Derealizzazione sintomatica, l’ultimo album inciso dagli ArtemisiA, è uscito lo scorso gennaio per Onde Roar Records.
Di recente mi sono sorpreso a chiedermi quanti gruppi, album e canzoni fantastiche siano là fuori in attesa di raggiungere il mio orecchio, ma purtroppo non le ascolterò mai, semplicemente perché il caso così stabilirà. Per un fanatico della musica, è un pensiero a dir poco inquietante. Ma guardiamo lo stesso concetto dopo averlo capovolto: a volte il caso ci porta a conoscere musica eccezionale. Sarebbe bastato poco per mancare l’incontro, ma l’incontro è avvenuto: quell’album, quella canzone, sono lì di fronte a noi, e possiamo assaporarne la bellezza ogni volta che vogliamo.
Non starò a tediarvi con le circostanze che mi hanno portato a conoscere gli ArtemisiA. Vorrei che chi legge questo breve testo pensasse alla casualità dell’aver trovato questa recensione, alle circostanze fortuite che l’hanno portato/a a leggerla, e la prendesse come un motivo sufficiente per ascoltare lo splendido album di cui mi accingo a parlare.
Derealizzazione sintomatica è il nuovo lavoro degli ArtemisiA (nome ispirato alla pittrice Artemisia Gentileschi). Il gruppo è in attività dal 2006, quando fu fondato per iniziativa di Vito Flebus e Anna Ballarin, ancora oggi rispettivamente chitarra e voce del gruppo. Dedicandosi all’esplorazione di “stati alterati di coscienza” (titolo di uno degli ultimi album), fobie, personaggi del sottosuolo e tutto quel mondo cognitivo non del tutto presente alla mente, gli ArtemisiA confezionano un lavoro compatto, arrangiato in modo eccellente, che coniuga la durezza dei riff di stampo hard rock/metal con l’intensità drammatica del canto di Ballarin (merito anche dei cori di Elettra Medessi). Completano l’attuale line-up Ivano Bello al basso e Gabriele “Gus” Gustin alla batteria.
Sono più d’uno i brani memorabili presenti in Derealizzazione sintomatica. Uno tra questi è certamente Ladro d’anime, il brano di apertura. Un riff perentorio, un chorus di grandissimo impatto, per un pezzo che ci lancia in grande stile nel clima dell’album: un connubio tra la grinta del rock e il pathos delle più grandi rappresentazioni teatrali. Un riff altrettanto azzeccato introduce il brano successivo, Identità, sottolineato da una batteria martellante, un bridge “acustico” in cui il canto di Ballarin emerge in tutta la sua bellezza. Poi un cambio di scena, e un riff “doom” ci conduce a una nuova versione del chorus, più aggressiva e radicale.
Siamo in pieno doom metal con La benandante, altro pezzo da novanta del lavoro. L’intreccio al rallentatore tra chitarra e batteria produce una forte carica emotiva, mentre ulteriori elementi si aggiungono fino a esplodere, salvo successivamente tornare sui propri passi. Passaggi perfettamente dosati e ritmi gradualmente più sostenuti, che sembrano preludere a un acme che non arriva, lasciando invece spazio a un finale “rinascimentale” azzeccato e sorprendente.
Fata verde è la ballata dell’album, che vede la partecipazione di un ospite d’eccezione come Omar Pedrini (ex Timoria). Una canzone di grande effetto, che ha, di nuovo, nell’arrangiamento esperto, nell’intensità emotiva e nell’intreccio dei cori i propri punti di forza. Non si può davvero ascoltarla e restare indifferenti.
Ombre della mente fa il paio, per efficacia e per la capacità di trascinare, con il brano di apertura. Difficile restare impassibili di fronte all’intreccio di chitarra e basso, sottolineati dal drumming, e non ritrovarsi a cantare assieme a Ballarin e Medessi le loro “sottili distanze”. Nelle terre di Ulisse è un ottimo brano strumentale: tra riff e altri colpi a effetto, gli ArtemisiA si dilettano con un intermezzo che non si fatica a collocare a metà tra il jazz e il funk.
Chiudono l’album due brani non da meno: Fobia, caratterizzato da dissonanze e modulazioni che lasciano il posto ad accelerazioni improvvise e numerosi cambi di passo, e Favola, dall’andamento rallentato e da un cantato dapprima vicino allo spoken word, che lascia il passo alle consuete sferzate di energia, concludendo degnamente un album di grandissimo effetto.
Ci sono diverse etichette che possono essere utilizzate per descrivere Derealizzazione sintomatica, dall’hard rock al doom, passando per lo stoner. Ma ciascuna di queste etichette, pur utile per scopi descrittivi, è una piccola gabbia, che non deve occultare il punto essenziale: la bravura degli ArtemisiA nello scrivere canzoni. Ci sono dei tratti ricorrenti negli otto brani che compongono l’album e che ne fanno un lavoro adatto a tutti gli appassionati di rock: la presenza di più episodi all’interno di uno stesso brano, la capacità di costruire la musica per gradi e di alterare l’effetto emotivo complessivo con pochi accorgimenti, il forte impatto emotivo delle parti cantate e degli intrecci coristici.
Ho iniziato menzionando i casi della vita che ci portano a incontrare (o a non incontrare) album, artisti o brani che lasciano in noi un segno. L’altro lato della medaglia sono le centinaia di artisti che, pur avendo i numeri per eccellere, rimangono ancorati a una nicchia, benché meriterebbero maggiori riconoscimenti e un più ampio riscontro di pubblico. Spero di aver mostrato che di questo gruppo di artisti fanno parte anche gli ArtemisiA, gioiello nascosto del rock italiano.
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