa condizione da segregato in casa, però niente di più. In realtà l’avevo anche caricata sui social e su YouTube, anche se diciamo che non avrei potuto farlo e infatti solo dopo qualche giorno l’ho rimossa su consiglio della mia manager Chiara. E poi ho pensato al disco e a come promuoverlo ancora, cercando di fare arrivare le canzoni alla gente. Ne ho parlato spesso con lei per cercare di dare appunto una svolta, anche perché son rimasto cinque mesi completamente fermo, dall’uscita del disco a oggi è successo nulla o quasi. Potevamo anche già percorrere la via che porta al nuovo album e quindi nuove canzoni, ma alla fine abbiam deciso giustamente di dare ancora spazio a “Rolling Pop” e così eccoci qua con il videoclip di “Caffex”.
Ti reputi un “artista che fa tanto divertire”? Sei favorevole o contrario alla ripresa dei concerti seppur con tutte quelle restrizioni? Prima del lockdown eri partito in tour, le date quando verranno recuperate?
Durante i live ci son momenti in cui mi diverto e faccio divertire, nel mio repertorio ci sono sia canzoni che fanno staccare il cervello e che in questi ultimi anni vanno per la maggiore, sia brani che fanno riflettere e io son più propenso per quest’ultima tipologia. Però mi piace molto eseguire quella canzone che non ti faccia pensare a nulla, lo diceva anche Vasco Rossi negli anni ottanta: “Le persone hanno anche bisogno di non pensare troppo”. L’artista, quindi, può anche far divertire, magari sui social dove magari intrattiene i fan, ma il nostro è anche un lavoro, come lo è ancor di più per tutte le persone che rendono possibile un concerto: dubito abbiano avuto tutti un sostegno dallo Stato, quindi questa brutta situazione non potrà protrarsi ancora per tanto tempo. Certo, è pur vero che per i grandi artisti è un po’ difficile ripartire in queste condizioni, affittare un teatro, piuttosto che un palazzetto o uno stadio comporta una spesa non indifferente, magari per loro non sarà un grandissimo problema, ma per i fonici e tutti gli altri lavoratori dietro le quinte sì. più che altro per i grandi artisti. Riguardo il mio tour, purtroppo, è tutto un grosso punto interrogativo, avrei dovuto fare diverse date nei piccoli club a marzo e non so quando potremo recuperarle. Non so se ne valga la pena recuperarle adesso in queste condizioni e tra l’altro non dipende neanche solo da me, i piccoli club devono pensare prima a rialzarsi in piedi prima di potersi permettere di pagare artisti e musicisti, vista anche l’inferiore affluenza. Mi auguro che pian piano nei prossimi mesi ci sia una ripresa, seppur lenta, e che magari per il prossimo inverno si ritorni a una sorta di “normalità”.
Questa era la mia ultima domanda, è stata una lunga ma piacevole chiacchierata! Io ti saluto augurandoti un grosso in bocca al lupo per il futuro e speriamo di vederci presto dal vivo!
Grazie! Anche per me è stata una conversazione molto interessante, sarà che sono un chiacchierone! Ci vediamo presto!
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