Lamb of God: “Lamb of God” [Recensione]

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Sono passati cinque dall’ultimo album dei Lamb of God, ed un loro nuovo album è la cosa che attendevo di più. In fondo, se la band statunitense è riuscita a mantenersi un posto nei miei ormai pochissimi ascolti metal, è merito del loro essere sempre stati “veri”.

Non sono un grande fan dei Lamb of God, ma ogni volta rimango affascinato dalla loro musica, una band che, anche mantenendo sempre lo stesso sound, riesce a mantenere comunque una “dignità musicale”, anche dopo anni di attività. Con questo album omonimo, “Lamb of God”, la band statunitense dovrà dimostrare anche di aver sostituito degnamente il loro storico batterista Chris Adler, uscito lo scorso anno dalla band.

Di questo “Lamb of God” ne abbiamo già avuto un grande assaggio, con ben quattro singoli usciti in anteprima, compreso quello in feat. con Chuck Billy (Testament).

L’album si apre proprio con due singoli dei quattro usciti in anteprima: “Memento Mori” e “Checkmate”. Due singoli che possono essere definiti come un riassunto di quello che ci aspetta nelle restanti otto tracce. La terza traccia è “Gears”, costruita su un riff “marchio di fabbrica” dei Lamb of God, che riesce a farci capire quanto la band americana sia riuscita, anche stavolta, a mantenere il loro vecchio sound, risultando sempre validi.

Dopo tre tracce “al limite” arriviamo a “Reality Bath”, che possiamo definire la canzone più “leggera” dell’album, insieme a “Resurrection Man”, ma che, nella loro leggerezza, mantengono alto il livello della band. Cosa che non succede invece, purtroppo, per la traccia, “Routes”, in cui l’ospite è Chuck Billy dei Testament. Una canzone troppo lontana dallo stile dei Lamb of God in cui la band non riesce a trovare una via di mezzo tra due generi spesso vicini tra loro, ma per fortuna quest’ultima non abbassa il livello dell’album.

Lamb of God

Come detto all’inizio i Lamb of God hanno sostituito il loro storico batterista dopo che quest’ultimo uscì dalla band nel 2019. Sostituire Chris Adler non era facile, soprattutto se si volesse mantenere un sound che era dato principalmente da Chris e dalle linee vocali di Ryan Blythe. Ma grazie a tracce come “New Colossal Hate” e “On The Hook” abbiamo la sicurezza che il nuovo batterista Art Cruz non è, e non sarà da meno a Chris Adler.

Probabilmente “Lamb of God” potrebbe essere definito “la minestra riscaldata” visto anche il sound uguale a quello dei precedenti album. Invece il punto forte dei Lamb of God è proprio questo: far risultare “nuovo” un album che non ha nulla di nuovo.

Già dai quattro singoli usciti si era capito quanto questo album avrebbe avuto tantissimo potenziale, anche stando nella sua “ripetizione”. Però non cadete nella trappola della “minestra riscaldata”, perchè i Lamb of God riescono a farne un potenziale, proprio del loro sound ripetuto. La cosa migliore per apprezzare l’album è ascoltarlo per puro divertimento, senza star lì ad analizzare i particolari. Per quando mi riguarda la band statunitense rimane ancora nei miei, pochi, ascolti metal, grazie al loro essere sempre “veri” e piacevoli da ascoltare.

Lamb of God
Marco Mancinelli
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