Dixie Blur, torna Jonathan Wilson

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All’inizio di marzo è uscito il quinto lavoro in studio di Jonathan Wilson, intitolato Dixie Blur, sempre per l’etichetta Bella Union.

Attivo fin dal 1998 coi Muscadine, Wilson inizia a far parlare di sé con Gentle Spirit nel 2011. L’incredibile competenza filologica e musicale di Jonathan, che è anche un apprezzato produttore (Father John Misty), si coniuga alle abilità di strumentista e compositive.
Se è infatti vero che si trovano sulla scena decine di artisti che si rifanno in modo pedissequamente derivativo alla scena degli anni ’60 e ’70, anche in modo molto efficace, è l’approccio di Wilson a fare la differenza. Oltre all’indubbia cultura e alla predilezione per registrazioni analogiche come ai tempi d’oro, la forza di Jonathan è nelle sue grandi capacità compositive che lo elevano una spanna sopra altri colleghi.

Gentle Spirit si rifaceva in larga parte al suono della West Coast e della mitica scena di Laurel Canyon, una psichedelia gentile e quasi bucolica. Col successivo Fanfare i suoni si calibravano leggermente più verso atmosfere europee affini a certo prog – i Pink Floyd dei primi settanta, per dire – e tempi più dilatati. Rare Birds si affacciava addirittura agli anni ottanta di Peter Gabriel. La sua pertinenza ha fatto sì che il leggendario Roger Waters lo volesse in tour con sé per due anni.

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I consigli del grande Steve Earle – di tornare coi suoni alle radici americane, spogliando il sound – e la permanenza a Nashville hanno portato a questo Dixie Blur.

La produzione è in collaborazione con Pat Sansone dei Wilco, e alla registrazione avvenuta in sei giorni di presa diretta, hanno partecipato grandi musicisti della capitale del country. Mark O’Connor al violino è probabilmente il nome più prestigioso del lotto.

Come avvenne per le grandi band psichedeliche americane, che al tramonto della scena lisergica si diedero compatte al country rock, i suoni di Wilson omaggiano proprio il movimento che fece la fortuna di tanti gruppi. I Byrds, ma anche Flying Burrito Brothers e Grateful Dead.

L’apertura di Dixie Blur è però affidata in modo simbolico a Just For Love, cover di un pezzo misconosciuto dei Quicksilver Messenger Service, leggendaria band di San Francisco.

Il gruppo di John Cipollina costituiva coi più celebrati Grateful Dead e Jefferson Airplane il terzo vertice del triangolo psichedelico di San Francisco, quello più lisergico e alternativo, ma anche quello più affine al country

Just For Love è stupenda e, soprattutto, si confonde in modo del tutto naturale nel canzoniere di Wilson, che la fa sua completamente. L’arrangiamento quasi agreste, con un flauto gentile che rimanda al Canterbury Sound dei Caravan, getta un ponte con le opere precedenti, prima che l’Americana prenda il sopravvento.

Dixie Blur prosegue con 69 Corvette è una struggente ballata che non sfigurerebbe nel repertorio del Mark Knopfler solista; So Alive e Enemies sono invece Americana pura, ariose come le grandi praterie del west e con l’ombra del grande Bruce Cockburn che aleggia sullo sfondo.
New Home pare citare nel finale The Boxer di Simon & Garfunkel, mentre In Heaven Making Love è country allo stato puro, sembra quasi di sentire un Don McLean d’annata.
Oh Girl è una bella ballata per pianoforte dove è facile sentire echi dei Pink Floyd e dei Beatles; io però ci ho sentito anche – specie in apertura – un’atmosfera che ricorda i Black Heart Procession.

Pirate è di nuovo una ballata folk impreziosita più che nel resto del disco dalla sontuosa parte di violino di O’Connor, mentre con Platform siamo quasi all’instant classic: una ballad che pare uscita dal canzoniere del grandissimo e dimenticato Fred Neil, con tanto di arpeggio che ricorda la celebre Everybody’s Talkin’.

El Camino Real è un azzardo tra folk e cajun, Riding The Blinds e Korean Tea sono due lentoni di grande atmosfera, dove si affacciano ancora sonorità psichedeliche gentili.

Se proprio volessimo trovare un difetto a questo Dixie Blur – e perché poi? – forse starebbe in una lunghezza un po’ eccessiva. Considerando poi che si tratta probabilmente del lavoro di Wilson a maggior tasso di compattezza tra i vari pezzi, la durata può rendere a un primo ascolto alcune canzoni un po’ troppo simili tra loro, ma si tratta di sottigliezze.

Sicuramente la recente uscita del lavoro di The White Buffalo, unita a questo di Jonathan Wilson, fa la gioia degli appassionati. Dixie Blur è un disco che va ascoltato più volte: ogni volta ci troverete qualcosa di nuovo e che vi era sfuggito all’ascolto precedente.

Andrea La Rovere
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