Il tempo, un valore in costante movimento. Inarrestabile, inevitabile. L’andamento “degli assi” dell’orologio, speditamente, non si ferma mai e procede, nella sua folle corsa, ignaro delle vite umane a lui piegate. I Coldplay con Clocks richiamano un viaggio in punta di lancetta
M.I.C, Music is Communication. Ciò che l’arte, dai primi albori dell’umanità fino ad oggi, ha sempre tentato di fare è comunicare.
Comunicare una sensazione, un’emozione. Costruire luoghi interiori in cui proiettare l’animo dell’ascoltatore. Stanze adornate dal minutaggio ristretto in grado di darci spiegazioni, risposte, talvolta suggerirci vie o, semplicemente, risvegliare in noi sensazioni. Sarà proprio questo il concetto introdotto e curato con questa breve rubrica. Le canzoni, il loro evolversi, il loro significato, quello che sono in grado di comunicarci. Una rubrica lineare, rapida, semplice, un flash improvviso, un breve lasso temporale che sia in grado di dare, con poco, un’interpretazione di ciò che ascoltiamo.
E proprio per onorare il tempo partiamo allora dai Coldplay di Clocks, quinta traccia del loro mastodontico secondo album, A Rush of Blood to the Head
L’arpeggio di pianoforte, semplice ma efficace, ci introduce allo scorrere costante della dimensione orizzontale, prima di affidarsi ai colpi secchi e serrati di una batteria che, nel suo incessante gioco di piatti e i suoi scanditi colpi di rullante ricorda, in tutto e per tutto, il battere di un orologio.
Quello di Clocks è un viaggio mistico, ipnotico. L’arrangiamento, fatto di logorroiche e inarrestabili ripetizioni, richiama l’indomabile natura della temporalità, che non può essere fermata, piegata, arrestata. Induce alla pazienza. Tutto scorre, tutto prosegue il suo percorso. Bisogna solo aspettare. Una lezione preziosa che, personalmente, ho imparato solo da poco. L’importanza dell’attesa, delle attese.
“Home,
home
Where i wanted to go”
Recita, sul finale, la voce di Martin come fosse un mantra. Manifesta l’intenzione del ritorno, il ritorno a casa. Potrebbe essere il raggiungimento di un obiettivo? La riscoperta di una nuova dimensione interiore? Il ritrovamento di ciò che, in noi, era andato perduto? Il mantra di un naufrago, di un viaggiatore impaziente che sa dove deve arrivare e che forse, altrettanto bene, sa che dovrà aspettare.
Perché la vita è fatta di attese, di rocambolesche accelerazioni e improvvise frenate
Intanto, mentre il nostro spazio si muove sulle isterie del nostro tempo interiore, quello esteriore procede tirannico e costante. Come una batteria che non smette mai di portare il suo ritmo, come un pianoforte che martella su un delicato arpeggio con costanza e determinazione.
Così, i Coldplay con Clocks, ci portano sulle lancette del tempo, ci mostrano la sua ineluttabilità, la sua costanza, la nostra impotenza. Ci ricordano, soprattutto, che la natura deve fare il suo corso e che prima o poi, la nostra casa, la nostra meta, la ritroveremo li, davanti ai nostri occhi, quando, ovviamente, il dio chrono lo avrà ritenuto opportuno.
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