Mantenutosi saldamente all’interno di una nicchia musicale ben precisa, dalla quale ha continuato a creare e produrre musica con regolarità, John Mitchell rilascia Feelings Are Good, il nuovo lavoro del progetto Lonely Robot ad appena quindici mesi di distanza dal precedente “Under Stars”.
Neanche a dirlo, il lavoro è da lui interamente suonato e prodotto (con l’eccezione della batteria, affidata a Craig Blundell). Se da un punto di vista stilistico non sembra segnare deviazioni visibili rispetto ai lavori precedenti, il nuovo album lo fa però nelle tematiche affrontate – insomma, nello spirito. E ciò per ammissione dello stesso Mitchell, che dal proprio sito web tiene a precisare:
“Su ‘Feelings Are Good’ ho voluto esplorare temi più personali e le canzoni raccontano soprattutto esperienze e narrazioni individuali che credo essere state pietre angolari, buone e cattive, della mia vita”.
Racconti di esplorazione dello spazio e richiami al mondo sci-fi – caratterizzanti i tre album che il pubblico ha imparato a conoscere come “The Astronaut Trilogy” – lasciano ora il posto all’esplorazione del proprio vissuto. John Mitchell è una sorta di “rocket man” contemporaneo che è tornato dallo spazio per riflettere su se stesso.
Musicalmente parlando, Feelings Are Good si mantiene all’interno di un solco già tracciato, coniugando la lunga tradizione neo-progressiva di cui Mitchell è figlio a una sensibilità ai limiti del pop, in cui le tastiere e la stessa sezione ritmica sono preposte ad addolcire – per non dire, stroncare sul nascere – le velleità più rock e grintose.
L’uso del riff è molto parsimonioso (e forse per questo rende i riff ancora più memorabili), e l’operazione di addomesticamento degli elementi più hard fa emergere ora un’armonia più ariosa, ora un canto liberatorio e intenso, ora una chitarra solista sofisticata e precisa.
Nel disco troviamo così Into the Lo-Fi, il brano di apertura, che gioca sulla tensione tra la ricerca di un’intensità drammatica (“This is my life, and it’s killing me fast”) e un bisogno di frivolezza. Spiders introduce il primo riff di chitarra, prima che il ritornello trasformi il brano in una sorta di scherzo armonico e un bel solo di chitarra lo concluda.
Sulla stessa falsariga Life is a Sine Wave, il singolo di lancio dell’album, e Army of One, forse il suo pezzo da novanta. Crystalline, Silent Life – presenti anche come bonus track in versione “orchestrale” – e Armour for My Heart compongono la parte più dolce dell’album. Keeping People as Pets è forse il brano più ambizioso (incentrato sul disturbo narcisistico di personalità), mentre Suburbia gioca sull’ambiguità tra un piano delicato e una chitarra ruvida, che si risolve, ancora una volta, a beneficio dell’anima più “soft”.
Feelings Are Good è un condensato di intuizioni musicali che si richiamano alla tradizione neo-prog britannica (dagli IQ ai Pallas, passando per gli Arena, in cui il nostro milita tutt’ora), con un’enfasi maggiore, rispetto a quella tradizione, sulla cura dell’arrangiamento anziché sulla performance strumentale. Sulla solidità del risultato, si possono nutrire pochi dubbi. Un prog che si avvicina al pop? Forse, ma di gran classe.
Voto: 7
di Federico Morganti
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