Dark Side of Everything (Alchemy Records, maggio 2020) è il primo album del nuovo progetto di Dave Sitek, The Neverly Boys, già membro dei Tv On the Radio.
Il nome di David Sitek, ai più, risulterà totalmente nuovo. Eppure, stando alla sua carriera, è responsabile del successo di innumerevoli popstar: produttore di Beyonce, Yeah Yeah Yeahs, e mezza scena indie rock americana (Liars, Foals, Celebration, e così via), oltre che membro dei Tv on The Radio, una delle band rock sperimentale americane più interessanti di sempre. Tanto da attrarre l’attenzione di David Bowie e David Byrne, e tanto da far sì che entrambi finissero per collaborare con Sitek.
Personalmente, sebbene abbia sempre guardato con estremo scetticismo alla scena indie americana, in quanto, se non per pochi picchi – quali i Big Thief, Arcade Fire, Phoebe Bridgers – si tratta di un’accozzaglia più o meno variegata e più o meno talentuosa, ho sempre ammirato il lavoro di produzione di Sitek. Che, ora, bloccato per un attimo il progetto Tv on The Radio, ne ha fondato un altro: The Neverly Boys, assieme a Daniel Ledinsky, un produttore svedese che ha fatto dell’anti-trumpismo il suo vessillo.
Ecco, da un duo del genere potremmo attenderci, con The Dark Side of Everything, un lavoro profondamente politico: così non è. The Dark Side of Everything è, nonostante l’inquietante cover composta da teschio lucido + deserto + fiamme, un disco che parla d’amore.
Perché, già dalla iniziale Burn Hollywood, i Neverly Boys mostrano un sound schietto, ottimamente mixato, con un palese gusto per la melodia catchy e per sonorità distese, placide, post punk: la calma dopo la tempesta, quando tutto quello che doveva succedere è già avvenuto. Si spostano poi su lidi più psichedelici brani come il singolo Never Come Down, che fa uso di estensivo dubbing, e Director’s cut, ballad energica che è forse fra i migliori brani dell’album.
Album che si mantiene su livelli eccellenti, narrando la storia profondamente umana di un protagonista anonimo, che, si ritrova da solo, senza l’amata, nel mezzo del cammin della sua vita, come descrive in Red Flag, e nel suo arrendevole seguito Without You. In entrambi i brani, un diodo, si odono sonorità sì tipiche dell’indie americano – chitarrine lontane e distorte, ed una certa caratteristica monotonia delle linee vocali, quasi un lamento – ma prodotte con una tale chiarezza e maestria da risultare atemporali.
La stessa sensazione di universalità si ha in Let love in, brano uptempo dalle ispirazioni country che segna il tentativo di rinascita dalla fine della relazione del protagonista con l’anonima amata, e la successiva Misery, espressione chitarristica e lentissima della desolazione del cuore spezzato (And I need somebody to talk about it at the end of the day). Ritrovarsi a cena da soli, apparecchiato per una persona sola, tv accesa sul telegiornale, schiaffiare con poco interesse della roba in una padella, inforchettare cibo che non ha sapore.
In tutto The Dark side of Everything si assiste ad una sostanziale unità stilistica: il tema di Burn Hollywood viene ripreso spesso nelle middle section, che fanno sì che si assista ad un lungo brano fatto di più movimenti, di alti e bassi, come nella vita reale
Scivoli nell’indie americano più profondo si hanno con Mighty Pine, mantenendo però un certo legame con quanto esposto precedentemente, mentre Wheel of Fortune si lancia negli anni ’80 fuso con lo shoegaze più triste di fine secolo con un placido arpeggio per parlare di suicidio:
Fuck you and your dollar bill
CNN, fentanyl
I’ve been on the wheel of fortune
Get me out of here
Jimmy Hoffa disappear
Looking in the mirror
I’m fading out
E proprio dallo shoegaze prende a piene mani la narrativa Mushroom Cloud, esplosivo brano che descrive la discesa nella pazzia del protagonista, che dal desiderare il suicidio passa al voler metter su famiglia in piena guerra nucleare: l’estrema gioia e l’estremo desiderio di vita nel momento della fine. Una sigaretta, e guardare il mondo esplodere seduti sul ciglio di un edificio in rovina. Sempre meglio che cenare da soli con pasti precotti.
Dark Side of Everything si chiude con Your life is blooming che è, per l’appunto, rielaborazione musicale di Burn Hollywood e, fra accordi maggiori e melodie serene, ne è il contraltare: passata l’apocalisse, la vita fiornisce di nuovo. E c’è di nuovo spazio per l’amore, sebbene la nostra vita duri un battito di ciglia rispetto all’universo:
A minute to grow
Like the arctic willow
And a minute
To live
Rimango francamente stupita del perché un tale lavoro abbia avuto una copertura da parte dei media praticamente nulla: mi auspico fortemente che, passato il lockdown e con la possibilità per il duo di promuovere live Dark side of Everything, il progetto possa ottenere il riconoscimento che merita.
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