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Limitarsi a definire metal un “genere” sarebbe un’offesa a tutti i musicisti che, in un modo o nell’altro, hanno deciso di scegliere un certo tipo di sonorità – estremamente variegate. L’ascoltatore medio, disattento, disinteressato, associa tendenzialmente al metal band come gli Ac/Dc, i Black Sabbath, i Metallica, e, più raramente, gli Iron Maiden, nel caso dei quali, però, tale e tanta è stata l’influenza sulla cultura e sulla musica del ventesimo secolo che trattasi di caso trasversale.
Fra i tanti sottogeneri, dai contorni sempre ben poco nitidi, ritroviamo il power metal, che, come il nome autoesplica, dedica alla “potenza” e alla “forza” il proprio focus.
Il sound comunemente definito “ power metal” – chitarre elettriche insistenti, accordi diatoni, batteria cavalcante, giri di basso più o meno portentosi, un certo gusto per la melodia e per il trasporto emotivo, e così via – però, ha permesso espressione di differenti stati d’animo, l’esplorazione di molteplici argomenti, includendo excursus colti e letterari: insomma la produzione di concept album, che si sono avvicendati dagli anni ’80 ad oggi. Proponiamo dunque un variegato vademecum per neofiti del genere – ottimi ascolti sotto l’ombrellone. Magari con qualche illustrazione di Stephen Hickman sul telo.
The Last Stand, Sabaton.
Si sente dire, spesso, che il metal sia roba per satanisti. Sebbene tale nomea derivi prevalentemente dalla volontà di ribellione postpunk del summenzionato Ozzy Ousborne, ma in realtà dovuta a Venom, Mayhem, Celtic Frost e Bathory, i Sabaton hanno – sebbene band relativamente recente, risalente al 1990, in Finlandia – il potenziale per eradicare tale convinzione e per veicolare alle masse il messaggio che la musica è solamente un mezzo espressivo per una simbologia più sfaccettata, complessa, che necessita di una cultura di base non indifferente. In particolare, seppur l’intera discografia dei Sabaton ne sia pregna, The Last Stand è un concept album sulla guerra, anzi, per meglio dire, sulle battaglie decisive della Storia – la Storia dell’Eurasia, del nostro caro, vecchio, bistrattato continente. Una storia affascinante e studiata ovunque in modo didascalico e noioso: lo scopo dichiarato di The Last Stand, uscito nel 2016 è di raccontare tutte le battaglie disperate, in cui piccoli battaglioni eroici si sono ritrovati a fronteggiare forze nemiche soverchianti. La title track – che invito caldamente gli spesso prevenuti genitori dei lettori ad ascoltare – è un accorato racconto della battaglia di Poitiers, nel 732, in cui le forze europee, unite, sotto il segno di Carlo Martello, sconfissero quelle di Al Andalus.
Century Child, Nightwish
I Nightwish, band finlandese fondata da Tuomas Holopainen nei primi ’90, hanno subito molteplici cambi di lineup, fino a giungere all’attuale formazione, che vede dietro il microfono Floor Jansen, e straordinarie mutazioni nel sound – giunto ad un prog sinfonico nell’ultimo Human Nature (qui la recensione). Il loro riconosciuto capolavoro è, però, Century Child, l’album più romantico del millennio – accostabile, per livello lirico, ad un poema di William Blake. Difatti, fra accelerazioni chitarristiche e delicatissimi arpeggi, sottesi a grandi esplosioni orchestrali, Tuomas Holopainen narra dell’orrore della transizione da fanciullo ad adulto, della morte – o meglio, dolorosa metamorfosi – della capacità di concepire i sentimenti, e di quanta di quella bellezza venga effettivamente persa. Viene qui introdotto per la prima volta il concetto del Bambino/Figlio del Secolo, eterea figura bloccata in un’eterna adolescenza distante dall’homo eroicus dei Rhapsody of Fire. La struttura dei brani ed alcune contaminazioni, nel caso dei Nightwish, risultano essere puramente power metal, ma nel corso degli anni la band ha plasmato un suo personalissimo genere.
The Human Equation, Ayreon
Arjen Lucassen è un curioso personaggio. Musicista eclettico, dall’aspetto di un folletto, olandese, ha stentato, nonostante lo straripante talento, a raggiungere il successo. Che è arrivato, effettivamente, con The Human Equation, album sostanzialmente power ma con enormi venature prog, che è concepito come un’unica narrazione – un musical, un’opera rock, con differenti artisti che interpretano differenti personaggi – del conflitto interiore di un uomo in coma. Ospiti illustri ne furono il cantante dei Dream Theater, James LaBrie, Mikael Akerfeldt e Devin Townsend, tutti impersonanti i sentimenti e i moti d’animo che smuovono il protagonista, oltre che la Moglie e il Miglior Amico; lo stile musicale proposto da Lucassen è pomposo all’occorrenza, tridimensionale, sciorinando generi musicali come fossero singole note e creando dei deliziosi rimandi interni all’opera, che, tuttora, permane come capolavoro imperdibile.
Ecliptica, Sonata Arctica
Il classico dei classici del power metal, il Meteora dei metallari, la colonna sonora dell’adolescenza solitaria dei più, è stato Ecliptica, dei Sonata Arctica. Ugualmente finlandesi, come i Sabaton, gli Stratovarius e i Nightwish, il quintetto – all’epoca poco più che ventenne – sfornò l’inno generazionale europeo per i nati negli anni ’90: Epica, Fullmoon, doppia cassa e linee vocali estrose per un Tony Kakko ancora in forma, la straziante Letter to Dana, riuscirono a fondere un sentitissimo songwriting, liricamente elevatissimo, con una grande ricerca lessicale; un sound che, tuttora, risulta essere fresco, piacevole, e che non aveva decisamente bisogno della vergognosa riedizione proposta qualche anno fa. Un must listen per chi, sotto l’ombrellone, vuole piangere gli amori perduti.
Art of Life, X-Japan
Dopo tanto chiacchiericcio sul vecchio continente, approdiamo nel paese del Sol Levante per scoprire gli X-Japan, band arcifamosa negli anni ’90 e fondatrice del cosiddetto visual key – e la X nel nome va proprio a simboleggiare l’ambiguità del genere della band, e, allo stesso tempo, l’incognita della loro eterna ricerca stilistica. Le radici del loro peculiarissimo sound, che a suo tempo era stato in grado di fondere prog, sinfonia, e musical, sono da ricercare ovviamente nel power metal europeo. Terzo album della band, scioltasi nel ’98 e rifondata nel 2008, è un’unica, lunghissima, suite (come, nel caso degli italiani Deathless Legacy, la splendida Saturnalia), sulla Disperazione: gli strumenti si intrecciano come personaggi, gli accordi divengono emozioni contrastanti, in un progetto estremamente ambizioso eppure godibilissimo.
Aurora Consurgens, Angra
Partorita dal geniale e compianto Andrè Matòs, la band brasiliana power metal degli Angra si è sempre distinta per l’elevatissimo livello compositivo – a livello di soluzioni chitarristiche, efficacia d’uso della batteria, mai banale e mai relegata a supporto ritmico – e per la grandissima cura nella scelta delle tematiche da trattare: Aurora Consurgens, del 2006, infatti, parte dall’omonima opera di (pseudo)Tommaso d’Aquino, per poi seguire un suo personalissimo percorso lirico – che contrappone le infinite sfumature del dolore dell’animo umano alle illuminazioni alchemiche esposte nel testo medioevale. Con un sound che ondeggia fra momenti squisitamente metal e attimi di rallentamento riflessivo e melodico, come nella arcinota Ego Painted Grey. Sebbene lasso, anche Aurora Consurgens è un concept album – un leit motif nella discografia della band di San Paolo – sulle malattie mentali: si raggiunge un’introspezione degna di un Tommy dei The Who o di Operation:Mindcrime dei Queensryche, band cui gli Angra di Matòs avrebbero potuto contendere il titolo di re del metal.
Nightfall in the Middle Earth, Blind Guardian
Molto prima che la mania per la Terra di Mezzo colpisse l’umanità con la trilogia del Signore degli Anelli di Peter Jackson, i Blind Guardian, band tedesca nell’empireo del power metal, concepì un concept album totalmente basato su Il Silmarillion. Fondendo, dunque, data l’ambientazione della narrazione di Kursch, il classico power prog metal della band con contaminazioni folk trascinanti e strumentalmente eccezionali – brani come Curse of Feanor risultano essere dei veri e propri standard del genere cui le nuove band dovrebbero rifarsi. La notoria (inutile) verbosità del Silmarillion è invece superata, concentrata e sintetizzata – ed elevata a poesia, a piece teatrale – in Nightfall in the Middle Earth. E Mirror Mirror è ancora in grado di incantare gli ascoltatori, ben ventidue anni dopo.
Visions, Stratovarius
Beh, gli Stratovarius li conoscono tutti. Anch’essi finlandesi, guidati da Timo Tolkki attualmente sotto contratto con la italiana Frontiers Records, si inserirono di prepotenza nella scena già calcata dagli stessi Angra e principalmente dai Judas Priest nei tardi anni ’80, e lo fecero con un album di cui viene narrata ancora la tendenza all’epòs fuso con una gradevolissima fruibilità. Visions è un vero e proprio canone del genere, il Caravan del power metal, come lo furono Master of Puppets per il thrash/heavy e l’accoppiata The Court of the Crimson King e il più tardo A Night at The Opera per il prog; un album, con la sua hit Kiss of Judas, che ha elevato, finalmente, le sonorità epiche e trascinanti del power a non più solo diletto momentaneo per metallari vogliosi di headbanger, ma a genere degno di una sua volontà espressiva.
The Scarecrow, Tobias Sammett’s Avantasia
Sebbene Sammett, tedesco d’origine, sia noto per essere stato frontman degli Edguy, è con il suo progetto solista Avantasia che ha raggiunto l’empireo: supergruppo di cui Tobias è mente e vocalist – uno dei più dotati dell’intero panorama metal – e cui collaborano un ampio numero di musicisti, incluso il leggendario Schenker degli Scorpions e Kiske degli Helloween. Opera più riuscita fra le, appunto, molteplici opere rock che gli Avantasia hanno rilasciato, è The Scarecrow, un pregevolissimo lavoro su una creatura triste e sola – tema poi ripreso nel più recente Moonglow – che scopre il mondo attorno a sé. Fra grandiose ballad e struggenti suite progheggianti, The Scarecrow è un must listen per chi vuole approcciare al genere senza troppo impegnarsi.
Dawn of Victory, Rhapsody of Fire
Il power, notoriamente, è sempre andato ben d’accordo col fantasy: tale accoppiata, però, ha raggiunto il suo apogeo proprio nel nostro paese, e con una manciata di band. Gli Elvenking, i Vision Divine, e, ovviamente, gli imperatori Rhapsody of Fire. Che, nonostante i cambi di lineup, scambi di cantanti con Angra e Kamelot, sono ancora qui a raccontare la loro storia. Dawn of Victory fu, come terzo album della band e lavoro sostanzialmente solista di Luca Turilli, un vero e proprio manifesto della fusione fra folk, medioeval music, e power metal che i Rhapsody proponevano: sebbene terzo episodio della Emerald Sword Saga, se ne può definire il più riuscito a livello compositivo – in quanto contiene momenti altissimi, come nella finale The Mighty Ride of the Firelord
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No no, il disco più bello degli Avantasia é Ghostlight , senzadubbiamente !!
Ciao Roberto da Bologna.